Semplificare le leggi, sì, perché in Italia sono davvero un incubo. Il solito problema della over-legislazione per cui le istituzioni e le burocrazie si tutelano mettendo dei paletti assurdi, completamente lontani dalla realtà fattuale e da come la musica, gli eventi, in generale la vita vengono vissuti, di modo da lavarsi la coscienza. Il risultato? Essere completamente a norma di legge è qualcosa che riescono a fare solo i posti super-mainstream e con economie di scala di un certo tipo. In più, diventare imprenditori in campo culturale significa dover perdere mari di tempo in adempimenti burocratici e fiscali che più che a tutelare diritti sembrano più servire a mentenere in piedi i carrozzoni della burocrazia e della fiscalità. Urge un cambio di rotta. Che non è un “Liberi tutti, fate il cazzo che vi pare”: la sicurezza è fondamentale, una fiscalità equa è importante e doverosa. Ma ci sono mille modi per snellire e rendere più ragionevole il nostro impianto amministrativo e legislativo. Le leggi dovrebbero tutelare chi fa impresa, non essere una zavorra. E per quanto riguarda il pubblico e la sicurezza, esiste il buon senso. Che già se uno va a guardare le capienze legali di molti posti capisce che è ad oggi, purtroppo, una merce rara. In parecchi dei vostri preferiti se si andasse sold out una volta raggiunta la capienza legale, il locale vi sembrerebbe mezzo vuoto. Ha senso, questa cosa?