L’industria discografica è in crisi? Chi l’ha detto? A me non pare proprio, soprattutto alla luce di quanto mi capita di vedere o di ascoltare ultimamente. Milioni di mp3 e vinili girano e rigirano tra negozi e web-stores. Sarei più d’accordo con la tesi che parla di una crisi qualitativa più che quantitativa. Tralasciando infatti le chart di Beatport (sulle quali potremmo aprire un dibattito infinito), sono davvero pochi i lavori che si salvano e il più delle volte riguardano release solo in 12’’. La stampa in vinile è il vero cruccio e punto di svolta di tantissime labels: se da una parte presenta il classico rischio d’investimento tra volume di vendite e conseguenti introiti (il digitale premia cento volte tanto), dall’altra può garantire quella curiosità e prestigio che attrae i reali cultori del genere, affascinati in particolar modo dalla dicitura “vinyl only”.
Tutto questo noioso ma necessario incipit per anticiparvi la prima uscita ufficiale di un progetto nostrano lanciato da Luca Ballerini, un ragazzo determinato, con due cose precise in testa: macchine analogiche e vinili. Un amore globale attraverso cui è stato in grado di coinvolgere artisti provenienti da svariati background ma con un’assimilata esperienza in materia di uscite. Chi? Rio Padice, Kay Sand, Rills, per esempio. E’ nata così Wax Jam, etichetta che stamperà esclusivamente in vinile. Noi siamo lieti di potervi recensire il debutto assoluto firmato proprio da Luca Ballerini e Rio Padice con “Never Mess La Cricca”, EP composto da quattro tracce solidissime dall’evidente imprint old school.
Si parte con “Rawverdose” che raggruppa il classico drum beat analogico condito da diversi elementi ritmici e una costruzione più funky in seguito all’ingresso del basso. Il sapiente gioco di alternanza di chords e synths garantisce poi quell’effetto intrigante che cattura l’attenzione dell’ascoltatore per l’intera durata senza troppi tempi di ripresa. Sulla falsa riga anche “City Drama”, in realtà composto da due patterns principali che si sostituiscono più volte nell’arrangiamento: da una parte atmosfera soft e deep e dall’altra un groove irrefrenabile composto da basso “raw”, loop acid e vocal hits. Per “Detroit Bazaar” basterebbe il titolo per potervi anticipare i tratti salienti del disco; si ripresenta il comune denominatore 909 con una prorompenza equilibrata solo da “detuned” synths e rides in sequenza e dal minimo accenno vocale. Il marchio da club si palesa anche nell’ultima traccia, “Gamma Ray”, tra vocale e gusto analogico inglobato in un vortice di sensazioni “retro” davvero deliziose.
Il primo segnale di questa label è forte e chiaro: non c’è spazio per la slowhouse smielata di questi tempi, bisogna tornare al sound dei mostri sacri della scena Detroit, lì dove tutto ebbe inizio, il vero punto di partenza e di ripartenza, ancora una volta…