Ci sono musicisti che per noi impersonano quasi un modello artistico da seguire ed ogni qual volta vediamo apparire il loro nome su di una traccia o una release, siamo sicuri che appena ascolteremo il loro lavoro, chiuderemo gli occhi per riaprirli solo alla fine come essere appena tornati da un viaggio sensoriale e ci chiederemo: cosa è successo? In questo caso, colui di cui andrò a parlare in questa review, non ha alcun bisogno di presentazioni ormai, basta che scriva il suo nome e so che mi seguirete: Rio Padice. Il mio rapporto con questo artista è iniziato quasi casualmente. Ha attirato la mia attenzione per la prima volta nel febbraio di due anni fa con un suo lavoro su Metroline (di cui vi ricordete anche il remix di Ray Okpara) e da lì non solo ho continuato a seguirlo, ma i suoi lavori oltre che essere stati proposti da alcune delle label più importanti della scena underground, sono diventati una presenza certa e di rigore nella mia borsa dei dischi, oltre a diventare una certezza un po’ per tutti gli artisti che si rispettino in cicrcolazione, consacrandolo come il maggior esponente italiano di questo movimento.
Dopo l’ultimo extra su Claque Musique, dove Dario ci riporta sui pavimenti illuminati della disco anni ’70, ecco il suo nuovo lavoro sulla medesima label di Carola Pisaturo che sarà negli stores verso la metà di giugno. Ho apprezzato questo EP per la prima volta già da una preview linkatami proprio dallo stesso autore ed ho deciso subito di scriverne, perché meritava veramente che ci si soffermasse su. Quattro tracce compongono la releae, di cui un remix affidato ad Alex Picone, e anche in questo caso si nota la meticolosità dell’artista che vuole affidare un’identità ben definita ad ogni suo lavoro senza mai scadere in nomi scontati o non appropriati alle sue tracce, come se ogni volta volesse raccontarci una storia, un viaggio e qui senza dubbio c’è un lontano richiamo al fascino delle piramidi come si può vedere anche dalla grafica del disco.
“Woodland” apre l’EP e dà anche il nome ad esso. Siamo negli anni’90 e una chord malinconica ci trascina dentro questo viaggio mentale, il resto non sto nemmeno a descriverlo: è scuola. Basso pulsante, riff di synth acido ed un groove caratterizzato da una presenza marcata di ride, tutti sotto lo stesso tetto per ripararsi dalla banalità. A seguire Alex Picone ripercorre le orme della traccia, ma cercando di darne una sua interpretazione ed inserendo nuovi elementi con un risultato decisamente più dancefloor, ma sempre raffinato. Un cut vocale ed un riff di chitarra si innestano alla perfezione nell’armonia della traccia. Ritmo più sostenuto ed atmosfera più dark per “Ocrons Land”, terza traccia e la mia preferità in assoluta dell’EP e non solo…Quando l’ho ascoltata la prima volta, avevo le cuffie ed era come se mi stessero tirando delle martellate nelle orecchie. Una cassa con un tiro decisamente Detroit ti sradica dalla sedentarietà e non hai modo di incorrere in una tregua: devi ballare. Un synth psichedelico è l’anima di questa traccia, nella quale si evince il suono sporco (e a mio avviso incomparabile) degli snare e dei ride analogici, anche qui protagonisti assoluti della ritmica. Dinamite allo stato puro! Usciti dal viaggio oscuro e psichedelico di questa traccia, ci addentriamo in quella che conclude la release: “Mutant Camels”. Dal nome pensiamo subito a un altro viaggio in terre lontane e misteriose ma stavolta è tutto meno oscuro e più armonioso. Ascoltando la traccia viene fuori la ricerca costante e l’evoluzione dell’artista: un riff di basso e hihat ben presenti, sono l’elemento portante di questo groove dove in chiave melodica due synth caratterizzano la traccia. Il secondo in particolare, decisamente più ipnotico, dà quel tocco in più a questa ennesima perla.
Non saprei dare un voto complessivo a tutto il lavoro e sicuramente risulterei di parte. Nella mia review però, anche se mi sono dilungato forse un po’ troppo, ho cercato di riassumere quello che mi hanno trasmesso tutte e quattro le tracce, analizzandole alla mia maniera. EP pulito, impeccabile ed essenziale che ricalca tutte le sfumature dell’old school anni ’90. Si sente il gran lavoro totalmente analogico e quel suono sporcato old tape, il tutto impreziosito da un ottimo remix di Alex Picone che ha saputo rendere personale, un’original che era già molto efficace.
Buon divertimento!