E’ molto curioso, guardare da una prospettiva storica alla chiacchierata che ci siamo fatti con Paul Van Dyk. Per chi non conoscesse il dj e producer tedesco, beh, andate pure di Google o Wikipedia: parliamo di un numero uno assoluto. Ok che in Italia il genere trance non è Verbo come nel centro Europa, ma pure in Italia la sua fan base è piuttosto consistente e le sue comparsate più che come eventi sono viste come avventi (prossima tappa: Link, Bologna, 24 febbraio, recupero di una data precedentemente saltata per un aereo mai atterrato in città causa maltempo). Insomma, la sua parola pesa. Non è l’ultimo dei cretini, tutt’altro. Eppure, la sua è una parola che, come potrete leggere, va piuttosto contro lo spirito e le abitudini dei tempi attuali. Fuori luogo lui, o forse depositario di una serie di verità e approcci fondamentali ultimamente un po’ sottovalutati e che andrebbero recuperati?
Cominciamo dalla fine, da ciò che sta per succedere adesso: raccontaci di “EVOLUTION”, in uscita a marzo.
Sai, è sempre difficile parlare della propria musica, della propria arte. Diciamo che ovviamente “EVOLUTION” sarà caratterizzato da un lato dalla voglia di fare un passo avanti, e da ciò che mi ha ispirato negli ultimi tempi dall’altro. Io, in quanto artista, sento infatti l’esigenza di continuare ogni giorno a raccogliere nuovi stimoli: è un processo continuo. E in questo modo l’evoluzione diventa qualcosa di automatico. Ricordando sempre che quando ho iniziato, venti anni fa, la musica elettronica era un piccolo fenomeno underground, mentre oggi è probabilmente la musica più popolare del mondo. Con le mie creazioni, tento di tradurre in pratica tutte le idee che mi sembrano musicalmente in grado di far “alzare il livello”.
Ma è ancora importante far uscire musica nel formato di un album? Oggi è tutto un fiorire di EP, di singoli… Credi ancora nell’importanza del formato lungo?
Diciamo che c’è una certa differenza fra quello che sono e voglio essere io e quello che sono gli artisti che, come dici tu, abitualmente fanno uscire solo degli EP e dei singoli. Come dicevo sopra, io mi sento un artista; un artista che, incidentalmente, si esprime facendo musica elettronica, ma potrebbe anche fare altro. Coloro che invece fanno uscire una traccia ogni due settimane, secondo me prima di tutto inondano troppo il mercato. In più, di solito se guardi alle loro carriere i dischi veramente buoni sono un paio mentre tutti gli altri a essere sinceri difficilmente qualche anno fa avrebbero avuto la possibilità di essere delle uscite discografiche ufficiali. Io credo che la musica debba essere qualcosa che dura a lungo, qualcosa che la gente ascolta anche fra dieci anni e continua a trovare accattivante: e di solito per creare musica di questo tipo ci vuole tempo. Tempo e fatica. Mentre le invece le tracce fatte in due giorni tendenzialmente durano due settimane… Non voglio sminuire il lavoro di nessuno, ma tutti questi mi sembrano dati di fatto. Poi ok, mi sta bene che ci siano molte persone che si sentono soddisfatte anche quando quello che ascoltano è solo l’ennesima riproposizione ogni volta della stessa singola idea, rigirata giusto un attimo… contenti loro.
Insomma, escono troppi dischi…
No. Non escono troppi dischi. Però molta della musica che c’è in giro oggi in passato, coi soli vinili o cd come supporto, non sarebbe mai stata fatta uscire. Far circolare un pezzo on line ha un costo pari quasi a zero, ecco che quindi senza troppo sforzo puoi dire di avere una nuova uscita discografica in giro.
Qual è il tuo segreto per essere rimasto così a lungo al top con la tua musica, mentre nel frattempo le mode andavano e venivano?
