Non si spegne l’eco delle polemiche sulla proposta del CTS di riaprire sì le discoteche, ma limitando la capienza indoor (perché parlare di capienza outdoor a ottobre inoltrato è ridicolo) al 35%, da quasi tutti ritenuto un limite troppo basso per poter operare, stile “Se le condizioni sono queste, allora manco apro“. Avremo modo di tornarci sopra, perché in realtà di cose da dire e osservazioni da fare ce ne sarebbero, sulla questione. Non è così semplice, lineare, univoca.
Lanciamo però intanto una proposta, proposta da prendere in considerazione se per un determinato lasso di tempo (ipotizziamo: un mese) sarà davvero in vigore questa limitazione draconiana rispetto alle capienze legali – e ricordiamo che in Italia le capienze legali sono spesso una barzelletta, quindi sì, la situazione è davvero difficile.
Domanda (e proposta): perché tutti i dj italiani più conosciuti e forti sul mercato, e i dj stranieri che sentono/ritengono di aver ottenuto molto dal pubblico italiano, non accettano di suonare per questo determinato lasso di tempo a un cachet simbolico presso i locali che vorranno riaprire e fare comunque programmazione? Si potrebbe addirittura immaginare che ogni dj (o agenzia che rappresenta dj che si prestano all’operazione, italiani o stranieri che siano) “adotti” un club: ciascuno si scelga un posto che per storia, attitudine, tradizione, visione sia ritenuto prezioso e cruciale per la sopravvivenza dell’ecosistema clubbing in Italia.
Dovrebbero parlarsi fra loro i dj, e le agenzie. E poi contattare in modo mirato promoter e proprietari di venue. Arrivando a costruire insieme l’operazione.
Artisti che abitualmente costano 2, 3, 5, 20.000 euro potrebbero, lo ripetiamo solo per un determinato e ben circoscritto lasso di tempo, e di sicuro finché è in atto la limitazione del 35%, accettare di suonare a un cachet simbolico di poche centinaia di euro. Facciamo direttamente: 100 euro, più le spese. Un’operazione che avrebbe senso se fosse organizzata e coordinata: perché di dj che accettano di suonare a poco, vista la situazione creatasi, volendo ce ne sono anche, molti l’hanno fatto in questi mesi. Ma tutto questo avrebbe molta più ragion d’essere se fossero un po’ tutti i nomi grossi ad agire, e se lo facessero dichiarando esplicitamente l’operazione e il suo senso.
Un senso che sarebbe: “Abbiamo ricevuto tanto, negli anni: soldi, successo, fama, considerazione, amore del pubblico – tutte cose che ci hanno cambiato la vita in meglio. Ora in un momento di difficoltà siamo pronti a venire incontro, a venire in aiuto“. E un senso che sarebbe anche, “adottando” ciascuno un club diverso, evitare gli affollamenti tipici dei periodi “normali” in cui tutti sgomitano per suonare nei quattro, cinque super-club che sono riusciti a resistere nel Bel Paese, e il resto è giusto una sporadica concessione. Cinquanta dj per cinquanta club. O cento dj per cento club.
Le comunità è (più) bello se emergono quando la situazione è dura, quando c’è da spezzare il pane e dividerlo, dato che è pochissimo; non quando tutto va alla grande, e tutti ci mangiano
Bisognerebbe invece creare una operazione diffusa, che valorizzi il reticolo delle realtà che negli anni hanno lavorato con impegno e qualità anche senza dover per forza gestire migliaia di ingressi o senza essere parte sistematica delle aste e dei tour dei “soliti” grandi nomi.
Lo ripetiamo, tutto questo ha senso solo se organizzato, ben studiato, comunicato. Questo infatti non è un appello populista stile “Voi dj avete guadagnato come dei disperati dal clubbing, ora però non volete muovere un dito per aiutare, stronzi“. Chi è arrivato a valere molto sul mercato, ha lavorato molto – e usato il proprio talento – per farlo. I soldi che è arrivato a prendere, li ha presi non perché abbia minacciato qualcuno a mano armata – gli sono stati dati. E facilmente si tornerà a darglieli, in buona parte.
Ma in un momento di difficoltà straordinaria del sistema, i dj e le agenzie più di successo legate ad essi sono pronti ad organizzarsi, coordinarsi e a fare qualcosa di eclatante? Sì? No? Sono pronti a ribadire il concetto che il clubbing è, o dovrebbe essere, una comunità? Perché le comunità è (più) bello se emergono quando la situazione è dura, quando c’è da spezzare il pane e dividerlo, dato che è pochissimo; non quando tutto va alla grande, e tutti ci mangiano.
Ad oggi, l’unico momento che alcuni “pezzi grossi” fra i dj si sono organizzati – in questo caso a livello internazionale – è stato per una operazione profondamente sbagliata, quella dei tour manager. Vogliamo restare fermi a questo? Davvero non si riesce a fare meglio?
Quanto sarebbe forte ed importante una azione organizzata, strutturata, coordinata, ben comunicata. Quanto. Si potrebbe anche pensare a delle date da fare non nel weekend, ma durante la settimana: così chi ha un calendario internazionale ben nutrito – dove si è ripreso a ballare alla grande – non deve perdere nulla di nulla; ed al tempo stesso si ritorna ai tempi quando spesso e volentieri si ballava anche nei giorni che non erano sabato, come nel periodo d’oro del clubbing italiano. O come potrebbe tornare o iniziare ad essere, per rendere sostenibili le economie d’esercizio di locali in caso di limitazioni ancora durature.
Capiamo l’argomentazione dell’artista “Piuttosto sto fermo, e aspetto che la situazione torni normale“. Capiamo anche l’argomentazione delle agenzie: “Se per una buona causa dai l’artista X a 100 euro, dopo sarà più difficile riportarlo al prezzo di mercato pre-pandemia“. Le capiamo, queste argomentazioni, ma non ci trovano d’accordo: sono argomentazioni da periodo “normale”, in cui uno ragiona come gestire al meglio la propria crescita professionale. Qua c’è invece un intero mondo che sta per morire. Chi ha la fama, e chi ha in mano il mercato, forse è il caso che usi questo suo potere, perché c’è un’emergenza in corso.
Un dj di quelli forti “adotta” un club. Uno per uno. Per un determinato periodo di tempo. Suonandoci a costo simbolico. Annunciandolo, rivendicandolo, spiegandone i motivi, essendone orgoglioso. Mettendoci la faccia (…perché nel residentadvisoriano Save Our Scene la faccia e il portafogli dovevano metterceli solo i fan e gli appassionati, non i veri potenti&vincenti del settore).
Perché no?
Altrimenti aspettiamo che non ci siano più limitazioni, e si torni alla solita rumba che c’era prima.