Oggi l’Ansa ha battuto la notizia: TicketOne è stata obbligata dall’Antitrust di casa nostra a pagare una multa di dieci milioni di euro per “abuso di posizione dominante”. L’ultimo capitolo – ma ne seguiranno altri, ne siamo sicuri, di uno scandalo scoppiato ancora cinque anni fa o poco meno, novembre 2016, sull’onda di una serie di inchieste de Le Iene (ve le ricordate?) e dello scandalo del “secondary ticketing”, dei biglietti cioè per grandi eventi andati subito sold out rivenduti a cifre siderali da operatori terzi. Da lì, da parte della autorità competenti si è iniziato a scavare a fondo nel mondo del ticketing.
Per capire le motivazioni della sentenza dell’Antitrust contro TicketOne leggetevi con attenzione l’articolo dell’Ansa (in sintesi: TicketOne faceva “tagliafuori” nei confronti degli altri operatori, a tutto svantaggio del prezzo finale all’utenza), ma in realtà il problema è molto più vasto. Ecco: questo potrebbe essere il momento giusto per ritirare fuori un articolo/inchiesta uscito all’epoca sul defunto mensile Mucchio Selvaggio. Scritto quindi quasi cinque anni fa, in realtà ancora oggi è utilissimo per capire quali sono le basi di partenza della “lotta fra colossi” che si è scatenata attorno al ticketing e, nella parte delle interviste, spiega anche perché è una lotta che intreccia ticketing ed il lavoro dei promoter e delle agenzie di booking (nonché i guadagni degli artisti e dei management, e le spese vostre).
In Italia il panorama è cambiato, oltre all’arrivo già preconizzato all’epoca del moloch Ticketmaster c’è stato pure l’avvento di un colosso internazionale (più indie però nell’attitudine…) come Dice che potrebbe sparigliare le carte (col suo biglietto “immateriale”, l’uso esclusivamente tramite app, l’attenzione alla comunicazione e al modo di presentarsi), anche se deve tutt’ora scontrarsi con alcune limitazioni – in primis, il gap tecnologico dell’utente italiano, che però è destinato a svanire molto presto. Da noi, in particolare il panorama del clubbing è stato molto vivace, diventando il volano per cui realtà nuove e molto web based come TicketSMS, la italospagnola Xceed, Ugo, in parte Ciaotickets (che conserva però in alcuni casi un approccio molto tradizionale nonché “sul territorio”) ed anche altri si sono ritagliati prima della pandemia uno spazio interessante, e soprattutto hanno iniziato ad abituare il pubblico più fresco e sveglio ad acquistare on line e ad entrare agli eventi senza uso di carta ma solo facendo vedere il QR code dallo smartphone. Ora, ovviamente, bisogna vedere chi e cosa resterà dopo la pandemia, quando si riprenderà ad andare agli eventi e ad acquistare biglietti per farlo.
Sappiate però che gli interessi che si aggirano attorno al nostro divertimento, nel campo del ticketing, sono enormi. Anzi: le industrie del ticketing sono forse quelle che più ci hanno guadagnato, in questi anni, minimizzando il rischio d’impresa (sì, puoi dare anticipi a certi promoter, ma sono eccezioni…). E come potete leggere, sono state anche un po’ loro a drogare il mercato, soprattutto lì dove si è scatenata una lotta fra titani senza esclusione di colpi. Leggetevi insomma questo pezzo uscito un lustro fa: è ancora attuale, sì. Ed aiuta a capire quanto i dieci milioni di multa a TicketOne, salvo ricorsi, per abuso di posizione dominante siano solo la punta dell’iceberg, e non un atto finale e definitivo.
* * *
Dal numero di gennaio 2017 del mensile Mucchio Selvaggio
SECONDARY TICKETING: COSA SI MUOVE DIETRO ALLO SCANDALO
Nacque tutto dai Coldplay (ogni tanto servono ancora, via): biglietti ufficiali spazzati via in un amen e ricomparsi subito dopo, a cifre folli, sui siti di secondary ticketing, i siti che rivendono biglietti già acquistati a prezzi maggiorati. Poi sono arrivate Le Iene, con due servizi che hanno destato molto scalpore. Ma quel è il modo giusto per inquadrare la questione?
