Un album personale come non mai, l’appena uscito “Personality”: Scuba in questa lunga chiacchierata con Soundwall si mette a nudo, ci confessa ascolti inconfessabili, avventure che non ha intenzione di compiere e analizza, con enorme lucidità, tutta una serie di faccende riguardanti la dubstep, il Berghain, le mode nella club culture. Affilato nei pensieri e nelle parole così come nelle produzioni.
All’improvviso: sole, luce… Già la copertina di “Personality” è sorprendente! Ci avevi abituato a ben altro, a partire appunto dall’immaginario legato agli artwork dei tuoi lavori.
Hai ragione, hai ragione (ride, NdI). In effetti, visto che abbiamo a che fare con un disco molto meno malinconico e più upbeat rispetto al mio album precedente, aveva senso far intuire questa differenza fin dalla copertina.
Le differenze non si limitano alla copertina, comunque: c’è tanto spirito house in questo disco, tanto. So che non è bello categorizzare, ma credo che tu fossi noto essenzialmente come il producer che è stato in grado di combinare con efficacia, come pochi altri e anche prima di altri, dubstep e techno. No? L’house non aveva mai realmente fatto capolino. O almeno non in questa misura.
Vero. Ma chi ha sentito i miei dj set da un po’ di mesi a questa parte diciamo che è meno sorpreso di altri, era già da un po’ infatti che stavo esplorando un certo tipo di territori e rimandi sonori. Con questo disco sono riuscito a far riaffiorare le mie prime influenze musicali, la roba cioè che ascoltavo molti ma molti anni fa: penso a certo pop anni ’80, all’house dei primi anni ’90, tutte galassie stilistiche che effettivamente non erano mai entrate prima nella musica che mettevo in giro. Con “Personality” invece finalmente ho permesso alle mie influenze e al mio background musicale di venir fuori. E’ successo perché oggi sono finalmente meno preoccupato di cosa la gente può pensare di me e della mia musica: mi sento più tranquillo e, quindi, più libero. Però ecco, ci tengo a dire una cosa.
Vai.
Non sto facendo qualcosa di commerciale. Magari qualcuno salterà fuori accusandomi di averlo fatto, sentendo diciamo un certo tipo di sonorità… Quando ho iniziato a lavorare all’album, assolutamente mai mi sono posto il problema di quanto fosse potenzialmente popolare e vendibile ciò che stavo assemblando – volevo giusto fare qualcosa di diverso, qualcosa che non avessi mai fatto prima, stop. Che poi, a pensarci bene, non so proprio se “Personality” può essere davvero più commerciale (anzi: commerciabile) di alcuni miei album precedenti: ok, c’è più house, ci sono tracce vocali, ma in realtà se ci guardiamo attorno sono elementi che oggi spesso e volentieri più che assicurarti il successo commerciale ti condannano all’impopolarità, lì dove fino a qualche anno fa era il contrario. Paradossale, ma è così. Tanto più – aggiungiamo pure questo – che la gente da me si aspettava tutt’altro, lo so bene. Ma questo, lo dice in parte il titolo stesso, è il lavoro più personale che abbia mai inciso, non poteva quindi che venire fuori così.
Non hai paura che il tuo pubblico di riferimento, che spesso e volentieri è intorno ai venti, venticinque anni nelle serate, non riesca a cogliere o comunque ad empatizzare con riferimenti che vanno a certo pop anni ’80 e ai primi anni dell’acid house, musica con cui probabilmente non hanno mai avuto a che fare?
Ecco, appunto – ora capisci perché insisto sul fatto che “Personality” non è commerciale! Credo tu abbia sollevato un problema reale, sì. Io, ovviamente, spero che la gente riesca a relazionarsi nel modo più intenso possibile a questi riferimenti: anche perché per me è musica talmente bella da essere senza tempo, molto più forte dello scorrere delle mode. Però sì, hai ragione: spesso e volentieri chi mi sta davanti, nei club, sono ragazzi di vent’anni che anche solo per banali ragioni anagrafiche certe cose non le hanno vissute. Non so, vedremo. Di sicuro mentre stavo lavorando alle tracce dell’lp questo problema non me lo sono posto.
Trovo abbastanza ironico che, quando tu hai iniziato a farla, la dubstep era la musica per eccellenza del clubber “intelligente” mentre oggi il grosso del suo pubblico è composto da ragazzini chiassosi che impazziscono per Skrillex e che, francamente, aspirano ben poco a percorrere il lato più intellettuale e storicamente consapevole della club culture.
Che dire… Sì, mi pare una fotografia corretta della situazione. Di sicuro Skrillex e i suoi epigoni si sono allontanati tantissimo dalla musica dubstep così come la immaginavamo e concepivamo noi. E ti dirò, ad essere sincero mi chiedo certe volte come faccia a piacere così tanto la loro musica: ascoltare un loro set è come farsi prendere a calci in culo tutto il tempo, è veramente così divertente? Non so, eh. Sia chiaro: io verso Skrillex e alcuni altri producer a lui riconducibili ho rispetto. Hanno preso alcuni elementi della dubstep e li hanno portati all’estremo, inventando uno stile riconoscibile. Questo è un merito oggettivo. Resta il fatto che, ehm, a me la loro musica non piace… se devo essere onesto la trovo abbastanza terribile. Ma questo, appunto, è un fatto soggettivo.
