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[tab title=”Italiano”]I 65daysofstatic nascono nel 2001 a Sheffield, Inghilterra, nel modo più genuino possibile, ovvero per incontrarsi e suonare insieme dopo intense giornate lavorative. Nei primi anni il gruppo cambia più volte componenti, vedendo però sempre stabili alle chitarre e alle tastiere rispettivamente Joe Shrewsbury e Paul Wolinski. Nel 2004 arriva il primo album, “The Fall of Math”. Ad oggi la band ha all’attivo 6 album in studio più un live a New York. Spesso la questione del genere suonato dai 65daysofstatic viene liquidata inserendoli nella corrente post-rock, ma se non fosse per la classica formazione basso-batteria-chitarra, sarebbe la parola meno appropriata per definirli. I 65 si trovano all’intersezione fra math rock, noise, glitch e a tratti si avvicinano a breakcore ed IDM — dare una definizione più puntuale sarebbe alquanto difficile, ma anche poco utile in fin dei conti, un loro disco parlerebbe sicuramente meglio di me. Abbiamo scambiato qualche parola con Joe Shrewsbury, componente storico della band, su passato, presente e futuro del progetto e questo è quanto è uscito fuori.
Iniziamo subito parlando di musica: non che sia oltremodo determinante al fine di comprendere meglio le vostre opere, ma qual è stata la musica da cui sono nati i 65daysofstatic? Cosa ascoltavate 15 anni fa, quando il progetto iniziò a prendere forma?
I 65daysofstatic sono nati dall’ingenuo desiderio di cambiare il tessuto della realtà attraverso la musica, dalla voglia di delineare l’intangibile e… per avere un posto dove andare la sera dopo le nostre terribili giornate lavorative. Esprimere noi stessi, stare assieme erano sicuramente cose più interessanti rispetto al rimanere a casa e perdersi in quel piccolo schermo privo di speranze. In quel periodo, probabilmente, ascoltavamo molto i Godspeed, un po’ gli Orbital, At The Drive-In, Deftones. Ma abbiamo sempre ascoltato un sacco di roba, quindi nella nostra testa al tempo c’era sicuramente di più. Ad esempio, ricordo di esser stato ossessionato per anni con “Live From a Shark Cage” di Papa M. Con quel disco avevo un rapporto unico, lo stesso che oggi ho con “Solo Piano” di Phillip Glass. Fu un disco che avrebbe continuato a suonare nella mia testa per diversi anni.
Come si è trasformato da progetto secondario/dopo-lavoro alla vostra principale attività?
Prendemmo la fatidica decisione quando realizzammo che nulla sarebbe stato come essere in una band e che dovevamo sfruttare il poco tempo che ci rimaneva per fare più rumore possibile davanti alla folla più numerosa possibile. In realtà non so bene come rispondere. Non so precisamente come si verificò il passaggio… stando molto, ma molto, molto attenti con i soldi?
Ho letto da qualche parte — correggimi se sbaglio — che agli inizi lavoravate molto sui mash-up, in fin dei conti anche successivamente avete continuato a farlo. Come mai questa passione? Ad esempio, “I’m Dreaming of a White Noise Christmas” come è nato? E quel video?
Abbiamo, o meglio, Paul ha iniziato a fare mash-up e roba simili in un periodo in cui quel genere di cose si vedevano molto. Mescolare brani in quel modo non fu mai ai fini della farsa, era più un modo per sperimentare forme di musica nuove, una reazione alla natura di tutto quel Pop che circolava. Ma non solo, era anche un modo per riconoscere e mostrare quanto parte del pop di inizio millennio fosse valido. Penso che fu un nostro compagno, Dave, a fare quel video come parte di un progetto chiamato Medlo, un gruppo che era solito fare cose del genere con materiale video. Non saprei bene dirti il valore che avevano, però li abbiamo conservati anche perché rappresentano un modo valido e creativo per giocare con la sempre più vacua cultura popolare che caratterizza i nostri tempi.
Tornando alla nascita del progetto, una domanda classica ma inevitabile (scusami!): non sono riuscito a trovare una spiegazione confermata del vostro nome. Quale fra le due più gettonate: il film di Carpenter o una fantomatica operazione della CIA?
Perché dovrebbe servire una spiegazione confermata per il nostro nome? Renderebbe i 65daysofstatic più o meno interessanti? Vedi se riesci a procurarti una copia di “Stealth Bomber” di Carpenter e dagli tu una spiegazione.
