Voglio iniziare questa review con una citazione: “God save the queen”. Non inteso come inno nazionale del Regno Unito e neppure per rievocare i Sex Pistols, ma per ringraziare il “Queens”, mitico distretto di New York dove è cresciuto l’artista di cui sto per parlare. Si perché forse non ci pensiamo, ma la logistica e la crescita culturale e musicale in un suddetto ambiente e periodo, sono importanti per l’evoluzione di un artista. Se poi il genio in questione si chiama Chris Manik, 25 anni di New York, potrei anche chiudere qui la review, perché i fatti parlano da soli. Si presenta al mondo quasi un anno e mezzo fa con un EP su Ovum, giusto per farci capire che sentiremo parlare di lui e dopo aver cavalcato la scena passando da Four:Twenty, Culprit e Poker Flat, è maturato a tal punto da esordire con il suo primo album e tutto questo praticamente in un anno.
“Armies Of The Night” è il risultato della maturazione dell’artista, della sua consacrazione a giovane talentuoso che ha molto da raccontarci in chiave musicale e con questo album ricalca perfettamente ciò che lo ha affascinato. Si evince chiaramente già dalle prime note del suo lavoro, e anche da come sono state strutturate le tracce all’interno dell’album, che ci sono delle basi hip hop nella formazione dell’artista e che sia stato influenzato molto dal sound “ghettizzato” del suo quartiere e ciò viene fuori più che mai dal fatto che come ogni artista hip hop che si rispetti, inserisce un “intro”, “interlude” e “outro”. Ma la vera chiave di lettura sta nel titolo, che quasi senza pensarci troppo ci riporta alle atmosfere surreali ed oscure di un film cult di fine anni ’70 come “I guerrieri della notte” e quando ci addentriamo nell’ascolto delle tracce, il paragone viene fuori fino a diventare una certezza.
L’album è composto da 17 tracce, un numero quasi scaramantico ed inusuale, potrebbe infatti risultare quasi infinito, ma tutto si risolve quando lo si ascolta e si capisece che si tratta di una collezione di perle.
Dopo un intro che se ascoltato ad occhi chiusi ci trascina nella difficile realtà del ghetto, si nasconde “Need Your Lovin”, struggente e raffinata, basso deciso e ritmica old school… senza dubbio la mia colonna sonora di questo album. “Nightfall” (terza traccia), si presenta a ritmo incalzante di clap e ci parla con una voce vellutata: siamo nel momento più glamour di questo lavoro, trascinati dall’ondata disco del momento. Efficace e sexy. Passando dai party estivi di “quelli che ben pensano” ci inoltriamo nella giungla urbana e scopriamo “City Kids”. Basso acido e ritmica pungente, sono le armi di seduzione a cui ci ha abituato fino ad adesso Chris con questa combinazione, e ancora una volta ci cattura usandola per “Don’t Stop Don’t Run”, voce di colore e percussioni: è l’ora di muovere i culi! “She’s Slow Motion” ci catapulta su dancefloor acclamati e party esclusivi. Ritmica essenziale e basso acido sono il biglietto da visita di un futuro successo, oscuro ma dalle sfumature orientali. Uscendo dai party più esclusivi, torniamo su un vecchio cavallo di battaglia targato Manik: l’old school dei rim esasperati e dei clap che non perdonano ed ecco che si materializza “Ruckus 8OH8”, un classico esempio di acid house da intenditori.
Abbassiamo di nuovo il tiro e torniamo su atmosfere più eccentriche e ci imbattiamo su “Lose My Mind” e “Streets Are Deep”. La prima si ricollega molto a ciò che intravediamo tra le righe di questo album, un background oscuro, ritmica old school e suoni malinconici in chiave cosmic disco; la seconda si può riassumere in una sola parola: Visionquest. Paragone che calza a pennello, ma da cui sicuramente l’artista non ha preso spunto. “Talk To You” è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per fare una traccia di successo in questo momento: basso elettronico, ritmica oscura e ipnotica, synth in stile anni’80 e una voce strappalacrime…ma dovete anche chiamarvi Chris Manik!
Chiude questo viaggio “We’re From Coney” titolo che sembra dichiarare le origini dell’artista nonché il riassunto di questo lavoro. Traccia emozionale, con un fit perfetto per il cosidetto “ultimo disco”, con la giusta dose di suggestività per strappare gli applausi ad ogni tipo di pubblico.
Non voglio essere io a dare un voto a questo album, voglio che siate voi a farlo ascoltandolo meticolosamente, cercando di carpire ogni sfumatura ed interpretare il messaggio dell’artista. Faccio una riflessione comunque, tirando le somme di tutto ciò che è stato detto, sentito ed analizzato: “Armies Of The Night” è un album di una maturità disarmante, un ritratto a 360 gradi della sua filosfia musicale e delle sue origini, senza imperfezioni ne’ sbavature, un lavoro completo. Buon divertimento!