Sembrava dovesse essere una deflagrazione, una “nuova Tangentopoli” come si è letto da più parti: eppure, pare che attorno alla faccenda – o allo scandalo, se preferite – del cosiddetto secondary ticketing dopo i fuochi d’artificio seguiti ai due servizi delle Iene firmati da Matteo Viviani (il primo con protagonista in negativo Massimo De Luca, boss di Live Nation, il secondo con Corrado Rizzotto di Indipendente pedinato la domenica per la strade della sua città pronto a non rispondere a qualsiasi domanda sull’argomento) invece di un rossiniano crescendo di accuse, scandali e rivelazioni ora, invece, si si è spostato su una cauta attesa. In attesa di vedere l’effetto che fa. Perché sì, una cosa grossa sta per succedere, nel dietro le quinte dell’organizzazione concerti. Nel luglio 2017 scade infatti il cosiddetto accordo Panischi: ovvero quello che per quindici anni aveva riunito una fetta rilevantissima degli organizzatori di concerti sotto l’obbligo di cedere l’esclusiva della vendita on line a TicketOne SrL (oltre ad una quota minima del 30% della bigliettazione complessiva). Non serve fare gli scandalizzati, o parlare subito di effetto-Bilderberg anche nella musica, con una cupola cinica e malevola a comandare le sorti del mondo (e dei concerti) a scapito dei noialtri poveracci gente comune. No: si trattava infatti di un accordo all’epoca conveniente per tutti i contraenti, dato che quindici anni fa la rivendita via web dei biglietti dei concerti era poco più che un’idea buona per finire su Futurama, o giù di lì. Eh già: ne è passata di acqua sotto i ponti.
Cosa succede a luglio 2017? Succede un grande “liberi tutti”: ciascun promoter torna libero di contrattare un accordo col gestore di biglietteria che preferisce, negoziando percentuali e quant’altro. E i gestori di biglietteria non sono pochi. Oddio, in Italia nemmeno troppi (diciamo che i principali sono circa sei o sette, andando a spanne), perché ad esempio parlando con una persona che lavora nell’industria musicale tedesca, nostra amica di tempo, ci raccontava che ormai in giro dalle sue parti c’è più gente che dice “Ho avuto una grande idea, apro un servizio di biglietteria!” di quelli che entrano nei bar ed ordinano un cappuccino – e ricordatevi che in Germania i cappuccini si ordinano anche a pomeriggio e sera. Quindi insomma, anche da noi questi servizi potrebbero crescere, tra operatori nati qui e quelli in arrivo dall’estero per fare conquista di nuovo mercati. C’è davvero bisogno di questi servizi di biglietteria? Anche sì. Perché nell’ottica del semplice frequentatore di concerti, il biglietto è quella cosa che si stampa, con sopra il nome del concerto e il suo orario d’inizio, tu lo compri, i soldi vanno a chi organizza, finita lì; in realtà c’è invece una macchina burocratica dietro fatta non solo di conteggi ma anche di adempimenti fiscali (ogni biglietto ha ad esempio uno specifico codice alfanumerico, differente dal numero di matrice, che è un vero e proprio sigillo fiscale: fateci caso). Già organizzare i concerti è difficile per mille motivi (dalle richieste economiche degli artisti agli adempimenti burocratici locali), se un promoter dovesse farsi venire in mente di gestire da solo, in proprio ed ex novo pure l’emissione di biglietti, beh, semplicemente non ce la farebbe. Troppo complicato, troppo oneroso. A meno che non si sia un’azienda veramente grande: ed infatti da un po’ si vocifera che Friends&Partners, una delle principali agenzie di concerti in Italia (diciamo quella che organizza molti dei concerti degli artisti italiani da cassetta, quelli che insomma riempiono i palasport), stia ragionando sull’opportunità di mettere su un servizio di biglietteria tutto suo, tuttavia il patron Ferdinando Salzano ad ora ha sempre smentito.
