Mi sono chiesta spesso se ad oggi ci sia ancora una concreta possibilità di rinnovamento per la musica, o dobbiamo cedere alla rassegnazione di sottostare ad un triste esercito di cloni. Tendenzialmente apprezzo comunque chi, senza spingersi in imprese impossibili, tenta perlomeno di riproporre certi fasti del passato con cognizione di causa e un pizzico di originalità, già non è poco considerata la maggioranza di tentativi mal riusciti. Con l’uscita del suo primo album nel 2010, Fritz Kalkbrenner, eterno “fratello di”, dà prova a tutti di saperlo, a tratti, fare. E come spesso avviene in questi casi, l’accanimento mediatico è stato fulmineo, e in molti si sono avvicendati nell’osannarlo come il nuovo pioniere del tanto agognato binomio techno-soul, affrancatosi dal peso dell’ingombrante cognome a colpi di funk ed R&B. Ne sarà consapevole di cotanta millantata bravura? O è solo una delle tante astute manovre dei critici? Scopriamolo.
Quando ho letto che dal 2002 hai lavorato come giornalista culturale e musicale per diverse emittenti televisive importanti, da Deustche Welle ad ARD, fino alla più famosa MTV, confesso che mi sono sentita un tantino in soggezione. Intervistare un professionista non dev’essere facile, ho pensato. Riflettendoci meglio però, un’occasione del genere quando mi sarebbe ricapitata, non potevo non approfittarne. Da chi è del mestiere, immagino che tu sappia bene cosa significhi fare una domanda e sentirsi rispondere eludendone il senso e soprattutto relativi argomenti “scottanti” e/o compromettenti. Ma un giornalista intervistato non può rischiare di incorrere nella mistificazione della realtà, quando si pone come il baluardo della stessa. Perciò, dal momento che mi aspetto di sentirti replicare con l’imparzialità che si conviene ad un addetto ai lavori, anche ad eventuali provocazioni, perdonami ma ti tartasserò un po’. In cambio alla fine potrai vendicarti, promesso. Innanzitutto… Come ci si sente ad essere dall’altra parte?
Come ci si sente a stare dall’altra parte? Non è così strano, perché ovviamente negli ultimi tre anni ho risposto a diverse interviste. Inoltre precedentemente nel corso della mia carriera di giornalista ho intervistato molti artisti e molte persone in generale, dunque sono abituato alla cosa e conosco gran parte delle forme in cui porre domande e risposte, e mi risulta piuttosto facile.
Dopo l’uscita del suo primo LP nel 2010, “Here Today Come Tomorrow”, ho letto di tutto su di lui. Sono volati raffronti con nomi illustri, gente del calibro di Eddie Folwkes, autoproclamatosi non a torto “The Godfather of Techno Soul”, Kenny Dixon Jr., noto come Moodymann, per non parlare di veri e propri miti come Marvin Gaye. Il motivo è semplice: l’album avrebbe il merito di riuscire a conciliare in maniera esemplare il suono lineare e preciso della techno con il calore graffiante di un’house autentica, non come tanta presunta deep in circolazione, musica che ha un’anima e che, a volte, diventa l’anima stessa del pezzo, quel soul a cui tutti ancora tentano di ispirarsi, e che peraltro ha intrinseco il significato stesso della parola. I signori che ho appena citato, quelli sono l’emblema dell’equilibro perfetto tra techno e soul, ma c’è da dire che erano anche altri tempi, e in pochi secondo me al momento possono auspicare a riesumare un’eredità di questo calibro, talvolta solo a nominarla. E come biasimarli. Gli anni d’oro di Detroit e della Motown, storica label locale che ha visto passare sotto la sua ala, oltre a Marvin, da Stevie Wonder ai Jackson 5, sono entrati nella storia sì, ma sono purtroppo andati, ed è controproducente e poco costruttivo tirarli in ballo ad oggi, ai fini di una vera rinascita musicale. E’ impossibile che si possano ripresentare quelle stesse circostanze storiche e sociali portatrici di rivoluzioni musicali tanto significative, manca il fermento dell’epoca, la voglia di sperimentare tipica della mancanza di possibilità. Come ti senti ad essere paragonato a simili icone della musica, pensi sia lecito o meno? Hai tratto spunto per l’album da questa scuola, sono dei tuoi punti di riferimento?
Essere messo a confronto con gli artisti menzionati sarebbe come essere contrassegnato da un marchio fin troppo elevato, perciò credo che il paragone non sia legittimo. Sono tutti semplicemente troppo grandi, troppo iconici, per essere posto al loro stesso livello. In altri termini bisognerebbe non dimenticare mai da dove si proviene e conservare modestia ed umiltà. Migliaia sono gli artisti che mi hanno preceduto, nettamente più bravi di me; migliaia ce ne saranno di più grandi e di migliori in futuro. E la linea di modestia ed umiltà che tendo a rispettare consiste nell’ammettere che nel migliore dei casi io possa eventualmente collocarmi in una posizione intermedia rispetto a tutti loro.
