Un ep, “Static On The Wire” (2010), e un lp, “Do It, Again!” (2011). Ma anche una stretta partnership con quella che da anni è una delle label culto di eccellenza, la DFA, così come set infuocati in giro per il mondo già da anni e anni: Alex Frankel e Nick Millhiser, ovvero gli Holy Ghost, sono la dimostrazione che si può sopravvivere agli anni ’80. Come? Rimettendoli in circolo, con la freschezza propria della club culture del nuovo millennio.
Mi piacerebbe tornare agli anni targati Automato: cosa vi ricordate di quegli anni? Come descrivereste il vostro suono dell’epoca?
Gli Automato sono nati quando eravamo più o meno quindicenni. Volevamo fare un hip hop suonato dal vivo che avesse lo stesso sapore dell’hip hop basato sui campionamenti che noi amavamo tantissimo: Pete Rock, Dj Premier, Mos Def, Talib Kweli. Ad un certo punto, incontrammo James (Murphy) e Tim (Godsworthy) della DFA – la produzione del nostro primo album era in mano loro – e loro ci introdussero ad artisti come The Fall, Kraftwerk, Wire, Larry Levan, New Order… o almeno ce li fecero scoprire sotto una luce diversa, rendendoceli assai appassionanti. Comunque, siamo ancora molto orgogliosi del disco targato Automato.
E’ passata molta acqua sotto i ponti, musicalmente e non, trasformandosi da Automato a Holy Ghost?
Musicalmente, per certi versi il nostro approccio è sempre lo stesso, ma dal punto di vista concreto prima eravamo in sei ora siamo in due, e questa non è una differenza da poco.
L’incontro coi capi DFA vi ha in effetti cambiato un po’ la vita. Ma com’è che li avete incontrati?
Oh, erano gli amici di un amico del nostro manager. E noi eravamo giovanissimi: appena diciottenni.
Se tiro fuori la parola “disco”, quali sentimenti vi suscita…?
Mah sai, dire semplicemente “disco” è in qualche modo troppo vago. “Disco” può riferirsi a un determinato tipo di musica e cultura degli anni ’70, ma può anche essere il termine per descrivere lo stile e il sapore delle mille pubblicità e filmati odierni che provano a capitalizzare la spinta revivalista riferita a quel periodo. Ma per noi “disco” evoca prima di tutto vinili e scaffali di negozi di dischi.
C’avete messo non poco tempo a pubblicare il vostro primo lp. E’ successo un po’ per caso, o dietro alle tracce di “Do It, Again!” c’è un lungo processo creativo?
Ce lo chiedono un po’ tutti… Risposta breve: eravamo occupati a fare dj set, a comporre, a remixare, a mettere insieme i vari collaboratori… ma anche ad imparare per bene le tecniche per realizzare quello che avevamo in testa. In tre anni a ben vedere abbiamo prodotto un ep, un lp, quindici remix, tour in America, Europa e Asia, e nel frattempo lavoravamo pure con lavori “normali”, almeno per un po’. In questo modo tre anni passano in fretta, non trovi?
Quanta New York è possibile trovare nella vostra musica?
Molta, supponiamo. Siamo nati qua, lavoriamo qua: inevitabile che ci sia molta New York nelle nostre vene.
Che tipo di musica ascoltate quando siete a casa, quando non avete nessun impegno da dj, produttori, sfrenati party animal?
Fleetwood Max, Michael Jackson, New Order, Talking Heads, Supermax… Cose molto diverse fra di loro, dipende dall’umore del momento.
Sentite: dobbiamo rimpiangere veramente gli anni ’80, o dobbiamo solo rimpiangerne il suono?
Non dobbiamo rimpiangere nulla – dobbiamo solo celebrarlo.
English Version:
An ep, “Static On The Wire” (2010), and an lp, “Do It, Again!” (2011). That’s not all, though: we’ve got also a tight partnership with the ultra cool DFA label, plus vibrant gigs throughout the world since years and years: Alex Frankel and Nick Millhiser, aka Holy Ghost, are well the proof that you can properly survive to the 80’s. How? Mathing them with the typical freshness of the new millennium club culture.
I’d like to get back to the Automato days: what do you remember of that era? How would you describe your sound at that time?
Automato started when we were around fifteen. We wanted to make hip hop as a live band that sounded like the sample based hip hop we loved: Peter Rock, Dj Premier, Mos Def, Talib Kweli… Somewhere along the line we met James and Tim from DFA – they produced the Automato record – and they introduced us to artists like The Fall, Kraftwerk, Wire, Larry Levan, New Order… or at least, reintroduced us to those rcords… so we started to get into those sounds as well. By the way, we’re still proud of the Automato album.
Is it a long way, musically and non-musically speaking, from Automato to Holy Ghost?
Musically we still kinda think the same way, but it’s just two of us in the recording studio, as opposed to the six we used to be, and that’s radically different.
How did you get in touch with the DFA crew?
Friend of friend of our manager at the time – we were eighteen.
If I say the word “disco”, what are your thoughts and your feelings about it…?
That it’s too vague to think much about. “Disco” can rather refer to the music and culture of the 70’s, or it can refer to any various ad campaign from today capitalizing on the revivalist cache of that time. But we think first of vinyl and record bins.
It took quite a long before releasing your proper first lp. Did that happen just by accident, or is there a long creative process the tracks of “Do It, Again!”?
Everyone asks the same question, actually. Short version: we were busy writing, djing, remixing, putting the band together… and also busy learning what we wanted to do. It took three years to make an ep, an lp, fifteen remixes, North American, European and Asian tour, plus we had day jobs for part of that time. Three years go by pretty quick!
How much of New York is to be found within the tracks of your album?
We assume a lot. Being born here and working here I think New York is in our blood, to some degree.
What kind of music do you listen to when you’re at home, with no partying, producing or deejaying involved?
Fleetwood Max, Michael Jackson, New Order, Talking Heads, Supermax… Really, it depends on the mood.
Should we miss the 80’s, or should we miss just its sound?
Don’t miss anything – celebrate it!