Non c’è un segreto vero e proprio. Semplicemente, io non faccio “tracce per i club”: io faccio musica. Ovviamente, facendo musica elettronica il suo luogo di fruizione per eccellenza è il club, questo è indubbio, ma io quando compongo non penso a fare tracce che vadano bene per il club in quel preciso momento ma piuttosto che siano tracce che dureranno nel tempo, club o non club. Inoltre, non ho mai fatto nessun tipo di compromesso per ottenere qualcosa o conquistare qualcuno: la musica è l’unica cosa che conta, la chiave per rimanere sempre autentici è comprendere questa verità. Negli anni, questa è sempre stata la mia posizione.
Sei tra l’altro uno dei pochi producer elettronici europei che è riuscito ad ottenere grande successo anche in America: quali sono le differenze fra le due scene?
Ce ne sono senz’altro molte. Ma uno dei motivi per cui negli anni sono stato in grado di farmi apprezzare un po’ dovunque è proprio perché non mi sono mai messo lì ad analizzare il tipo di pubblico che si ritrova ad ascoltarmi. Penso a quello che voglio suonare io, e stop. Comunque: sì, ci sono molte differenza tra America ed Europa, ma in realtà ce ne sono molte non solo tra loro ma anche da singolo club a singolo club. Ti faccio un esempio molto semplice, penso cioè alle serate che ho fatto recentemente in Italia: il pubblico di Roma è stato molto diverso da quello di Milano. Fra qualche giorno suonerò a Bologna, e sono sicuro che troverò un pubblico ancora diverso rispetto a quello trovato a Roma e Milano. Capisci quindi che ogni generalizzazione in realtà non ha troppo senso? L’unica cosa che conta è che sia io che il pubblico della serata si sia uniti nel realizzare un unico obiettivo: rendere “quella” serata speciale, unica, indimenticabile.
Se per un attimo guardi al passato della tua carriera artistica, qual è stato il punto di svolta, quello che ti ha fatto pensare per la prima volta “Ehi, qua sta succedendo qualcosa di grosso”?
Non credo ce ne sia stato uno. La mia storia artistica è andata avanti in modo naturale, passo dopo passo. Mi pare che non ci sia mai stato un momento in cui le cose sono cambiate all’improvviso.
Invece, hai mai pensato che questo gioco dell’essere sempre più famoso e del girare sempre più in giro per il mondo facendo date sempre più grandi stesse diventando, in qualche modo, troppo grosso? Difficile da gestire, o magari addirittura insensato? Intendo proprio a livello personale: non credo che la tua ad esempio sia una vita molto statica e riposante…
Non lo è per nulla. Quello che faccio io mi porta ad essere impegnato ventiquattro ore al giorno per sette giorni alla settimana: sempre in giro, sempre a prendere aerei, sempre a fare tardi la notte; e quando non sono in giro, non suono, non faccio tardi la notte sono completamente assorbito dal lavoro in studio. Tutto questo è sfiancante, ma – lo amo. Lo amo davvero. Lo amo così tanto che mai mi sembra un lavoro. Col risultato che posso permettermi di faticare tantissimo, sì, senza però mai sentire il peso della fatica.
Parlando di lavoro in studio, uno dei tuoi tratti caratteristici è il grande senso della melodia: nel creare una traccia, parti prima dai pattern ritmici o dalla costruzione melodica ed armonica?
Ogni volta cambia. La mia ispirazione è a trecentosessanta gradi, arriva cioè da tutto quello che vado e da tutto quello che vivo. Quando io entro in studio, non voglio semplicemente creare una canzone, voglio piuttosto creare un oggetto artistico che comunichi un atmosfera, un sentimento che posso aver provato. Posso quindi partire da un suono, così come posso partire da una figura ritmica. Se ad esempio quello che voglio evocare è un sentimento che mi comunicava energia, allora magari più facile che la base di partenza sia qualcosa di industriale, molto legato a bassi e ritmo. Ma anche lì, non c’è una regola fissa. L’unica regola è che il risultato finale soddisfi l’atmosfera e le sensazioni che avevo in mente al momento di sedermi dentro lo studio: può essere una traccia chill out, una industrial, una drum’n’bass… qualsiasi sia il genere musicale, la regola è quella. Non c’è bisogno di averne altre.