Oltretutto, rispetto agli anni 60, non si può non considerare la differenza che ha fatto il progresso tecnologico: con tutti questi nuovi mezzi a disposizione, l’avvento del computer e di programmi come Traktor, la musica ha teso a diventare sempre più fredda e meccanica, e gli artisti decisamente più lenti e pigri nell’esperire suoni che non siano “multimediali”. Di qui appunto la tendenza all’emulazione, e al rispolvero polemico e pseudo rivoluzionario del vinile e dei suoni “vintage”, corrente che si può anche comprendere nel mondo del djing, ma non in quello dei produttori, a meno che non sia accompagnata da un minimo di spirito innovativo. Sempre meglio un bel set fatto bene di vecchi oldies, piuttosto che un album di pezzi in cui non si fa altro che cercare di riproporre con supporti moderni sonorità sporche e imperfette come quelle di un tempo, palesemente artefatte, e pensare di poterne trasmettere il calore, senza un briciolo di originalità e inventiva. Non si può tentare di ricreare l’anima a computer. O sì? Pensi che sia possibile oggi realizzare del soul nella techno con una strumentazione più evoluta? Tecnicamente parlando, come cerchi di riprodurre certe sonorità, quali mezzi usi per il live?
In realtà non penso sia impossibile creare una traccia con anima soul tramite un pc o di un mac, perchè è proprio il modo in cui ho prevalentemente prodotto fin dall’inizio, semplicemente campionando suoni e lavorando con essi, distorcendoli e modulandoli finchè non divenissero miei. Successivamente abbiamo usato specifici plug-ins, nella specie solo “vintage”, come delay plug-ins, e le cose stanno funzionando bene a parer mio. Quindi credo sia abbastanza semplice da fare, ma occorre avere un’idea astratta, così da pensare più di collaborare con tutto il materiale a disposizione, piuttosto che dover dipendere da uno speciale effetto o base determinata.
Io lo definirei un disco impegnato e impegnativo il tuo, anche per chi l’ascolta. Un bel mix di generi è vero, eterogeneo e variegato, pulsante degli echi e delle influenze più disparate, e per questo godibilissimo. Ma talvolta forse troppo diversificato. Ascoltandolo ho avuto ogni tanto l’impressione che fosse stato realizzato da artisti diversi, il che da una parte è un punto a tuo favore perchè significa che sei versatile e direi che è decisamente un pregio notevole per un musicista, ma dall’altra però implica forse una certa carenza di personalità, una sorta di incertezza, o almeno io ho recepito questo. è come se il meccanismo perfetto di certi pezzi come “Kings In Exile” e “Was Right Been Wrong”, o “Simple Same Action”, cupi e controversi come la scuola techno insegna, ma al contempo caldi e pulsanti, ritmici e graffianti, venisse in qualche modo interrotto con altri come “Facing The Sun” e “Right In The Dark”, in cui le atmosfere cambiano radicalmente, forse troppo, melodie pop si mescolano a loop orecchiabili, e di soul, paradossalmente, rimane solo la tua voce solare e avvolgente. Insomma il rischio è quello, ogni tanto, di perdersi. Che cosa non ho capito secondo te?
Hai ragione, alcuni miei pezzi suonano molto diversi e sembra persino provengano da due distinti produttori. E’ un pò come il caso di quegli artisti che avendo una gran varietà di generi preferiscono ricorrere ad un secondo nome o ad uno pseudonimo per poter approcciare uno stile differente. Personalmente non l’ho mai fatto proprio perché sto appunto tentando di mantenere il tutto all’interno della mia filosofia. Dunque forse dici bene, è una vasta gamma di stili tenuti assieme. Ma alla fine sto cercando di sostenere e difendere tutto ciò, dicendo “ragazzi, questo è ciò che faccio, contiene roba pop melodica così come club music, perciò prendere o lasciare.”
Parliamo della tua formazione. Cresciuto in una città, Berlino, che non lascia spazio ad ulteriori presentazioni, hai mosso i primi passi nella musica elettronica in modo del tutto singolare per il contesto che ti circondava. Quando tutti negli anni ’90 si lasciavano sedurre dalla nitidezza della techno, e il suono si ripuliva di ogni sorta di orpello, hai pensato bene di metterti a cantare. Il primo lavoro come vocalist all’album di debutto del tuo amico Sascha Funke, “Bravo”, cui seguono tante e diverse collaborazioni in questo senso, prima fra tutte quella con Zky per “Stormy Weather” (gran pezzo!), per poi arrivare a nomi più noti come Alexander Kowalski e Monika Kruse. Come mai questa scelta? Vorrei capire cosa ti ha condotto a spingerti proprio verso il canto, piuttosto che direttamente alla produzione stessa, come la maggioranza dei tuoi coetanei ha fatto, compreso tuo fratello. Immagino non sia solo la coscienza di avere una bella voce.
E’ stato proprio il modo in cui ho cominciato. Ho iniziato cantando e solo collaborando con compositori esterni perché, ad essere onesto, presentarmi al pubblico con una mia personale produzione sarebbe stato un mirare troppo in alto. Sono partito cantando e lavorando con gente che incontravo casualmente. Contemporaneamente, ho iniziato anche a creare ma non ero molto convinto che l’esito sarebbe stato all’altezza di essere mostrato in pubblico. Così ho deciso di prendermi altro tempo per meglio sviluppare le mie capacità di compositore, fino al punto di poterle manifestare.
Dunque da una parte si può dire che hai rotto gli schemi della tradizione, familiare e non solo. Il passo successivo poteva essere allora quello di fondare un gruppo rock, ad esempio. Mi spiego. Credo che, normalmente, una persona con velleità canore non pensi certo come prima strada alla musica techno per affermare la propria vocazione, questo direi che è indubbio. Ho l’impressione che l’ambiente in cui sei cresciuto ti abbia in qualche modo influenzato in alcune decisioni determinanti per la tua carriera, correggimi se sbaglio. è colpa/merito di Berlino, e della sua fama di patria del dancefloor per eccellenza? Pensi che se fossi vissuto in un’altra città ti saresti avventurato in altri generi?