Ma dicevamo: luglio 2017, molti promoter di grande importanza tornano liberi di gestire in prima persona gli accordi con le società che offrono servizi di biglietteria on line. Anche Live Nation. Che, guarda caso, una società di bigliettazione ce l’ha potenzialmente in casa: Ticketmaster, gigante mondiale della vendita on line, fa infatti parte della stessa galassia societaria (eh, i vantaggi di essere una multinazionale…). E naturalmente ad accordo Panischi estinto non vede l’ora di piombare sul mercato italiano. Non che TicketOne sia un vaso di coccio nostrano in mezzo a giganti cattivi insufflati dalla globalizzazione, attenzione, visto che alle sue spalle ha comunque la tedesca Eventim, un altro gigante del settore, con ramificazioni in svariati stati. Provato quindi ad immaginare quali sommovimenti, scontri e riposizionamenti si stanno pianificando dietro le quinte, ecco. Il che potrebbe anche essere una spiegazione alla domanda che le persone più sveglie e più addentro a certi meccanismi si sono fatte: ma come mai dopo il servizio delle Iene non è stato proprio TicketOne quella a tuonare con più rabbia e ferocia contro la pratica del secondary ticketing truffaldino, con giro di fatture astuto? Perché è lei la prima ad essere svantaggiata/truffata, in teoria, subito dopo i promoter (o almeno, quelli che poi non fanno il giro di fatture per cui il 90% dei proventi del secondary ticketing tornano alla casa madre organizzatrice del concerto, tramite fatture che indicano l’esotica causale “co-marketing”, l’equivalente nel music business del “motivi famigliari” che usavamo noi per fare sega a scuola e giustificarci il giorno dopo sui libretti. In sintesi il magheggio scoperto dalle Iene è stato questo, per chi non avesse seguito bene la faccenda).
Non che TicketOne non si sia fatta sentire, sia chiaro. Stefano Lionetti, una delle persone di riferimento dell’azienda, c’era sia nel primo servizio de Le Iene sia nella incandescente conferenza stampa convocata a Milano subito dopo. E un po’ di cose le ha dette: “Abbiamo sempre agito nelle norme” prima di tutto, seguito da un “Se i biglietti di eventi ad alto richiamo si trovano disponibili sul mercato secondario è perché siti come Seatwave o Viagogo dispongono di schiere di stagisti che vengono sguinzagliati con mazzetti di carte di credito in occasione dell’apertura delle prevendite”. Un po’ romantica, l’idea che ci sia una schiera di stagisti schiavizzati che devono picchettare sui tasti per accaparrarsi più biglietti possibile nel minor tempo possibile appena vengono messi on line. Fa molto Charles Dickens. Può essere che sia vera, eh. E’ messa in campo anche perché l’alternativa tecnologica, ben nota e ben presente, quella dei cosiddetti bot, programmi software che si fingono umani e rastrellano con velocità inaudita biglietti on line in zero tempo, esporrebbe TicketOne alla critica di non fare abbastanza a livello di protezione; sarebbe peraltro in buona compagnia, visto che il problema è talmente sentito che una delle ultime leggi fatte approvare da Obama, prima di cedere il posto al simpatico mattacchione col parrucchino, l’ossessione della Cina e la moglie gnocca, è stata proprio quella che rendeva fuorilegge l’uso dei bot per acquisire biglietti on line.
Però poi appunto, per anni Live Nation e TicketOne, vedi alla voce Panischi, hanno marciato assieme felici e contente. Perché disturbarsi, in fondo? Perché darsi troppo fastidio? Non c’era convenienza per nessuno. Così come non c’era convenienza a sollevare polveroni eccessivi sulla faccenda del secondary ticketing: e non solo per la brama truffaldina di guadagno di una delle parti in causa ipotizzata dalle Iene con la faccenda delle fatture di co-marketing creato ad hoc per coprire una partita di giro, ma anche per motivi più lineari ed in teoria evidenti a tutti ma mai abbastanza sottolineati. Lionetti di TicketOne citava infatti Seatwave, correttamente, tra le grandi società di secondary ticketing: bene, fatevi una risata, andate a controllare di chi è la proprietà di Seatwave. Fatto? E’ di Ticketmaster. Come a dire, è (anche) di Live Nation. Che buffo, vero?