Ascoltando i vostri brani c’è un’interessante unione di momenti che sembrano nati da improvvisazioni melodiche e altri invece fortemente studiati. Ciò che è certo è che mi sembra assurdo che siate riusciti a scrivere “The Fall of Math” in soli 4 giorni e “We Were Exploding Anyway” in soli 7. Un misunderstanding della rete?
Abbiamo impiegato molto più tempo per scrivere quei due album! Furono registrati in poco tempo, non scritti. La ragione per cui registrammo “The Fall of Math” in 4 e “We Were Exploding Anyway” in 7 giorni fu molto semplice: non avevamo soldi per prendere lo studio per più giorni.
Con l’esclusione di “We Were Exploding Anyway” avete impiagato via via sempre più tempo per scrivere i vostri album. L’ultimo a quanto pare è proprio quello con il periodo di incubazione più lungo. Nel vostro caso specifico, c’è un legame proporzionale fra il tempo impiegato per scrivere l’album e la sua qualità? E’ necessario inevitabilmente più tempo per fare un album migliore?
Beh, chi può dire cosa sia veramente fondamentale. La strutturazione dell’idea e la stessa ispirazione sono sicuramente momenti determinanti. Per noi sarebbe veramente folle pensare e scrivere un album dopo l’altro, subito dopo averne finito un altro ad esempio. Ogni disco porta con sé quelle che potremmo definire delle lezioni intrinseche e queste si vanno direttamente a costituire come un ponte per un’evoluzione in positivo. Anche i lavori che senti non essere abbastanza buoni sono comunque funzionali a questo processo, perché ogni errore che fai ti dà la possibilità di capire cosa non fare. E questo è indubbiamente utile. “Wild Light” è sia il prodotto dei precedenti 10 anni di esperienza come 65daysofstatic, sia la conseguenza dell’aver avuto il grande lusso di potergli dedicare ben due anni.
Nei primi anni, come vivevate il fondere live una formazione rock con un’elettronica incisiva? Non che nel XXI secolo si potesse parlare a tal riguardo di una vera e propria novità, ma inizialmente immagino la cosa eccitasse anche voi, come una specie di sfida magari…
Ci è sembrata una cosa veramente ovvia da fare, anzi, non capivamo perché molte altre band non l’avessero ancora fatto. In alcuni ambiti musicali che seguivamo era stato fatto, vedi i New Order o i Portishead, ma anche i Radiohead. Cosa ancor più rilevante è che band come quelle appena citate hanno mostrato quanto fossero superflue distinzioni come quella fra “elettronico” e “acustico” per quanto riguarda lo scrivere la musica. Con questo non voglio dire che non abbiamo mai trovato difficoltà nel mescolare insieme questi due aspetti, anzi, spesso è stato complesso, soprattutto nei live. Alcuni problemi, ad esempio, erano connessi alla tecnologia — non riuscivamo a trovare computer a cui ci potevamo veramente affidare, che facessero sempre ciò che volevamo e quando lo volevamo. Fortunatamente questo aspetto del problema è stato decisamente superato.
Oggi invece? A volte sembra quasi ce ne sia di meno di elettronica. Può essere che sia semplicemente dovuto ad un differente modo di inserirla e missarla? Un modo migliore magari!
L’elettronica è sempre lì, nella distorsione delle chitarre, nei colpi martellanti di batteria — in un certo senso c’è un po’ meno di tutto oggi nei nostri dischi, quanto meno speriamo sia così. Stiamo lentamente imparando ad usare meno elementi, ad aver bisogno di meno suoni per produrre musicalmente l’impatto emozionale che cerchiamo. Non intendo dire, con questo, che stiamo tendendo verso il minimalismo, ma di certo stiamo cercando di essere più minimali rispetto alle prime composizioni dei 65daysofstatic.
A proposito di elettronica: nel brano “Tiger Girl”, a chi è venuto in mente di mettere quel kick in 4/4 così? Spudorato! E’ stata accolta subito positivamente l’idea?
