A farla breve ed essenziale: un successo trionfale su praticamente tutta la linea. Ecco. Ma è anche vero che farla breve ed essenziale sarebbe un peccato, perché tutti i mille lati positivi dell’edizione 2011 di Club To Club andrebbero squadernati con attenzione. Già, per capire come non è vero che sull’Italia grava una nube scura per cui non è possibile fare le cose per bene o per cui comunque la coperta è sempre corta – tiri da una parte, si scopre l’altra. Perché Club To Club esattamente come nelle edizioni passate ha tirato dalla parte della qualità e perfino del coraggio: Alva Noto e Byetone al Lingotto nella sala grande, per dire. Roba che se davanti c’è il pubblico sbagliato finisce a fischi, insulti e fiaschi, con ragazzotti e ragazzotte che invocano bercianti la cassa e l’ultima hit di Loco Dice. Invece no, invece vuoi per la qualità – eccelsa! – del set dei due Raster Noton, con Byetone più ritmico e Noto invece terroristico nell’esplorare le frequenze più estreme, vuoi perché davvero Club To Club ha saputo far capire che dietro alla sua line up c’è un percorso intellettuale preciso e non un’alchimia tesa alla massimizzazione del fatturato, il risultato è che pure lì tutto è filato liscio.
Ma il buongiorno si è visto dal mattino, ovvero dal set d’apertura di giovedì 3 dicembre, Apparat al Carignano. A differenza di altri, a noi il suo album quasi-rock non fa impazzire; però dal vivo la ricetta funziona sempre più, l’interplay fra musicisti è sempre più denso. Lo si è capito dai commenti tutti positivi e dalle facce in certi casi perfino adoranti del pubblico che ha riempito fino all’ultimissimo posto il meraviglioso teatro torinese (già: con Club To Club Apparat riesci a sentirlo sotto stucchi settecenteschi, non capita tutti i giorni). Appropriato anche il set d’apertura della serata, appaltato al buon Lucy che per l’occasione è andato a perlustrare territori ambient vicino più al decennio precedente che all’attuale.
Attenzione però, sono molti i set da ricordare di questa edizione, l’elenco continua: i Modeselektor ormai hanno il diploma da super-gruppo, sono cioè definitivamente pronti a maneggiare platee grosse, da superstar, pur non essendosi ancora montati la testa (anche se si vede che ora si sono resi conto che il gioco è serio: meno cazzoni e caciaroni rispetto al passato, più attenti ad essere inappuntabili e precisi). Dettmann ha menato come un fabbro ma senza mai cadere nel cattivo gusto, anzi. Bene Pantha Du Prince, bene Sandwell District, bene pure Untold e Caribou: tutti loro hanno giovato della Sala Rossa del Lingotto, sala dal caldo furibondo ma dall’acustica perfetta. In Sala Rossa doveva esserci pure Zomby ma – come previsto da chi vi scrive già al momento dell’annuncio in line up – il simpaticone ha ben visto di non presentarsi (“Sono a Los Angeles, non so se faccio in tempo a venire” ha scritto via mail a cinque ore dall’evento, col set regolarmente contrattualizzato: ma vaffanculo, va’).
Bene anche Mills, che è ancora nel suo processo di transizione dal “vecchio” Mills (più duro e rigoroso) al “nuovo” (leggermente più stellare ed atmosferico), tanto c’è sempre “The Bells” a fare da collante e a far venire giù i muri…o a fare da coperta di Linus. Benissimo Martyn, che è stato più paraculo e party-friendly rispetto al materiale su disco (il suo ultimo album è un ca-po-la-vo-ro) ma che comunque ha vinto la palma di migliore in campo all’Hiroshima la sera di venerdì, con Kode9 (eclettico, nel suo dj set) e Kuedo (tra footwork e dubstep cattiva, nel suo live) a seguirlo di un’incollatura. Un po’ così Cooly G (moscetto il suo live, molto trip hop di quindici anni fa) e Hype Williams (c’è chi impazzisce per la loro morbosità… Bene, noi no).
E non sarebbe finita qui. Non ci siamo visti Theo Parrish (e se ne son dette meraviglie) né dOP (ci è stato detto che sono stati divertenti sul palco e un po’ fastidiosi giù dal palco) né Ben Klock (ma il fatto che alle sei del mattino avesse una folla vastissima davanti, come si evince da qualche filmato sul web, spinge a pensar bene). Non ci siamo visti o abbiamo visto troppo poco altre cose (Jackmaster, Egyptrixx…). Ci siamo però visti e sentiti il ragazzo-prodigio nostrano Furtherset (avere sedici anni e fare la musica di un illuminato quarantenne, ambient colta) e il fantastico Lone, colui che ci ha veramente rapito il cuore, il nostro personale numero uno in tutto questo ben di dio: ad ascoltarlo sembrava di stare nel più bello dei rave inglesi del 1992… una roba proprio ad impazzir di gioia (o di nostalgia, per chi in quegli anni c’era). Lui a vederlo dietro il laptop di anni ne dimostra dodici, quindi ti chiedi come diavolo faccia a “respirare” così bene certi suoni e certe suggestioni dato che a quell’epoca occhio e croce manco era nato.
Note negative? Qualche economia negli allestimenti delle venue (roba veniale) e il suono nella sala grande al Lingotto, che non è stato perfetto: vero è che amplificare una location dalla capienza enorme (sei, settemila persone ad occhio, ma forse anche di più) non è facile, però qualcosa in più forse si poteva fare. Il resto tutto perfetto. Merito di Club To Club ma merito anche – diciamolo – del pubblico che è passato nei quattro giorni del festival, attento, interessato, spesso competente e anche nel caso degli avvenimenti più a cifre grosse mai troppo sguaiato e fastidioso. Sarà che Movement, che si svolge sempre a Torino pochi giorni prima, si prende l’onore e l’onere di prendere le masse meno gestibili e più stronze, sarà che l’aria di cura e qualità nella programmazione di Club To Club letteralmente si respira, influenzando quindi i comportamenti della gente, sarà che Torino prende sempre bene, sta di fatto che abbiamo vissuto veramente un weekend di alto, altissimo livello. Non vediamo l’ora arrivi la prossima edizione.