Torniamo su terreni a te più congeniali: di sicuro un posto in cui ti senti a casa sono le serate Substance, da anni le “tue” serate al Berghain…
Quando abbiamo iniziato ad organizzarle, dovevano essere un’anomalia all’interno della programmazione del Berghain: delle “UK nights” dove propagandare un suono altrimenti assente nella line up del club, di suo molto “tedesca”. Il grande paradosso è che negli anni progressivamente la musica tedesca ha iniziato a prendere sempre più elementi dalla musica inglese, e viceversa. Prima c’era un abisso, fra le due scene, ora è sempre più difficile capire cosa arriva da un paese o dall’altro. La nostra priorità però è sempre stata e resta creare qualcosa di originale rispetto all’abituale programmazione del Berghain. La soluzione è stata puntare a portar lì alcuni maestri della drum’n’bass storica: D-Bridge, Dillinja, Marcus Intalex… la drum’n’bass è un po’ come la musica house: le cose mainstream sono pessime, ma se vai a scavare nei noccioli più nobili e hardcore della scena trovi ancora tantissime gemme. I proprietari del Berghain sono meravigliosi, c’hanno sempre supportato in qualsiasi nostra scelta. Ma anche il pubblico ha sempre reagito bene. Non era scontato. E’ che ci vuole un po’ di coraggio per proporre al tizio che di solito ascolta Loco Dice o Villalobos di passare una serata ascoltandosi Marcus Intalex, non credi?
Decisamente. Trovo comunque abbastanza bislacca questa cosa che negli anni ’90 la drum’n’bass pareva l’unica musica realmente avanguardista nella club culture, poi da un certo momento in avanti è diventata una roba da retrogradi, da sfigati, da gente rimasta indietro… con la musica che però era rimasta più o meno sempre quella…
E’ che quando entri nell’occhio del ciclone dell’hype finisci, di solito, in una fase di stasi artistica. Non è una critica verso nessuno, credo che sia un processo inevitabile – anche la musica dubstep lo sta vivendo. Succede infatti che improvvisamente ti ritrovi a suonare in sale più grandi. Passi da club da 150 persone a quelli dieci volte più grandi, così come tendi ad un certo punto a cercare una reazione decupla anche da parte del pubblico; cerchi insomma sempre l’effetto speciale che faccia esplodere il dancefloor… un effetto speciale che deve essere per forza di cose abbastanza facile e grossolano. Ed è così che cominci a puntare tutto sui bassi, su certe soluzioni che puntano ad una reazione immediata della pista, immediata. In questo modo piano piano si entra in una stasi artistica, la vera ricerca scompare, e dopo un po’ ci si accorge che la musica è diventata stagnante come ricerca, perdendo la sua ragione d’essere originaria di “ricerca”, di novità, di nuovo limite sonoro. Ma alla fine nella drum’n’bass così come nella dubstep così come in tutte le musiche ci sono sempre e sempre ci saranno delle cose interessanti, questo ci tengo a dirlo.
Stai preparando un live set specifico, per presentare “Personality”?
Beh, sì. Non credo che arriverò a formare una vera e propria band, però di sicuro l’intenzione è di mettere su un set che sia qualcosa in più di me e il mio laptop. Di sicuro ci sarà qualcuno che si occuperò di visuals, questo te lo posso già dire.
A casa tua, che tipo di musica ascolti? Intendo nel tempo libero, quando non fai per dire ascolti funzionali alla tua attività di dj. La tua musica è prettamente elettronica, nelle produzioni, ma immagino che i tuoi ascolti siano molto più vasti…
Eeeh… che so, ascolto tantissimo i Fleetwood Mac, ancora oggi. O anche Paul Simon.
Imbarazzante, dai.
Non sono imbarazzato per nulla! (ride, NdI)
Non proprio nomi di primo pelo.
Non ascolto tanta roba nuova, tolta quella che serve per tenermi aggiornato come dj. Nei miei ascolti casalinghi mi piace andare a ritroso.
Ti vedi ancora musicista nell’ambito della club culture, a cinquanta o sessant’anni di età?
Sinceramente non lo so. Di sicuro continuerò a far musica. Qualsiasi musica faccia, l’importante è che continui a farla con onestà.
E i tuoi piani di conquista degli Stati Uniti come stanno procedendo?
Vero, abbiamo provato ad esportare Substance a New York e devo dire che il risultato è stato molto divertente. L’America però è un posto strano. Per farti conoscere almeno un minimo, devi girarla intensamente, suonando ovunque per mesi e mesi, sennò è inutile. Non so se ho voglia di farlo. Non sono infatti ossessionato dall’obiettivo di diventare un minimo conosciuto anche negli Stati Uniti. Sono un bellissimo paese, meraviglioso da visitare, ok, ma per diventare un nome di successo dalle loro parti bisogna fare alcune mosse che, sinceramente, non ho molta voglia di fare… Però devo dire che la notte migliore da dj l’ho passata proprio a New York: praticamente un rave illegale ma piazzato nella Broadway, quindi in pieno centro a Manhattan! Non me lo sarei mai aspettato! E’ stata una notte veramente magica.
Un’altra notte che occhio e croce ti ricordi di sicuro è quella del Sonar, quando forse per la prima volta nella tua vita ti sei trovato a suonare davanti ad almeno diecimila persone…
Maledizione, sapevo che quella sala del Sonar fosse grande, ma non pensavo così grande! E’ enorme! Comunque dai, mi sono divertito. E non mi dispiacerebbe ritornarci.
Non eri preoccupato dalla possibile reazione del pubblico? Non eri una superstar, non suonavi hit, eri uno che volente o nolente arrivavi ad una scena all’epoca decisamente di nicchia…
Sinceramente non erano pensieri che mi ero posto, al momento di salire in consolle: ero concentrato sui dischi da mettere, e stop. Incosciente? Forse. Anzi, col senno di poi probabilmente sì, molto incosciente. Ma alla gente comunque pare essere piaciuto, che ne dici?