La colpa è di Paul! Ma a parte gli scherzi probabilmente sì, l’idea venne accolta bene. L’idea alla base dell’intero album era di far sì che le ritmiche da sequencer e gli elementi elettronici in generali risaltassero rispetto allo sfondo — le linee di chitarre del resto sono abbastanza snelle e sono sfruttate anch’esse perlopiù come elementi elettronici. Ci rendemmo poi conto che non avevamo sperimentato e inserito nel disco un brano con un vero e proprio four-on-the-floor dance come tappeto. Alla fine non abbiamo certamente scritto una traccia che potrebbe essere suonata in un club di Berlino, è chiaramente un brano dei 65daysofstatic e ha una folle quantità di chitarre verso la fine. Ad ogni modo è stato qualcosa che non avevamo mai fatto prima, ci ha fatto conoscere luoghi nuovi in un certo senso, ed in definitiva è questo ciò che conta.
E poi nei live come gestite tutto il lato elettronico? Voglio dire, quanto riuscite a fare live? D’altronde nessuno di voi si occupa solo ed esclusivamente dell’elettronica, quindi immagino la libertà esecutiva nei live nel vostro caso stia più nelle dinamiche batteria-chitarra-basso-tastiera che non propriamente nell’elettronica…
Per molte delle tracce più vecchie usiamo delle registrazioni. Non pensiamo ci sia niente di male in fondo, anche se, a dire la verità, ci arrovelliamo molto su come risolvere la cosa. In fin dei conti non siamo dei puristi e nei live il fine giustifica i mezzi. Detto questo, da “We Were Exploding Anyway” in poi l’elettronica è decisamente gestita meglio nelle performance. Per diversi fattori, non per ultimo il fatto che finalmente ci siamo forniti di computer e apparecchiature stabili. Inoltre integriamo cose come V-drums con il live set in un modo che non definirei “superfluo” ma che al contrario ci permette di aggiungere qualcosa di sostanziale allo show. Infine, da un po’ di tempo a questa parte quando scriviamo usiamo più live synths e beat integrati, di conseguenza è più facile trasferire tutto in formazione live.
La vostra musica (che, contro la mia opinione, molti avvicinano ai Mogwai e al post-rock) è per così dire molto rumorosa, a volte complessa, ricca, ecco, ricca! Un caos controllato possiamo dire, tipico di stili come il math-rock. Per come la vedo io, maggiore è il rumore — inteso come appena detto — maggiore dev’essere l’ordine fra i musicisti ai fini di un’ottima riuscita. Come gestite tutto ciò in studio? Come fate ordine?
Beh, innanzitutto, come ti dicevo, siamo migliorati molto nello scrivere i brani. Ormai siamo molto in sintonia fra di noi come musicisti. Con il tempo abbiamo imparato a suonare come si deve assieme, abbiamo appreso molto, penso, circa ciò che riguarda i vari ruoli che ognuno ha nella band e in generale abbiamo fatto passi da gigante sulla produzione. Personalmente non sono capace a usare software come Pro Tools e similari, ma sento che ho imparato veramente molte cose sullo scrivere un album. Come comporre, come gestire gli arrangiamenti, la dinamica e così via. E’ una sorta di curva dell’apprendimento che si muove in positivo. Più di recente abbiamo fatto veramente un ottimo lavoro di produzione con il nostro amico Dave Anderson, lui sì che controlla coma si deve il casino che facciamo!
Immagino il perno centrale sia la parte ritmica che tiene tutto insieme. Quando Rob è entrato stabilmente nel gruppo non faccio fatica a credere che abbia liberato il lato più fantasioso dell’elettronica. Come gestite questi due piani: programming e real drum?
È stato lì che la band ha iniziato veramente a lavorare, quando Rob si è unito a noi. Poi in fin dei conti il suo arrivo è stato prossimo all’inizio di tutto. Per il resto, devo dire che Rob e Paul sono semplicemente molto bravi a scrivere linee ritmiche ben incastrate fra di loro. Quindi in definitiva sì, quando Rob entrò a far parte del gruppo i risultati che potevamo raggiungere e le possibilità che ci si prospettavano aumentarono esponenzialmente e in maniera determinante. Ma allo stesso tempo questo è vero anche per quando Si si unì a noi e iniziò a 1) costruire sintetizzatori modulari e produrre rumori incredibili, 2) aggiustare cose che si erano rotte.
Un altro approccio ancora è quello usato per “Silent Running”, nato come nuova colonna sonora per l’omonimo film di Douglas Trumbull (a sostituzione di quella di Peter Schickele e Joan Baez, fra l’altro!). Qual è la storia di questo vostro disco?