Quali sono gli artisti che ammiri di più?
Ammiro tutti coloro che hanno un approccio individuale verso quello che fanno, aspetto numero uno, e che non copiano se stessi, aspetto numero due due. Prendi David Bowie: quando lo senti, sai che è lui, lo riconosci subito, ma al tempo stesso ogni suo disco è una sorpresa, non ha infatti mai ripetuto se stesso, ha sempre preso ispirazione da fonti diverse e in qualche caso pure imprevedibili. Questione di personalità. Ecco, questo è il criterio fondamentale per giudicare il valore di un artista.
Quanti ce ne sono, nella scena elettronica, di artisti dotati di personalità?
Ce ne sono alcuni. Sarò sincero: di talenti in giro ne vedo anche molti, ma spesso ho l’impressione che alcuni di loro facciano quello che fanno – cioè musica – per il motivo sbagliato: per il successo, per i soldi, per tutti i benefit che comporta l’essere dj di una certa fama. Bene, questo è secondo me un approccio sbagliato. Se sei musicista, tutto quello che fai lo devi fare per la musica. E per progredire artisticamente. Stop. Sai, non è mia intenzione fare nomi, ma credo sia sotto gli occhi di tutti che ci sono parecchi artisti in giro che continuano a ripetere se stessi: se ascolti quello che facevano ai loro esordi e lo paragoni a quello che fanno adesso, le differenze sono pochissime. La stessa linea di basso, lo stesso trucchettino acid, lo stesso loop ritmico… Non va bene. Tanto più che magari alcuni di loro si interessano più al contorno – le luci, la grandiosità dell’evento – che alla sostanza, che è e sempre sarà la musica. Noi tutti abbiamo iniziato avendo la musica come guida, come stella polare: deve restare così, se si vuole restare onesti verso se stessi. E verso chi ti ascolta e ti apprezza.
English Version:
Let’s start with the end: tell us something about “EVOLUTION”, your next album, due for release within the end of March.
You know, it’s always difficult to talk about your own music, your art… Let’s say that “EVOLUTION” will definitely be on one hand a way to make a step forward, on the other the effort to represent everything that might have inspired me in the recent times. As an artist, I feel the urge and the responsibility to keep searching every single day for inspiring things: that is how “EVOLUTION” becomes a natural process. Natural and constant, as well. Plus, it’s quite interesting to notice that when I started to make music, electronic music was just a small underground niche, whereas today is probably by far the most popular music in the world. What I do, with my creations, is to make my best to give constantly birth to ideas able to raise the quality of the whole game.
But is it still important to relaese music in the LP format? Nowadays we’ve got EP’s everywhere, singles… The LP thing seems a bit useless or at least out of fashion…
There’s a certain difference between what I do and what the artists you’re mentioning – those likely to release just singles or EP’s – want to do. As I said before, I consider myself as an artist. An artist expressing himself through the electronic music media. Those who release a track every week or two are, in my opinion, overfloating the scene. Nevertheless, if you look at their careers, usually it’s just one or two tracks that are really good, all the others hardly would’ve had the status of an official relaese a decade ago. I firmly believe that music has to be something that passes the test of time, something that people can relate to even ten years after its proper release and that still can be appreciated after that much time: usually, to create music like this, well, it takes time. Time and effort. The tracks made within two days usually last two weeks… I don’t want to disrespect anyone, but seems like these things are matter of facts, aren’t they? But ok, if there’s someone that’s happy to listen to what is just the revised version of the very same idea all the time, I’m fine with it.
Too many relaeses, actually.
No. It’s not that there are too many releases. It’s just that much of the music that’s around today, in the past – with the vinyl or the cd as the only format options – simply wouldn’t have been released. Releasing a track online is something that gets virtually for free, that’s why today you can claim you’ve got a new release out there with just a small artistic effort behind it.
You’re staying at the top of the game for such a long time, no matter how trends and fashions have come and go: what’s your secret, if there is one?