Non saprei dirti se il mio stile sarebbe stato diverso qualora non fossi cresciuto a Berlino, dato che è qui che ho trascorso larga parte della mia esistenza. La mia città è da sempre Berlino e continuo a viverci ancora oggi, ed è ovvio che abbia influenzato forma e stile dell’intera mia produzione, le cose sono andate così. Se fossi cresciuto, che ne so, a Seattle, forse sarei finito a fare Indie- music, ma questa è un’altra storia.
Ho sempre pensato e vissuto Berlino come una realtà aperta e cosmopolita, ricca di stimoli e input diversi, sociologicamente, così come di riflesso in ogni campo artistico. Eppure il dubbio mi viene, forse me lo hai insinuato tu, non so. Sospetto che col passare del tempo sia forse diventata un po’ troppo nostalgicamente ancorata al passato, e nello specifico, parlando di musica, a quelle sonorità techno che l’hanno non a caso eletta la patria dei clubbers più ossessivi da una vitae. Credi che ci siano alternative concrete per chi voglia spaziare e cimentarsi anche in qualcosa di diverso? E ad oggi come vengono recepite le novità secondo te?
Come ho accennato prima, la prospettiva in cui vedo Berlino, mia città natale, è probabilmente diversa rispetto a quella di chi, ad esempio, semplicemente vi è giunto o vi giunge ora e vede la città come un luogo propizio dove sviluppare un proprio suono e stile personali. Essendo il luogo in cui sono nato, non ho mai pensato di poter vivere altrove o fare qualcosa di differente. E’ un po’ come se non avessi avuto altra scelta, qui è dove sono sempre stato e non posso cambiare le cose. Gli eventi prendono una piega nel corso del tempo che spesso non possiamo condizionare.
Torniamo a te. Se guardo alla tua formazione musicale, questa passione per il canto mi risulta già molto più contestualizzata e comprensibile. Di chi è cresciuto a pane e Wu Tang-Clan, Eric B. & Rakim, Krs One, tanto per citarne alcuni, e mastica funk e soul anni ’60 e ’70 a colazione. Ascoltando pezzi come quello con Chopstick & Johnjon, “Keep On Keepin’on”, uno dei miei preferiti tra l’altro, in cui si avverte forte l’influenza delle tue origini, capisco che gli illustri paragoni tirati in ballo per definirti non sono stati fatti a caso. Se non sbaglio sono stati proprio Chopstick & Johnjon i compagni con cui, dopo una prima collaborazione per “New Day”, nel 2009 hai iniziato l’avventura della Suol Records (da notare il nome, guarda caso un anagramma di soul), e a ragion veduta direi visti i risultati. Tutti gli Ep usciti con loro sono davvero notevoli, e molto coerenti col tuo background. Trovo che questa partnership ti abbia dato davvero nuova linfa vitale. Che tipo di selezione musicale operate per l’etichetta, com’è il suono Suol? Nuovi progetti in fieri?
Non seguo precisi criteri nel decidere quali pezzi dare da ascoltare e magari proporre per l’eventuale uscita ai ragazzi della Suol, visto che Chopstick & Johnjon, a capo dell’etichetta, sono miei ottimi amici. Ci incontriamo in privato tre volte a settimana e ovviamente parliamo delle nuove cose che via via compongo così come dei loro nuovi pezzi e la maggior parte delle volte loro hanno modo di ascoltare per primi i miei ultimi lavori. Perciò le nostre sono più decisioni di gruppo, non decisioni che prendo in disparte.
Dopo un bel bagaglio di esperienze raccolto a suon di collaborazioni, ne arriva una che segna la tua carriera (nel bene o nel male?). Con tuo fratello firmi la colonna sonora del film “Berlin Calling”, nel quale peraltro presenzi con un piccolo cammeo, ed ecco la consacrazione mediatica. “Sky And Sand”, con il suo testo romantico, diventa l’inno elettro-poetico da cantare a squarciagola per ogni animale da club che si rispetti. Ed è forse proprio questo il punto. Tutti i pezzi del film sono perfettamente architettati per rimanere in testa, loop ipnotici, casse precise, una techno impeccabile. Ma perdonami, niente di particolarmente nuovo. Mi sembra un ottimo prodotto studiato ad arte per far colpo sul mercato, ed in questo ci riesce alla perfezione. Ma non pensi di esserti un po’ svilito, di aver tradito in un certo qual modo la musica che ti contraddistingue? O è stata una scelta consapevole, mossa dal desiderio di assecondare il pubblico meno recettivo?
Infatti il mio unico contributo alla colonna sonora di “Berling Calling” è stato l’apporto vocale in “Sky And Sand”. Tutto il resto è merito di mio fratello Paul e la maggior parte della colonna sonora è di sua produzione. Tutto ciò che ho fatto, ripeto, è stato dare un contributo alla parte vocale. Vi abbiamo collaborato a stretto contatto, e l’esito mi è piaciuto davvero molto. In questo senso non ho alcun problema ad assecondare i gusti del pubblico, poiché il fatto che la gente sembri apprezzare il tuo lavoro, lo ritengo il miglior risultato cui si possa aspirare.
Come già ti ho accennato prima, ho il sospetto che da questa esperienza in poi tu abbia nel corso della carriera cercato una sorta di compromesso tra il background che ti contraddistingue e le esigenze di accondiscendere il pubblico su larga scala, a discapito a volte della tua credibilità artistica. Credi che sia possibile riuscire a conciliare successo commerciale e sonorità più underground o si tratta di un’utopia? Si può educare la massa qualcosa di più ricercato di una semplice hit?