La nostra colonna sonora di “Silent Running” fu scritta originariamente sotto commissione per il Glasgow Film Festival del 2011. Sarebbe stato eseguita in sole due occasioni, ovvero in due serate del festival. Tutto sarebbe finito così. Ma quel lavoro fu ricevuto talmente bene a Glasgow che decidemmo di riproporlo per qualche altra volta in giro per l’Europa. In breve tempo si rese chiaro che il pubblico voleva che registrassimo la musica che avevamo scritto per quel progetto, così iniziamo a vagliare varie ipotesi per farlo. Avevamo avuto un’esperienza poco entusiasmante con un’etichetta per la pubblicazione di “We Were Exploding Anyway” e ci sentivamo un po’ disillusi, non avevamo molta voglia di immischiarci con la solita industria musicale. Così decidemmo di provare con il crowd funding. La risposta che ricevemmo fu eccellente, riuscimmo non solo a registrare, ma anche a fare una tiratura limitata in vinile. È rimasta una delle esperienze più positive che abbiamo fatto come band: un sacco di persone che ottengono musica senza intermediari, senza contratti, niente merda che provenisse dalla noiosa e depressiva industria musicale.
Cambiando completamente discorso, e appropinquandoci verso la fine di questa chiacchierata, come mai molto spesso di un gruppo si adora il primo album e i successivi via via sempre meno e allo stesso tempo invece per gli artisti è generalmente il contrario (il miglior album e quasi sempre l’ultimo, o il prossimo!)?
Per molte ragioni probabilmente. Il buon affare fra industria e stampa musicale è regolato dalla novità e dalla ricerca del giovane. A volte può esser difficile per uno degli ultimi lavori di una band (specialmente quando il gruppo in questione è strano o meno conosciuto come lo siamo noi) essere inquadrato all’interno di questo contesto ossessionato da “il nuovo”. Il che è una vergogna, perché siamo migliori almeno del 90% della spazzatura a cui dedicano tempo, soldi e righe di articoli.
E ora state lavorando ad un prossimo (e migliore) album? Avete qualche elemento da poter condividere sul futuro prossimo dei 65daysofstatic?
Sì! stiamo scrivendo la colonna sonora e contribuendo al sound design di un gioco per computer, “No Man’s Sky”. Ed è davvero eccitante. È un videogioco cosiddetto “procedurale”, ovvero si autoproduce mentre tu lo scopri, si crea mentre ci giochi. Ha un vibe sci-fi anni ’70 che è fenomenale. Inoltre, stiamo per rilasciare un nuovo full length album con, fra gli altri, alcuni brani del gioco. Dopodiché gireremo in tour per anni probabilmente. Altrimenti, ci separeremo.[/tab]
[tab title=”English”]65daysofstatic were born in 2001 in Sheffield, England, in the most genuine way: in order to meet and play music together with friends after a day of work. Throughout first years of activity, the group changes many times members, but keeping stable Joe Shrewsbury and Paul Wolinski (two of the three founders). In 2004 the first album is out, it is “The Fall of Math”, on Montreme Records. Today the band has to its name 6 studio album and a live in NYC, plus obviously different EP’s. Often, the matter of what kind of music they play is solved using the definition “post-rock”, but I don’t think it’s a good word to talk about their sound. 65daysofstatic’s music is at the crossroad between math rock, noise, glitch, IDM and, rarely, breakcore, but these are only words, giving a more accurate description would be difficult and also worthless in the end, one of their albums of course talks better than me. We had a talk with Joe Shrewsbury about past, present and future of this project, here what we’ve talked about.
Let’s begin immediately talking about music: I don’t think it is necessarily decisive to better understand your works, but what kind of music is 65daysofstatic born from? What did you listen to 15 years ago, when the project was just beginning to take its first shape?
65dos was born from a naive desire to change the fabric of reality via music, to express the intangible and to have somewhere to go in the evenings after our terrible day jobs to express ourselves and be together rather than staying home getting lost in that hopeless little screen. At the time we were probably listening to a lot of Godspeed, some Orbital, some At The Drive In, some Deftones. But we have always listened to lots of stuff, so there was probably a lot more going on in our heads. For instance, I had been obsessed for years with Papa M’s ‘Live From a Shark Cage’. I felt about that record how i feel about Phillip Glass’ ‘Solo Piano’ today. It was something I’d carried round in my head for ages.
How did you manage to turn a secondary free time project (I’ve read you recorded your first album in this way!) into your main activity? At what point did you decide to do this?