Tornando comunque al punto, guarda caso scoppia la grana del secondary ticketing proprio quando molti equilibri stanno per rivoluzionarsi. Lo ribadiamo. Non che prima la cosa non venisse denunciata: l’ha fatto ad esempio Claudio Trotta, Barley Arts, colui che porta in Italia Bruce Springsteen, con un esposto contro Live Nation per concorrenza sleale, ma lì per lì la cosa viene vista come una uscita donchisciottesca senza troppe possibilità di riuscita. Non si pensava, all’epoca, che sarebbe arrivata l’autorità giudiziaria notoriamente più efficace e potente d’Italia: la televisione. Qualcuno però ce l’ha fatta arrivare, questo è certo. L’inchiesta di Matteo Viviani è stata così deflagrante proprio perché finalmente metteva in campo dei documenti che dovevano restare segreti o che potevano passare per anonimi ed innocenti, appunto le famose fatture del co-marketing tra Live Nation e uno dei giganti del secondary ticketing, per cui la prima si rivaleva del 90% dei guadagni ottenuti con la rivendita secondaria on line dei biglietti a prezzi maggiorati rispetto al costo originario.
Ok sì, la gola profonda, l’impiegata pentita; ma pensare che attorno a tutto questo ci sia qualcosa di più non è proprio da folli. Per la cronaca: tra molti promoter italiani regna ancora l’incertezza su quale sia la cosa migliore da farsi – al di là delle dichiarazioni di facciata, impetuose ad esempio quelle di Ferdinando Salzano di Friends&Partners, “Oltre a Live Nation credo ci siano altri colleghi coinvolti nella pratica del secondary ticketing truffaldino. A loro dico: autodenunciatevi, perché ormai quelle delle Iene sanno tutto” – col risultato concreto che lo stesso Trotta di Barley Arts si è stufato e si è dimesso da Assomusica, l’associazione che riunisce la stragrande maggioranza dei promoter italiani (…non tutti, però), una volta constata la mancanza di una presa di posizione netta e drastica al di là delle parole di facciata e dei proclami un po’ velleitari del “oscureremo tutti i siti di secondary ticketing!” (…sì, è stato detto davvero, e più volte!, durante la conferenza stampa di cui parlavamo, quella post prima parte del servizio delle Iene). D’altro canto il mondo dei grandi promoter italiani è un valzer di alleanze fatte e disfatte: nell’orbita di Live Nation sono entrati e poi usciti anche alcuni dei suoi competitor maggiori, secondo dinamiche che ogni tanto ricordano una telenovela o il <“Dallas” televisivo dei bei tempi che furono. Corrado Rizzotto, di Indipendente, l’altra vittima de Le Iene, pareva essere entrato ufficialmente dentro Live Nation, ma forse no, non si sa, forse è saltato tutto, nel dubbio ora è tornato a lavorare forte sull’identità del marchio Indipendente (che ha i Radiohead, per dire); più lineare invece il caso di Andrea Pieroni, storico promoter in campo hard rock con Live In Italy, poi confluito in Live Nation, poi questo confluire è finito malino con stracci che volano e ora ha aperto una nuova agenzia di nome Vertigo che fra le prime mosse pratiche ha visto di rinnovare subito il contratto con TicketOne, tanto per chiarire che non sta (più) dalla parte di Ticketmaster / Live Nation.