Penso che al giorno d’oggi sia possibile coniugare l’ambizione al successo commerciale col proporre musica seria d’alto livello, poiché il pubblico è nettamente più evoluto nell’ascolto di ciascun stile. Oltretutto, grazie alle innumerevoli fonti disponibili in Internet ognuno è libero di approvvigionarvi come preferisce; in tal modo non è più come in passato, quando la gente era costretta ad ascoltare tutta la robaccia che la radio trasmetteva.
Ero molto indecisa sul come porti questa domanda, l’argomento immagino sia delicato. Non volevo farne il fulcro dell’intervista, e mi auguro di esserci riuscita. Ma è inevitabile che essere il fratello minore di Paul ti abbia condizionato la carriera, volente o nolente. E in fondo non hai neppure fatto niente per evitarlo, si vede che ti va bene. Avresti potuto ad esempio, proporti sul mercato discografico con uno pseudonimo, in modo da non venire intaccato dalla fama di Paul e dagli inevitabili pregiudizi e confronti che ne conseguono. Soprattutto quando come nel suo caso si supera la soglia dell’essere semplicemente un dj di successo, diventando un vero e proprio personaggio pubblico, una star a tutti gli effetti, e che fa di tutto per esserlo, al contrario tuo che mi sembri molto più riservato. Sinceramente, hai mai pensato di usare uno pseudonimo?
Non ho sinceramente mai pensato di usare uno pseudonimo, perché avevo impiegato il mio vero nome come nome d’arte per lungo tempo, ben prima che mio fratello Paul ottenesse questo ampio e schiacciante successo internazionale. La scelta era stata già fatta quando Paul raggiunse grande notorietà, tanto che qualcuno si azzardò perfino a dichiarare che si trattasse di un mio figlioccio, che stava probabilmente cavalcando l’onda grazie a me. Perciò in realtà il nome era stato già scelto prima e decisi di mantenere quello.
In definitiva pensi che la presenza di Paul ti abbia orientato a fare scelte musicalmente un po’ più lontane da ciò che ami? Già da piccoli lui e Sascha Funke ti schernivano per i dischi soul e hip hop che ascoltavi, e hanno cercato fin da subito di contagiarti con il virus della minimal che imperava dappertutto a Berlino. D’altronde basta ascoltare uno dei tanti remix di tuo fratello di un qualunque tuo pezzo, per rendersi conto del tocco differente che vi caratterizza, anche se, come ho già detto, in alcuni casi sei tu a portarti forse fin troppo nella sua direzione, rischiando di smarrire la strada.
Non credo che la presenza di Paul mi abbia allontanato dalla musica che più profondamente amo, perché fin da subito, da serio ascoltatore di musica ho sempre apprezzato entrambi questi stili. Mi sono sempre nutrito di soul così come di club music. Mi sono sempre piaciute entrambe queste strade, e da un certo punto in poi ho semplicemente deciso che mi sarei indirizzato più verso la club music, e così è stato.
Tenendo ben presente la premessa dell’intervista, ci daresti un giudizio da giornalista su tuo fratello? A livello prettamente musicale intendo.
Rispetto a ciò che compongo, la musica di Paul è più diretta, più fredda formalmente nel miglior senso del termine, dato che lui si concentra maggiormente sul suo lato più strettamente tecnico, mentre io cerco di interessarmi più agli aspetti della musica che attengono alla vita reale, impiegando ad esempio chitarre e sonorità prese dalla vita quotidiana e ciò conferisce al tutto un tocco più “caldo”. Tuttavia in buona sostanza, non ci discostiamo molto l’uno dall’altro, perché anche Paul, esattamente come il sottoscritto, intende rivolgersi al proprio audience attraverso un linguaggio emotivo ed evocativo.
Torniamo al canto. Una voce calda e suadente, la tua, grave e “sporca” al punto giusto, ma al contempo moderna e pulita, dal timbro perfettamente riconoscibile. Di quelle che si possono sentire in qualche vecchio vinile funk e soul anni 70, se magari ti tingi il viso di nero (una battuta che ho sentito spesso in questo periodo!), ma anche alla radio a Top Of The Pops (scherzo eh!). In una parola, versatile. Quanto pensi che conti attualmente la parte vocale in un pezzo di musica elettronica? Forse a questo proposito ci sarebbe da fare un distinguo, storicamente è quasi necessario. L’uso della voce nella musica house è molto diverso rispetto a quello nella techno, cosi come gli esiti finali del resto. Ma in entrambi i casi lo trovo di vitale importanza, ai fini soprattutto dell’impatto col pubblico, su cui il canto ha sempre avuto un certo fascino, contribuendo a rendere il pezzo più accattivante.
L’uso delle parti vocali nei pezzi techno non riveste la medesima importanza che avrebbe nella pop music, nonostante al giorno d’oggi sia di gran moda. Devo ammettere che, dal momento che canto, vi ho sempre posto un’attenzione particolare, semplicemente per far sì che diventi uno dei tanti elementi che perfezionano il pezzo, uno strumento, insomma, da modulare differentemente attraverso alcuni “hey’s” e”jo’s” e/o roba urlata, perché l’intento quando scrivo rimane cercare di portare a livello conscio e aggiungere alla base musicale del brano un qualcosa che induca l’ascoltatore a una riflessione e lo trascini emotivamente all’interno del brano stesso.