We decided to do it when we realized nothing else was ever going to be as good as being in a band and we needed to use whatever short time we had making the most possible noise in front of the most possible people. I’m not sure how to answer how we did it…by being really really careful with money?
I’ve read somewhere – correct me if I’m wrong – that especially in the beginning you used to work a lot on mush-ups. Why this passion for this kind of composition? For example, how was “I’m Dreaming of a White Noise Christmas” born? And what about that odd video?
We (or more accurately Paul) started to make mash-ups and stuff like that at a time where there was quite a lot of that sort of thing about. Mashing songs together like that was never an attempt at comedy, it was more of the fallout from searching for new forms of music, a response to throw away nature of a lot of that pop stuff, but at the same time almost a way of acknowledging how good a lot of early millennium pop music was. I think our mate Dave made the video for that song, as part of a video art group called Medlo who were doing very similar sort of mash up stuff with video. I don’t know, we’d maintain that mash-ups and stuff like that remain a valid and creative way to enjoy our increasingly flimsy popular culture.
Going back to the birth of the project, a predictable (sorry!) but inevitable question: I haven’t found a confirmed explanation of your name. Someone talks of a film by John Carpenter, others of a CIA operation in Guatemala. Which one?
Why do you need a confirmed explanation of our name? Would it make 65daysofstatic seem more or less interesting? See if you can find a copy of Carpenter’s ‘Stealth Bomber’ on video and find out for yourself.
Listening to your music I noticed there is an interesting combination of moments that seem to be born from melodic improvisations and others heavily studied and researched. How was it possible to write “The Fall of Math” in only 4 days and “We Were Exploding Anyway” in just 7?
It took much longer to write those records. They were recorded in a short time, not written. The reason we recorded the “Fall of Math” in 4 days and We Were Exploding Anyway in 7 was simple: we didn’t have any more money than that to pay for more studio days.
With the passing of time, with the exception of “We Were Exploding Anyway”, you spent even more time writing your albums. The last one, Wild Light, is the one with the longest incubation period. In your specific case, do you think there is a proportional link between the time needed to write an album and its quality? Is a longer time fundamental to produce a better album?
Well, who knows what the fundamentals are really. Gestation of ideas and inspiration and such is definitely important. It’d be really for us got and write an album immediately after finishing one, for instance. But really I think it’s culmination of writing records that makes each record better. Every record you make has it’s own inherent lessons and they’re directly transferable to your forward progression. Even records you feel aren’t your best work are useful in this way, because making mistakes teaches you what not to do. And that’s helpful. Wild Light is as much the product of the previous ten years experience being in 65daysofstatic as it is the product of having the luxury of two years to work on it.
In the early years, how did you feel in merge a classical rock band with incisive electronics? Not that in the twenty-first century we could still see this merging as a real novelty, but initially I imagine it excited you, like a kind of challenge, maybe…
It seemed to us a really obvious idea, and we couldn’t work out why more bands didn’t do it. Some music we liked did do that, like New Order or Portishead, and then Radiohead. More importantly, bands like that demonstrated that it wasn’t important to make a distinction between the ‘electronic’ and the ‘acoustic’ in terms of writing music. Not that we didn’t find it very difficult to blend the two sometimes, particularly in the live arena. Some of those problems were related to technology-we couldn’t find computers we could rely on in a live setting that would do what we wanted them to do. Fortunately, that side of things has caught up immensely.
And now? Sometimes it seems there is less electronic compared to your previous albums. Could it be that this is simply due to a different way of merging and mixing it? Maybe a better way!
The electronics are still there, as are the noisy guitars and pounding drums – in a sense there is less of everything on our records, or at least, we hope there is. We’re slowly learning to use less elements to make the emotional impact that we want musically. Not minimalism by any means, but certainly more minimal when compared with those early 65 compositions.
Apropos of electronics: at the beginning of “Tiger Girl”, who had the idea of using that nude 4/4 kick? Shameless! Was the idea been immediately warmly welcomed by the rest of the band?
It was Paul, and yes it probably was. The idea for that whole record was to make the drum programming and electronic elements very upfront in the mix – the guitars are quite thin, and they’re utilized almost as electronic elements in themselves. The one thing we felt we hadn’t tried on the record that was coming together was as proper four-to-the-floor dance track. In the end, we didn’t write a track that could be played out in a club in Berlin, because it’s evidently a 65daysofstatic tune and has an insane amount of guitars on the end. However, it did render up something we hadn’t done before, it took us somewhere new, and that was useful.