Che bel quadro, vero? Dietro alla chiamata alle armi populista de “Stanno lucrando sulla vostra passione, maledetti bastardi!!1!” si nasconde in realtà un mondo composito e sfaccettato, e non basta certo invocare l’oscuramento dei siti di secondary ticketing (che poi, vi pare realisticamente possibile?) per appianare qualsiasi questione, contrariamente a quanto è emerso con la prima alzata di scudi seguita all’episodio uno dell’inchiesta delle Iene. Fermo restando, sia chiaro, che chi stringe accordi con le società di bagarinaggio on line – questo è spesso il secondary ticketing infatti, quando cioè i biglietti vedono il loro prezzo moltiplicarsi – accordandosi poi per una suddivisione dei profitti fa una cosa profondamente sbagliata, abbastanza illecita, particolarmente stronza. Lo fa per avidità? Forse. Lo fa anche su input degli artisti? Questa è la cosa che De Luca, incalzato dall’inviato ienesco, ha fatto balenare, provocando una furibonda indignazione da parte di parecchi (la famigerata conferenza stampa più volte citata è stata promossa anche da Maioli, il manager di Liguabue, e le prime risposte apparentemente più decise e concrete sono state quelle di molti artisti, a partire da Vasco Rossi e Tiziano Ferro – ruggiti da leoni contro Live Nation, sì, che terminavano però in qualche caso con squittii da criceto quando si diceva che “Ormai la macchina è avviata, il tour imminente lo faccio comunque con Live Nation, poi si vedrà”). Un discorso non secondario, tutt’altro, tirato fuori esplicitamente dal decano dei promoter italiani, David Zard, il cui figlio ha preso il posto di Corrado Rizzotto a capo di Vivo Concerti prendendo drasticamente le distanze dalla vecchia gestione (…ve lo dicevamo che è come una telenovela, non ci credevate?). Zard senior ha chiaramente detto che i cachet degli artisti e le correlate spese di produzione attorno ai loro concerti sono diventati una voce fuori controllo, col risultato che a) solo le multinazionali possono competere in un mercato così drogato b) le stesse multinazionali devono trovare modi diciamo così creativi per far quadrare i conti, e fare leva sul secondary ticketing prendendo una fetta robusta dei guadagni diventa una risorsa quasi obbligatoria. In effetti, e chiunque operi professionalmente nel mercato del booking lo sa, negli ultimi anni il cachet delle band è letteralmente esploso, alla faccia dell’inflazione calmierata nell’Eurozona. Ché un tempo i guadagni li facevi con i dischi, eh, ora zero. Esempio semplice semplice, per riassumere come sono cambiati gli usi e costumi: un tempo facevi i tour per vendere più dischi (tant’è che erano le stesse etichette a co-finanziare spesso le tournée), oggi invece fai un disco per avere la scusa per far partire un nuovo tour. Chiaro che quella del live diventa la gallina da cui spremere il più possibile: spremere uova o, se per caso ha tirato le cuoia, almeno del brodo.
Bene. In questo panorama abbiamo voluto dare voce, qui su queste pagine, a chi finora si è tenuto abbastanza fuori da tutta la discussione, a chi non ha le dimensioni per entrare nei grandi valzer targati Live Nation, Indipendente, Vivo, Friends&Partners e altre realtà simili, ma nondimeno ha a che fare con artisti che sulle pagine del Mucchio potete vedere comparire spesso e volentieri. Si tratta di Pietro Fuccio di Dna Concerti e di Eric Bagnarelli di Comcerto, fondatori e gestori di agenzie dalle dimensioni diciamo medio-grandi, a cui abbiamo aggiunto anche la voce di Corrado Gioia, che con la sua Hard Staff si muove su dimensioni molto più piccole ma non per questo non ha una visione puntuta sull’argomento. Di una cosa possiamo stare certi: sono tre persone che non hanno nessun coinvolgimento diretto nei grandi giochi del dietro le quinte di cui vi abbiamo reso conto più sopra – se non per il fatto che un mercato sempre più difficile, sempre più concorrenziale, sempre più drogato è qualcosa che danneggia profondamente anche loro, così come qualsiasi altro operatore che non ha capitali enormi alle spalle e/o non può permettersi di lavorare in perdita con l’idea di mandare piano piano KO tutta la concorrenza per poi raccogliere tutto. Insomma, diciamolo, quelli che in un ipotetico “Dallas” sono troppo noiosi per essere inclusi nella sceneggiatura. Ma forse proprio per questo sono quelli con le cose più interessanti o più oggettive da dire. Non proclami a favore di fans e telecamera, ma analisi lucide, pacate, incisive. Anche non sempre coincidenti fra di loro; ma proprio questo è il bello.