Paradossalmente, ho notato che in “Here Today Come Tomorrow” non hai cantato molto, se non nelle tracce più melodiche. Quasi come non volessi distogliere l’ascoltatore dal groove portante dell’album, nonostante a mio parere la tua voce si presti benissimo alle atmosfere soul che lo caratterizzano, più di quanto a tratti potrebbe sembrare dai pezzi più famosi. Come mai? è una decisione voluta?
Quando ho composto l’album l’ho concepito per due terzi come strettamente strumentale, e solo nel restante terzo vi ho introdotto brani con parti vocali. Con ciò ho voluto pubblicamente evidenziare le mie capacità come cantante e manifestare il mio apprezzamento per i pezzi cantati, ma al tempo stesso desideravo far assaggiare al mio pubblico l’ortodossia compositiva della club music, pezzi di pura club, insomma. Dedicare due terzi dell’album a tracce strumentali e un terzo a brani con parti vocali è stata una decisione vera e propria, dunque.
Ho parlato tanto, pure troppo, e ora è il tuo momento da professionista. Ascolti spesso ciò che produci, intendo nella quotidianità? E quali pezzi prediligi da critico?
In realtà non ascolto molto i miei pezzi nella vita di tutti i giorni, dato che non appena escono diventano appannaggio del pubblico e non mi appartengono più, perciò preferisco indirizzarmi a cose nuove. Poi in realtà non saprei neanche dove trovare il tempo per ascoltare la mia musica. Davvero, non è mai capitato di ascoltare le mie cose nel quotidiano, di conseguenza mi è piuttosto difficile pescarvi il o i pezzi che potrei preferire.
So che sta per uscire l’interessante “Suol Mates Mix”, che ti vede brillantemente alle prese con un’appassionata combinazione di soul, hip hop e house, degna delle tue origini. Come hai avuto l’idea del mix? E’ stato facile selezionare le tracce da includere, e ottenere le relative license per accorparle? Pensi che sia un disco che ti rappresenti a pieno?
Si, potrei dire che il mix sia la rappresentazione reale di ciò che mi piace davvero. La realizzazione del mix è stata piuttosto complicata, visto che all’inizio avevo scelto qualcosa come sessanta tracce che avrei potuto inserire nel cd mixato, e da quel momento in poi ho cominciato a muovermi per ottenere le relative licenze, faccenda che si sarebbe rivelata molto ardua. C’è stato chi me le ha negate, e chi, fortunatamente, me le ha concesse. Sono giunto alla fine con circa venti pezzi da mettere nel mix. Credo che dall’idea di partenza alla realizzazione del master file ci sia voluto più di un mese e mezzo. Per gli amanti della musica fare un mix dedicato è davvero piuttosto difficile.
Raccontaci l’album dei tuoi sogni, quello che desidereresti realizzare in futuro, come fosse una recensione.
Quello dei mie sogni è sempre stato un album che potesse nella sua interezza essere percepito come un unico brano, dove i pezzi passati fossero solo riassemblati secondo una logica determinata, perché ho sempre amato album concettuali dalla prima all’ultima traccia, concepiti come un tutto unico. Forse questo è il criterio basilare a cui mi ispiro.
Avevo promesso che potevi vendicarti, ed eccoti accontentato. Innanzitutto grazie per esserti prestato, immagino sia stato un’impresa anche solo leggere le domande. Insomma che ci dici di questi giornalisti contemporanei? Siamo abbastanza soul?
Sui giornalisti di musica non posso spendere male parole, dato che la maggior parte di loro sembra dedicarsi coscienziosamente e appassionarsi ad essa, e mostrare anche molto interesse in ciò che faccio. Penso fondamentalmente solo cose positive, perciò nessuna critica, voi ragazzi state tutti facendo un buon lavoro, intensamente, e non posso dunque aggiungere alcuna nota negativa.
English Version:
I often asked myself if nowadays there still is a concrete possibility of changing the music, or we have to give up to be subject to a sad army of clones. I usually appreciate who, without putting themselves into impossibile adventures, at least tries to propose certain magnifiecence of the past with consciousness and a touch of originality. That is quite good considering all the failed attempts. With the production of his first album in 2010, Fritz Kalkbrenner, the e, the nerver-ending “brother of”, shows everyone that he is able to do it. And how it often happens in those cases, the media was thrilled by that. And many people, one after another, acclaimed him as the pionier of the binomial Techno-Soul, getting free from the heaviness of his surname playing and mixing funk and R&B. Is he really aware of his huge presumed brilliance? Or is it just a clever journalistic strategy? Let’s find it out.
As soon as i read that since 2002 you have been working as a musical and cultural journalist for several important television channels spanning from Deutsche Welle and ARD, up to the more famous MTV, i confess that i felt slightly in awe. “Interviewing a professional can’t be that easy”, i thought to myself. But as soon as i thought about it in a deeper way i realized that such an occasion doesn’t present itself every other day, therefore, i just had to take advantage of the situation. Since you know how this business works, you must be familiar with what it means to ask a question and be answered in an elusive way, avoiding the most annoying or compromising arguments. But an interviewed journalist can’t risk misrepresenting his reality when at the same time he poses as its bastion. To put it bluntly, i expect you to answer my questions with the even handedness of a true professional, even when i eventually try to provoke you; please forgive me, but i will harass you a little. To be fair with you, i promise that you will have the chance to take your revenge at the end of this, i promise. So, first of all… How does it feel to be on the other side?
How does it feel to be on the other side? Not very strange, cause of course in the last three years I did many interviews and like before in my career as a journalist I made a lot of interviews with a lot of artist and a lot of people, so I am very used to it and I know most of the ins and outs so I am pretty comfortable with it.