And in the live shows how do you control the electronic side? I mean, how much can you do during live performances? I’m asking this because none of you are responsible ONLY for the electronic aspect, so I imagine freedom in your shows is more in the dynamics of drum-guitar-bass-keyboards and not properly in electronics…
A lot of the older tracks are simple playback. There’s nothing wrong with that we don’t think, although we used to spend a lot of time worrying about it. End of the day, we’re not purists, and the ends justify the means in the live arena. That said, from ‘Exploding..’ onwards, the electronic elements have been much better represented live. This is due to a number of factors, not least of which was building a really stable computer system. We also integrated things like V-drums into our live set up in a way that we didn’t find superfluous but added to the spectacle of the show. And we use more live synths and triggered beats when we write now anyway, so they translate more easily into the live show.
Your music — which, contrary to my opinion, lot of people consider really close to Mogwai and post-rock) — is in some way really noisy, sometimes it is complex, rich, here we are: it’s rich! I would say a “controlled chaos”, typical of styles such as math-rock. I imagine in this kind of music (noisy, complex and chaotic) you have to highly control the order and dynamics between different musicians in order to have the best result with that mess of sounds. How do you manage all this in the studio? How do you order the mess?
Well, like I said before, we’ve got better and better at writing music, we’ve become more in tune with each other as musicians, and that’s got a lot to do with how well we’ve been playing together. We’ve all learnt a lot, I think, about what are role’s in the band are, and about production. I’m not personally able to use music software like pro-tools and so on, but I feel i’ve picked up so much through making records about composition, arrangement, dynamic and so on. It’s all a huge learning curve. More recently we’ve done really good production work with our friend Dave (Sanderson) who controls our mess really well!
I guess the central pivot is the rhythmic section that holds everything together. When Rob permanently joined the band I imagine lots changed in terms of electronics, I imagine you started to have more freedom regarding this. How do you handle these two plans: programming and real drum?
Well that’s when the band really started to work, when Rob joined, and it was so near to the beginning of the band anyway that it’s sort of negligible. Rob and Paul are just really good at writing interlocking drum stuff. So yes, when Rob joined the possibilities for what we could achieve just widened exponentially in a fundamental way. But then the same is also true of when Si joined the band and started a) building modular synths and making amazing noises and b) fixing stuff that was broken.
Another approach is the one you used for “Silent Running”, that was born as a new soundtrack for the film of the same name by Douglas Trumbull (furthermore, to replace the OST by Peter Schickele and Joan Baez indeed!). What is the history of Silent Running album?
Our Silent Running soundtrack was written originally as a commission for the Glasgow Film Festival in 2011. It was only going to be performed on two consecutive nights in Glasgow and that would be that. The reception that project was really good, so we ended up playing a few of those shows round Europe. It pretty soon became clear that there was a demand for us to record the music we’d written for the project and so we started to examine ways we could do that. We’d had a fairly mundane experience with a record label for the release of ‘We Were Exploding Anyway’ so we were feeling a bit disillusioned with regular ‘music industry’ models of doing things, so we decided to experiment with crowdfunding the record. The response we got was excellent, and we were able to record and press the record to a small run of vinyl. It remains amongst the most positive experiences we’ve had as a band – a bunch of people getting music made with no middle man, no contracts, no boring depressing industry crap.
Completely changing the subject, and approaching the end of our talk, why in your opinion does the audience often like especially first albums of a band and they often don’t appreciate the later ones as much as the first ones, whereas for artists and bands is completely the opposite (the best album is always the next one!)?
Lots of reasons probably. A good deal of the music industry and the music press is geared towards youth and newness. It seems difficult sometimes for a band’s later work (especially when the band is strange and small like s) to be framed within the context of that obsession with ‘the new’. Which is a shame because we’re better than at least 90% of the rubbish they devote time, money and column inches to.
And now, are you working on a next (and better!) album? Do you have anything that you can share with us about the near future of 65daysofstatic?
Yes! We’re writing the soundtrack and contributing to the sound design of a computer game called No Man’s Sky, which is really exciting. The game is procedural, which means it generates itself as you discover it, and has an amazing classic 70s sci-fi vibe. We’re going to be releasing a full length album with some of the music from the game as well. Then we’ll probably tour for ages. Or split up.[/tab]
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