Prima domanda secca: è giusto combattere senza se e senza ma il fenomeno del secondary ticketing, ovvero la posizione che è emersa con più forza successivamente alla messa in onda della prima parte dell’inchiesta de “Le Iene”? E’ questa l’unica posizione ragionevole ed efficace possibile?
EB: Ognuno nel rispetto delle regole e leggi vigenti è libero di agire come crede per nome e conto della propria azienda. Io personalmente non sono favorevole e la Comcerto non ha mai avuto rapporti di questo genere. Non ritengo opportuno scagliarsi contro qualcuno e qualcosa senza prima affrontare la questione alla base e capendo eventuali rimedi, non risolveremo il problema creando confusione.
PF: No, non è per niente l’unica posizione ragionevole ed efficace. Ritengo sia molto più utile comprendere le ragioni del perché il secondary ticketing esista, e quali specifici interessi aiuti a soddisfare. Sempre che si voglia andare a fondo del problema, cosa che in genere a noi italiani fa un po’ troppa fatica…
CG: Io penso che il problema sia in realtà più vasto, ed è legato prima di tutto allo scarso peso delle molteplici compagnie di prevendita presenti sul mercato, conseguenza di un accordo ben preciso. Secondo l’accordo Panischi, TicketOne paga anticipatamente le prevendite a una dozzina circa di operatori, ottenendone un’esclusiva totalizante ed assorbendo sempre più biglietti. Senza questo accordo, non sarebbe più facile evitare il proliferare di siti di secondary ticketing avendo semplicemente, come prima condizione, più servizi di biglietteria disponibili? Il bagarinaggio esiste da sempre in Italia, fin dagli anni ’80, fin da quando gli artisti stranieri hanno ripreso a venire dalle nostre parti dopo il periodo dell’ostracismo verso la Penisola per la violenza di matrice politica che si scatenava attorno ai concerti. Da lì in poi i bagarini ci sono sempre stati, compravano e vendevano secondo dinamiche che ci ho messo anni e capire e che, in realtà, ancora non capisco del tutto. Però ora siamo arrivati al punto di rottura vero e proprio: con le nuove tecnologie e con gli accantonamenti a scavalcare l’esclusiva, a favore dei siti di biglietteria secondaria (fino al paradosso dei biglietti presenti lì prima ancora che sulle biglietterie ufficiali…), siamo arrivati a situazioni estreme. Quindi sì, bisogna trovare un modo per stroncare il fenomeno, ma c’è necessità di mettere un freno anche alla posizione dominante di TicketOne. Dal mio punto di vista, la molteplicità di rivenditori autorizzati non può che essere la soluzione per abbattere drasticamente il fenomeno.
Tuttavia: è realisticamente possibile combattere qualsiasi pratica di secondary ticketing? O si tratta solo di arginare il fenomeno parzialmente?
EB: Con i mezzi attuali non credo sia possibile combatterlo, e non credo a priori sarà un fenomeno facile da arrestare o debellare. Penso sia importante lavorare a stretto contatto con i gestori di vendita normali (primary ticketing), per controllare il più possibile le vendite con le tecnologie disponibili, e altrettanto è necessario sensibilizzare il pubblico, informandolo, cercando di creare un contatto più diretto possibile senza troppi intermediari. Purtroppo ad oggi il pubblico dei grandi eventi e dei grandi numeri, spesso non nota differenza tra un sito ufficiale di vendita e uno non autorizzato, o di secondary ticketing, comprando senza conoscenza e imputando poi il caro-prezzi dei biglietti a qualcuno a caso.
PF: Non credo che la questione emersa in questi giorni riguardi il voler debellare interamente il fenomeno: nessuno si è mai preoccupato della costante presenza di bagarini nei dintorni di qualsiasi concerto con un minimo di rilevanza, fin dagli anni ’80. Chiaramente la diffusione del fenomeno su larga scala – magari sostenuti dagli organizzatori, per non dire dagli artisti – è una cosa diversa, quello sì.