After the release of your first LP “Here Today Come Tomorrow” in 2010, i have read a lot about you. There have been references to big names such as those of Eddie Folwkes, (who rightly proclaimed himself as “the Godfather of Techno Soul”) and Kenny Dixon Jr. aka Moodymann, to true legends such as Marvin Gaye. The reason of this is quite simple: the album has the merit of being able to harmonize in an exemplary fashion the linear and precise sounds of techno with the warmth of true house music, unlike much of that fake deep that is being released in this period. It’s a music with a soul, which at times becomes THE soul of the track itself, that soul which everybody is still now trying to get inspiration from, and it has the meaning of this word etched in its own self. Those people that i have just mentioned are the emblems of the perfect equilibrium between techno and soul, but i must point to the fact that those were also different times, and few people nowadays can hope of being able to rake up a legacy of that grandeur, even if only by mentioning it. The golden days of Detroit and Motown (historical label which has had artists such as Marvin, Stevie Wonder and Jackson 5 under her wings) are unfortunately gone,and by that i mean that it wouldn’t be constructive to talk about them today. It would be impossible to recreate all those historical and social circumstances that are necessary to enable musical revolutions of that entity today, we lack that turmoil and the will to experiment. How do you feel to be compared to such musical icons, do you think it is legitimate or not? Did you get the inspiration for your album from this school and are their works a benchmark for you?
Being compared with these artists that you mentioned is a pretty high mark, so I think it is not legitimate to compare me with them. They are just too big, too iconic, to put myself in the same line with those. And in fact it is like saying never forget where you come from and always stay modest and be humble. There are a lot of thousands artists who came before, who are much better than me and there will be a thousands artists after me who will be much bigger and better than me. And the modest and humbled position that I take in, is just to say if it works out good, I maybe can put myself in the middle of all that.
Apart from today’s historical situation compared to that of the 60’s, the main difference between now and then is without doubt the technological progress that has occurred: with all these new instruments at our disposal, the advent of computers and software such as traktor, music has had the tendency of becoming increasingly more cold and mechanical, and today’s artists look lazier and slower when it comes down to experimenting. On the other hand we have also seen the pseudo revolutionary and disputatious re-proposal of vinyl and “vintage” sounds, but this is a way of thinking that has a sense in the world of djing and not in that which concerns producers, at least when talking about good results. Personally i prefer a thousand times more a good dj set made up of many oldies than an album consisting of tracks that try to emulate with modern means the imperfection and fatness of older records, thinking that this will transmit the same feelings to the listener without the slightest touch of inventive and originality. It’s impossible to create a soul in a track with a pc. Or is it? Do you think that it is possible to give techno a “soul” with today’s evolved softwares? Technically speaking, how do you try to reproduce certain sounds? what machines do you use for your live act?
Actually I do not think that it is impossible to create a soulful track on inside a Pc or a Mac, because most of the time it is on the first production way I do it that way, so just sampling stuff and working with it and banding and chopping it until it is my very own. And then we use certain plug-ins but old fashioned plug-ins, like take delays and stuff are working quite good for me. So I think it is quite easy to do it, but you just need to have the abstraction, so it is more like the way of thinking to work with it, than depending on a special plug-in or stuff like that.
I would define your record as demanding and challenging at the same time, even for those who listen to it. It’s true to say that it has a nice mix of genres in it, being heterogenous and complex, pulsating with the echoes of the most different influences and for these reasons it is very enjoyable, but sometimes it feels as if maybe it is a bit too diversified in its contents. Listening to it i sometimes had the impression that it had been composed by different artists, which on one hand is a point in your favor, since it shows that you are versatile, which is also a great thing for a musician, but on the other hand it maybe implies a slight lack of personality on your part, a sort of uncertainty, or at least, that is what i thought about it. It is as if the perfect mechanism of tracks such as “Kings In Exile” and “Was Right Been Wrong”, or even “Simple Same Action”, which are eerie and controversial just like the techno doctrine teaches, but at the same time are warm, rhythmical and pulsating, is interrupted in other tracks such as “Facing the Sun” and “Right in the Dark”, in which the atmospheres radically change, maybe even too much, mixing catchy loops with pop melodies, leaving only your warm and embracing voice as the only real “soul” in them. In other words, sometimes there’s a risk of getting lost. What have i not understood in your opinion?
You might be right that, some tracks of mine are sounding very varied and like even coming from two different composes in a way. It is like most of the artists who have such a variety they usually use like a second name or a pseudonym, to work in a different style. To me I never choose this way, cause I am just trying to bring all this together under my own agenda. So maybe you are right that it’s a very wide field of styles which came in together. But in the end I am just trying to stay and stand for it and say hey guys this is what I’m doing, it has got like pop melody stuff as well as club music so take it or not.
Let’s talk about your background. You grew up in a city, Berlin, which doesn’t really need further presentations and you moved your first steps into electronic music in a very singular way for the cultural context that surrounded you.While everyone in the 90’s was being seduced by techno’s sharpness and when sounds started to free themselves from any kind of burden, you had the great idea of starting to sing. Your first work was as a vocalist in your friend’s Sascha Funke’s debut album “Bravo”, which was soon followed by many different collaborations, such as, on top of all, the one for Zky’s “Stormy Weather” (great track!), up to the one’s with more known names such as Alexander Kowalski and Monika Kruse. Why did you make this choice? I would like to understand what has driven you to push yourself towards singing, instead of directly getting involved with producing music, just like many others did, including your brother. I think that conscience isn’t the only one that has a nice voice.