There’s not a proper secret. Simply, I don’t make “tracks for the club”: I make music. Obviously, as my means of expression is electronic music, my creations easily end up being played in a club. But that doesn’t mean that I create new tracks just focusing on how they can work in a club. My aim is to create music that can pass the test of time, may it be in clubs or anywhere else. Apart from that, one very importanti point is that I never comprimised. Never did anything to achieve this or that. Music is the only thing that counts: that’s the only key to stay true to yourself. It has always been like this for me, and still will be in the future.
You’re one of the few European electronic music producers that had experienced a great success in the States: which are the differences between these two scenes?
Obviously, there are many. But one of the reasons I’ve been so well received all around the globe is that I never tried to analyze the audience in front of me: I just think at what I have to play to offer the best of myself as an artist. That’s it. Anyway: yes, there are many differences about the crowds in the States and those in Europe, but actually there are differences from club to club. For instance, let’s talk about my recent gigs in Italy: Rome’s people were really different from those in Milan. Within a few days I’ll be playing in Bologna, you know, and for sure the crowd there will be different as well. See, every generalization is pointless. The only thing that counts is that it’s me and the audience aiming for the very same desire: making “that” night special, unique, unforgettable.
If for a moment you look at the beginning of your artistic career, which is the most crucial turning point, that very particular moment that made you think “Hey, there’s something big going on here”?
I don’t think there’s ever been one. My history as an artist has developed in a very natural way, step by step. I can’t see a moment where everything radically changed all of a sudden.
But have you ever had instead the feeling that everything was getting too big, too much fame, too much travelling, too many gigs getting too big? Like, hard to handle, or maybe even pointless? I mean, just personally: your life and time schedule is likely to be really insanely hectic, I guess. Can’t imagine your life as something relaxed, slowed down and laid back.
Actually it’s not. I live a life that’s 24/7: always around, always taking flights, always night-outs; and when it’s not like that, I’m completely stuck in the studio working on new ideas. All these thingsmight be tiring, yeah, but – I love it. I really love it. I love it so much it never looks like a job, to me. That means I can work really much and I never get tired of it, never feel exhausted.
Talking about studio work, one of the aspects that characterizes your music it’s the melodic aspect: whan you compose a track, do you start building up the melodic and armonic solutions, or do you usually start from the rhythmic patterns?
Every time is different. My inspiration comes from 360°, it comes from everything I see and everything I experience. When I enter the studio, I don’t wanna simply create a new track: I want to create an artistic object that can tell a whole feeling, an atmosphere. I can start from a sound, yes, just as I can start from a ryhythm pattern. If what I want to express is something connected to what was a feeling or energy, I’d probably start from something industrial, let’s say from drums and bass. But this is no rule. The only rule is that the final result has to satisfy what were my original intentions about the feelings I wanted to depict when I entered the studio: it may be a chill out track, or an industrial one, or it may be drum’n’bass, there are no boundaries.
Who are the artists you adrmire the most?
I admire all those who have an individual approach towards what they do, and those who do not copy theirselves. Take David Bowie for instance: when you listen to him you recognise him immediately, but then again every record of him is different, it has got something new and surprising. He never repeated himself, he always took inspiration from different contexts – different and sometimes really unpredictable. It’s a matter of attitude, of personality. Here’s what counts for real, in judging an artist.
How many artists with a strong personality, in the eletronic music field?
There are some. I’ll be sincere: I see many talented guys around, but often I feel that they’re into it not for the music, but for the wrong reasons: fame, money, all the benefits implied in being a successful dj. I think this is the wrong approach. If you’re musician, all you do goes into the music. To the artistic progression you’re able to build for yourself. This is it. You know, I don’t wanna name any specific names, but I think it’s quite evident to anyone that there are a lot of folks out there that are just repeating themselves: if you listen to what they were doing at the beginning of their careers and you compare it to what they’re doing now, probably you won’t see too many differences. Same bassline, same acid noise, same rhythm loop. That’s not good. Also because some of them are more into what’s around the music – the lighting system, the dimension of the event – than into the music itself. We all started for the music, not for other purposes: it has to stay like that, if you wanna stay honest with yourself. And with those who listen to you and support you.