CG: Ma io mi chiedo, come puoi arginare un fenomeno del genere distinguendo tra un singolo venditore, che non vuole rimetterci il prezzo del biglietto se non può andare ad un concerto, e chi invece immette biglietti per lucrare? Chiudere o oscurare i siti mi pare abbastanza improbabile, anche se possibile; denunciare ed escludere dal mercato i disonesti è ovvio, ma anche qui è da capire come. Combattere i programmi software di acquisto di massa sarebbe forse possibile, sì, ma chi è pronto ad investire su questo, visto che comunque è una strategia che ha bisogno di investimenti? Sono tecnologie ormai sofisticate, i software riescono a cambiare di continuo indirizzo IP creando a getto continuo profili falsi. C’è da investire parecchio, per combattere ad armi pari il fenomeno. Ma chi lo deve fare? TicketOne? Sì, ma a che pro? Una volta che hanno venduto il biglietto, oggettivamente, a loro che gliene frega di quello che succede? Che poi, come è possibile che prima del servizio delle Iene non si siano accorti del fenomeno? Forse il biglietto nominare o con uno specifico codide QR potrebbero risolvere il problema, e quindi lo sviluppo del biglietto veramente digitale potrebbe essere una soluzione, ma anche qui potrebbero esserci delle falle nel sistema. Io penso, forse ingenuamente, che il fenomeno si potrebbe sconfiggere prima di tutto grazie ai fan. Sono loro quelli che per davvero possono tagliare le gambe al fenomeno, prima ancora di legislazioni sul campo (al momento assenti, o palliative) o sistemi tecnologici. Loro, degli organizzatori onesti, un mercato aperto e poliedrico.
Domanda provocatoria: il secondary ticketing non è, in ultima istanza, una semplice applicazione del principio di mercato, quello relativo alla domanda e all’offerta?
EB: Secondo me no. E’ un modo per produrre utili maggiorati, nella stragrande maggioranza dei casi, per persone ed entità che molto semplicemente non sono coinvolte con l’organizzazione del concerto stesso.
PF: Sottilineata l’illegittimità a vari livelli del mezzo adottato, sicuramente lo è. Per parlare della cosa con contezza, la gente dovrebbe innanzitutto capire che se un bene è raro, è normale che finisca per accaparrarselo chi ha più mezzi, o almeno più determinazione. I biglietti dei Coldplay non fanno eccezione a questa regola. Non si può pensare “Vado a vedere un concerto ogni due anni, ma quando vado voglio che ci sia abbastanza disponibilità di biglietti da poterli reperire senza difficoltà al prezzo che ritengo giusto”. Tanto più che bisogna capire che è assurdo pensare che il prezzo del biglietto lo possa decidere qualcuno di diverso dalla band o dal suo promoter.
CG: Sì, possiamo vederlo anche così, ma possiamo anche considerarlo per quello che ci hanno mostrato evidentemente i servizi televisivi delle Iene: una maniera semplice per non pagare tasse e garantire guadagni che non vanno dichiarati a agenti e artisti. Non metto in dubbio che chi ha attuato questo sistema sia un genio a livello imprenditoriale, parliamoci chiaro: prende un anticipo per l’esclusiva e poi riesce a frodarla e incassare cifre molto superiori stornando biglietti direttamente a dei bagarini, online o meno, che gli restituiscono un 90% di utile, non risultando in nessun passaggio. Un genio del crimine. Però il mercato non può essere monopolista e non soddisfare la domanda just in time, per poi contemporaneamente alimentare la speculazione, mi segui? E’ piegarlo a regole non di mercato, appunto. Mi dispiace suonare monotono, ma la molteplicità di scelta è il mercato, non il suo contrario.
Per quale motivo è impossibile ad oggi utilizzare un meccanismo simile a quello della vendita dei biglietti aerei, col prezzo “dinamico”? Se questi ostacoli venissero rimossi, è un sistema che prendereste in considerazione?