It was just the way how i started. I just started singing and collaborate with guys who produce cause, to be honest, at that time I was very on the high point to show the people my own production. So I just started by singing and work together with people just by accident cause the way it happened. I was also producing at the same time but I wasn’t very convinced that my own production would work out that well to be presented in public. So I just took my own time to work on my own production skills to this point where I was able to release it.
So, we could say that in a way you have broken the schemes of tradition, family-wise and not only that. The next step for example, could have been that of setting up a rock band. Let me explain. I think that, normally, a person with singing ambitions wouldn’t think immediately of techno as a means of establishing his own vocation, i would say this without any doubt. I have the impression that the world in which you grew up in has somehow influenced you in some important decisions for your career , and please correct me if i am wrong. Is this due to Berlin and its fame of being the dance floor capital of the world? do you think that if you would have grown up in a different city you would have ventured in different genres?
I couldn’t really say that it would be that way that my style would be different if I wouldn’t grown up in Berlin cause it was the way that I was born and grown up here. So my hometown is Berlin since day one and I’m living here and of course the city influence the way I was producing and the style cause it happened all that way. If would grown up in, I don’t know, Seattle I would maybe doing Indie-music, but it didn’t happened that way.
I have always thought and lived Berlin as an open and cosmopolite reality, rich of stimuli and different inputs, sociologically speaking, as it is reflected in every artistic field. But yet, i have a doubt,and maybe you got it coming to me, i don’t really know. I suspect that with the passing of time Berlin has become too nostalgically anchored to the past, and, specifically, talking music-wise, to those techno sounds that have made her become the motherland for the most obsessive clubbers. Do you think that there are any solid alternatives for those who want to space and try a different path? and today, how do you think that new things are perceived?
Like I said before my prospective on the city Berlin, which is my hometown, I might be different to others who just came to the city or come to the city and see it as a playground where they can develop their sound and style. So in fact it is my hometown, I never thought about may live in somewhere else or doing something different. It is like I haven’t other choice, this is where I was born and grown and I just cannot change it. The things come and go by time.
Let’s get back to you. If i look at your musical background, the passion for singing is made more clear and comprehensible, talking about someone who grew up with bread and Wu Tang Clan, Eric B. & Rakim, Krs one, just to name a few, and who chews 60’s and 70’s funk and soul for breakfast. Listening to tracks such as the one with Chopstick & Johnjon, “Keep on Keepin’on”, one of my favorites, by the way, in which we can hear the influence of your origins, i can understand that the illustrious comparisons used to define your work were not made at random. If i’m not mistaken, chopstick and johnjon were in fact the companions with whom, after a first collaboration for “New Day”, in 2009 you started the adventure of Suol Records (who’s name is, not by chance, an anagram of “soul”) and that was a spot-on choice, judging by the results. All the Ep’s released with them were really noteworthy, and very coherent with your background. I find that this partnership has been a life infusing boost for you. What kind of musical selection criteria do you have for the label, how would you define Suol’s sound? any new upcoming projects?
It is not like that I have a certain criteria where I decide what do I give the guys from Suol to listen to, and maybe talk about to release it, cause it is just more the other way around like Chopstick and Johnjon the c.o of the label are good friends of mine. And so we are like meeting just on a private way like three times a week and of course we are talking about the new stuff that I just produce and the new stuff that they produce and most of the time they all get to listen in advance what I just recently do. So it is like more decision that I do with these two guys together, it is not like that I’m deciding in a forefront.
After having packed up a lot of experiences collaboration-wise, it’s time for the one that becomes a milestone for your career (positively or negatively?). Together with your brother you sign the soundtrack for the film “Berlin Calling”, in which you also take part with a small cameo, kickstarting your consecration by the media. “Sky and Sand”, with its romantic text, becomes the hymn that all party animals that are to be named as such must sing until their lungs burst. And that’s the point i’m trying to get to. All the film’s tracks are constructed to get embedded in one’s head with their hypnotic loops, precise bass drums and impeccable techno. But forgive me, it’s nothing we haven’t heard already. It seems to me like as if it is a product aimed on purpose to be a hit for the masses, and it definitely is. But don’t you think that maybe you have vulgarized yourself, by betraying in a way the music that defines you? Or was it a conscious choice, moved by the desire to appease the less receptive public?
In fact my only contribution to the “Berlin Calling” soundtrack was the vocal contribution of “Sky and Sand”. So all the other rest of production are just go to due to my brother Paul and that what you are hearing on the soundtrack is most of his production. All I did was, like I said, was the contribution of the vocals. We did it together as a collaboration and i felt very well doing it and don’t have very a problem to appreciate to the people that way, cause the people seemed to like it and I think it is the best you can hope for.
As i have mentioned before, i have the doubt that from this experience onwards in your career you have been looking for a sort of compromise between the background that defines you and the need to please the needs of the mainstream public, sometimes even threatening to downgrade your artistic credibility. Do you think that it is possible to reconcile commercial success and more underground sounds or is it an utopia? can we educate the masses in something that is more researched than a simple chart hit?
I think nowadays that it is possible to bring those fields together like have a commercial success and present a very good serious music, cause the people are more and more getting like a good and evolved ear to the style and nowadays with the sources to the internet they always can pick from what they like, so it is not like way back in the days, where people get forced to listen to any crap the radio suggested them.
