Devo ammettere che per un lungo periodo ho odiato il duo di cui sto per parlare oggi, perciò, senza troppi preamboli, vi dirò che poco m’è piaciuto l’uso che i Soul Clap hanno fatto di alcune hit degli anni ’80. Incentrarsi sulla produzione di edit di hit passate non è proprio carino come mezzo per farsi strada, un po’ come finire Tomb Raider, con la massima difficoltà, usando i “trucchetti”.
A parte questa mia personalissima considerazione, va riconosciuto a Charles e ad Ei il merito di esser riusciti a sbocciare da quello periodo, che di certo non rappresenta il massimo dell’espressione delle idee e della creatività. Significativa, a tal proposito, è l’intervista di Jacopo Villanacci, fatta esattamente un anno fa – giorno più giorno meno – in cui il duo di Boston parla di influenze funky, disco, soul e r&b, che convergono in quest’ house di “facile ascolto” marchio di fabbrica dei Soul Clap. Con l’etichetta “facile ascolto” non intendo discriminare un genere, definendolo d’importanza minore, piuttosto la concepisco come un tipo di musica da ascoltare in bermuda e camicia (rigorosamente semiaperta), un cocktail sofisticato di cui si conosce a malapena il contenuto e coi raggi solari spaiati sulle lenti da sole. Ma anche senza lenti, cocktail (che marchi pesantemente “a fighetto”) né bermuda e né camicia. Un ascolto senza pensieri, insomma…cazzo, si chiama “easy listening”, ci sarà un motivo, no? Bene, torniamo sui nostri passi.
Mettiamola semplicemente così: quel giochino degli edit si è trasformato in qualcosa di più ambizioso e di valore, e soprattutto quel qualcosa ha un nome: “EFUNK”. L’album, il primo per il duo americano, in uscita su Wolf + Lamb riporta in modo abbastanza fedele le influenze sopraelencate, si ascolta esattamente ciò che ci si aspetterebbe di ascoltare in un album dei Soul Clap, perciò cancellate dalla vostra testa qualsiasi pretesa di innovazione. La prima cosa da dire, sulle tredici tracce che formano l’album, è che l’orientamento verso pista è quasi pari a zero, per questo – so che vi starò già sui coglioni dopo aver messo questo secondo paletto – non aspettatevi emozioni troppo forti. Il massimo del movimento per me è stato ondeggiare compostamente col capo nei momenti salienti.
Devo dire che ci sono alcune tracce davvero carine, che riescono bene nell’intento di rievocare quel genere funk, reinterpretato in chiave disco, uscito di scena con la scomparsa dei suoi gruppi portanti. Riguardo alle tracce, che vedono la collaborazione di vari amici/compagni del solito giro, trovo in particolar modo simpatica “Need Your Lovin”, basata sul campione vocale della hit dei Korgis, “Everybody’s Got Learn Sometime”, e su una ritmica funk/breakbeat veloce. Come si dice… il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Impressionante è “Islands In Space” in tutte e due le sue parti, la ritmica rimane quella “base”, mentre gli inserti sonori dai toni spaziali caratterizzano in modo particolare tutta la prima parte; quanto al continuo, invece, si apre con un suono di contrabbasso e uno string a svanire, impostando il discorso su sonorità più “terrestri” rispetto alle precedenti, in cui spicca la sezione di tromba e un vocale che definirei “so sexy”. Altra chicca è “Lets Groove On”: il basso marcato, insieme ai break di organetto, e al vocal di Jules Born, conferisce alla traccia un andamento scorrevole in cui si può mettere in pratica quella sorta di regola che prima dicevo: su ragazzi, ora potete scuotere un po’ il capo, sempre con educazione però.
Questo è quanto. Pace e Amore, fratelli.