EB: Io sono contrario al prezzo dinamico. Penso sia più opportuno definire il prezzo di un biglietto in base a: costi reali, esigenze, possibilità commerciali, valore sul mercato, rispetto del pubblico, valore del “prodotto” – anche se non è elegante ridurre tutto ciò che produce un concerto sotto l’aspetto delle emozioni e degli stati d’animo al termine di “prodotto”. Una volta delineato un equilibrio i prezzi, decisi con chi rappresenta l’artista, saranno comunicati e uguali per tutti. Non ritengo sia opportuno permettere aste o alimentare un fenomeno che nella maggior parte dei casi porterebbe all’innalzamento del prezzo finale per chi partecipa a un concerto: vorrei che i concerti rimanessero fruibili da tutti.
PF: Sarebbe interessante fare un esperimento, ma non credo sia la soluzione. Non si fa perché non piace, e perché è troppo complicato: semplicemente, le rivendite di biglietti non sono attrezzate per qualcosa che non risponde alle esigenze del cliente di riferimento.
CG: Non credo sia possibile applicare questo sistema ai concerti, e non penso sia nemmeno giusto per il pubblico: sono due dinamiche assolutamente differenti. A chi non è capitato di volare su un low cost vuoto nonostante sul sito, all’atto dell’acquisto, ci abbiano tempestato per prenotare il fast track, il sedile così o colà, l’imbarco gold, la navetta della tal compagnia e via con tanti altri optional, dandoti l’ansia e costringendoti a pensare che l’aereo sia pieno come un uovo e che sarà il solito volo di merda? Così a un concerto ci può essere più o meno pubblico, dipende dal successo dell’artista o dalla lungimiranza dell’attività promozionale, ma perché iper-valutarne o svalutarne il contenuto alzando o ribassando i prezzi? C’è poca gente e paghi di meno? E stiamo sempre parlando di eventi da stadio; non sono molti gli artisti che vivono questa dinamica del bagarinaggio in un anno in Italia, rispetto ai migliaia di concerti che si tengono in tutta la penisola. Fanno scalpore per la valenza mediatica di questi artisti ed è importante combattere questa frode, ma stiamo pure sempre parlando di pochi eventi annuali. Mi pare scorretto per il fan duro e puro, che acquista per primo sempre e comunque. Nei voli o sui treni ad alta velocità così come negli hotel il prezzo dinamico funziona al contrario. No, il prezzo di un concerto non può essere dinamico, come non può esserlo quello di un museo; anche solo per gli accordi previsti tra organizzatore e entourage dell’artista a livello squisitamente pratico, ma soprattutto per una questione di dignità della cultura e delle emozioni. Non è questo il campo “merceologico” cui applicare questo tipo di esperienza.
Quale è secondo voi un rapporto ideale, a livello di percentuale, tra cachet dell’artista ed incasso lordo? A quanto si attesta invece la media attuale? Come è cambiato negli anni questo rapporto, se è cambiato?
EB: Non esiste a mio modo di vedere una media purtroppo, perché se da una parte si parla di secondary ticketing dall’altra si dà poca attenzione al fatto che molti concerti non danno i risultati sperati. Gli accordi standard prevedono una divisione che fa dall’80/20 al 95/5 tra artista e promoter, al netto di costi per lo spettacolo specifico, IVA e Siae, ma si ragiona anche su un garantito per l’artista che non necessariamente viene coperto dagli incassi, quindi può capitare di lavorare in perdita. Va spiegato che l’artista non percepisce comunque tutto ciò che riceve dall’accordo; avendo comunque spese ingenti in base al tipo di produzione e spettacolo che propone. Da quando io faccio questo mestiere queste percentuali sono rimaste invariate.
PF: Cresce come il prezzo dell’oro. Quando ho cominciato io, nel 1998, si faceva 70/30, oggi si arriva al 95/5 se non addirittura peggio.
CG: Io ti posso parlare per la mia esperienza. Non è una scienza esatta, secondo me la sostenibilità a livello di preventivo sta in un punto tra il 70 ed il 75% del cachet, più tutta la produzione / le spese e l’incasso lordo. Io lavoro prospetticamente in questa direzione e non ti posso dire come funziona per altri, non saprei proprio, ma ti posso assicurare che a livello di consuntivo spesso si finisce in realtà tra l’80 e l’85% e poi invece può proprio finire male.