I was very unsure on how to ask you this question, i can imagine that it’s a delicate argument for you. I didn’t want it to become the core of this interview and i hope i have managed to do so, but it is inevitable that being Paul’s younger brother has conditioned your career, willy-nilly. In the end, you haven’t done anything to avoid this, so it must mean that it’s ok with you. You could have, for example, tried to propose yourself on the market with a pseudonym, in order to avoid being compromised by Paul’s fame and the inevitable prejudices that could come from this. Especially when as in his case, one goes far from being just a famous dj, becoming a real public figure, a star actually, and who does everything to be one, while on the contrary you look to me like a more reserved person. Sincerely speaking, have you ever thought of using a pseudonym?
Actually i have never thought of using a pseudonym, because I picked my real name as a artist name, long before Paul had his overwhelming success international wide. The choice was already made when Paul became very successful and someone said he is my baby, he is just maybe running on his wave. So in deed the name was already picked and the decision was made and so I kept my name.
In a definitive way, do you think that Paul’s presence has oriented you into taking musical choices that were a bit far from what you actually love? Since when you were little both him and Sascha Funke used to make fun of you for the soul and hip hop records you listened to, and have always tried to infect you with the minimal virus which reigned everywhere in Berlin. Then again, you just have to listen to any of your brother’s remixes for your tracks to become aware of the different style that characterizes you, even if, in some cases, it is you that brings yourself too much in your own direction, risking of losing your way.
I don’t think that Paul’s present brought me too far away from what I really like, cause since day one , since serious music listener, I always loved both of these styles. I was also into soul and also into club music. I always felt love for both of these directions and from a certain point I decided to make more of these club music and in fact that is the end.
Keeping in mind this interview’s premise, would you like to give us your journalist’s opinion on your brother? Musically speaking of course.
Compared with that what I am doing Paul’s music is more straight up, more technically cold in the best way, because he is focusing more on the real technical aspect of the music, while I am just trying to involve more real life aspects of the music by using for instance guitars and real life base lines and give the whole thing a little more warmer touch of the music but in fact it is not too far away from what I am doing because also Paul is trying to speak to the audience by emotions as the way I am doing it.
Back to singing. A warm and mellow voice, yours, deep and “dirty” at the right point, but at the same time modern and smooth, with a perfectly recognizable tone. One of those that could be heard in some old 70’s funk or soul record, if you would paint your face black (a recurring joke in these days!), but also on the radio at Top of the Pops (ok, i’m just kidding now!). In other words, it’s very versatile. How much do you think a vocal part is important in an electronic music track nowadays? Maybe in this case we should make a distinction,historically speaking it’s almost necessary. The use of voice in a house track is very different compared to that used in techno, just as the final results are. But in both cases i find this of vital importance, especially when talking about the impact on the public, on whom singing has always had a kind of fascination, helping the tracks to become more captivating.
The use of the vocal in the techno track is not this important like it would be in pop music but nowadays it is very fashionable. I have to say that I always, when I am do singing, I put an eye on it, to just make it like an other contribution in the track, like an instrument with some “hey’s” and “jo’s” and shouting stuff, cause always when I write I always try to bring some into a conscious level on a song writing basement which make the people think and also bring them emotionally into the song.
In a paradoxical way, i noticed that in “Here Today Come Tomorrow” you didn’t sing much, if not only in the most melodical parts, almost as if you did not want to draw the listener’s attention away from the album’s main groove, even if in my opinion your voice suits well the soulful atmospheres that characterize it, even more than it could seem from your more famous tracks. Why is it so? Is it a voluntary choice?
When I produced the album I was thinking about it to make it on two thirds by instrumental productions and on a third by vocal contribution tracks. I just wanted to show the people my abilities in singing and my appreciation on vocal tracks but on the other hand I just wanted to show the people pure club production, pure club music tracks. It is like a real made decision by having two thirds of instrumental tracks and one third of vocal contributing tracks.
I have spoken a lot, even too much i think, it is now your moment as a professional to step in. Do you often listen to your own music, and i mean it as in your everyday life? What tracks do you like most as a critic?
Actually I do not very listen much to my own tracks in every day life, cause right after you release the tracks there are out in public and not yours anymore, so it is time to focus on new things. I also do not really find the time to listen to my own music. Well, I don’t have really listened to my own stuff in the daily life and so according to that it is pretty hard to pick some track which would be my favorite.
You are about to release the fantastic “Suol Mates Mix” that sees you brilliantly bringing together soul, hip-hop and house, stick to your background. Tell us, how did this mix come about and how easy was the process of track selection, license clearing and mixing it together. Also, is this mix a true representation of Fritz Kalkbrenner?
Yes, I could say that the mix is a true representation of that what I really like. The realization of the mix was actually pretty hard, cause in the beginning I choose like sixty tracks that might be on the mix-cd and from that point on I started looking out for the licensing which would be very hard and someone denied it and someone didn’t denied it. In the end there were like twenty tracks which made it on the mix. I guess from the start of the idea until the master file it took about more than one and a half month. For music lovers to do a dedicated mix it is actually pretty difficult.
Tell us about the album of your dreams, the one you would love to produce in the future, as if you were reviewing it.
The album of my dreams is always an album that could be seen as one piece in a whole, where old tracks are just put together in a certain way of a concept because I really love concept albums from track one to the very last one like just one big piece. Perhaps this is my main criteria.
I promised you would have had your opportunity to get your revenge on me, and here you are. First of all, thanks for offering yourself to this interview, i bet it must have been tough even just reading through all the questions. Anyway, what can you tell us about all these modern journalists like me? Are we “soul” enough?
On most musical journalist I cannot say a bad word about them, because most of them seem to be very pretty dedicated and very into it and very interested of what I am doing. Basically I think it is a good think, so no offends it is a very good that you guys are doing, so strongly and I cannot say a bad word about it.