Una città. Un passato buio. Un muro che ha lasciato un segno indelebile nell’animo della storia. Un coacervo di emozioni, ricordi, paure, sogni, rovine, odio, anarchia e scheletri industriali. Un agglomerato urbano riunificato nello spazio, ma che ancora viveva la cicatrice indelebile del passato. “There was no freedom, there was frustration… Then, the Wall came down and Techno arrived”. SubBerlin è molto più che la storia di quello che è stato il Vaticano della Techno, è molto più che il racconto della nascita e della morte del Tresor in Leipziger Straße ai numeri 126–128. SubBerlin è uno spaccato di storia passata e presente. Attraverso le parole dei fondatori del club, del pubblico, degli artisti che hanno contribuito alla sua crescita si rivivono i sorrisi, le soddisfazioni, le delusioni e i ricordi di coloro che lo hanno vissuto, che hanno potuto godere di uno dei momenti più veri della storia della musica elettronica.
Nel film si parte dagli albori, da quando, nel 1991, Dimitri (il fondatore) e Johnnie Stieller (il Tresor discoverer) non accettano il non riuscir a trovare una nuova e degna location per il successore dell’UFO club. In un’area dove ogni fine settimana si trovavano nuovi posti incredibili dove organizzare feste, dal bagno di una stazione ferroviaria abbandonata a bunker sotterranei e sterminati nelle campagne circostanti Berlino, non era possibile non trovare uno spazio perfetto in cui stabilire un club. “Perché non lì!?”. I due erano in macchina a Potsdamer Platz e a quella semplice frase seguì la creazione del Tresor Club. Era un edificio abbandonato, il rudere di quello che una volta era stata la Wertheim Bank. Quando Regina Bear (Tresor managment) fu accompagnata da Dimitri all’interno di quell’edificio devastato dalla guerra, esclamò sconvolta “Deve assolutamente rimanere tutto com’è!”. E così fu: quanto restava delle vecchie scaffalature abbandonate non fu toccato, né alterato, così come i cancelli, le inferriate, le celle… Nessun impianto luci, nessuna rivisitazione della struttura, solo un soundsystem capace di far dimenticar completamente le verità esterne, di scaraventarti in un’altra realtà – come dice lo stesso Sven Vath nel film. La forza del Tresor è stata proprio la sua anima grezza, il suo esser ponte di collegamento fra il passato e quell’incredibile curiosità per il futuro che si sentiva nell’aria, un intermediario fra la tecnologia e le rovine dei ricordi: il sobborgo della techno. Era il luogo in cui le passioni esplodevano sotto forma di musica e fotografia, i sentimenti si concretizzavano in ogni espressione d’arte ed eccesso esistente. Spesso, nel reiterare il medesimo concetto, si perde un pò la crudezza dei ricordi, della storia, invece è proprio questo uno degli aspetti che più colpisce: niente viene dato per scontato; le tragedie, l’anarchia, gli scontri con la “polizei”, ogni cosa viene riportato nel film senza superflue enfatizzazioni. Il tutto, ovviamente, è accompagnato da una colonna sonora che definire poderosa e perfetta sarebbe un eufemismo e un’imprecisione, soprattutto perché la parola “perfetta” proprio non si addice a cotanta meravigliosa crudezza musicale. Ogni traccia è scelta con cura a seconda della storia che si racconta o dell’artista che sta parlando.
Una delle cose che rimangono più impresse dopo aver visto il documentario sono le descrizioni dell’aria che, letteralmente, si respirava dentro quello spazio, sotto il livello della strada, dove erano le tempeste di bassi a fare da padrone: dj che non riuscivano ad usare gli accendini per l’umidità, costretti a portare con sé bombole di ossigeno per poter respirare… Le descrizioni degli odori, dell’energia della folla… I racconti di Liebing che rivela di aver capito proprio lì cosa fosse realmente la techno. Le testimonianze di Blake Baxter e Mike Grant che confessano di esser rimasti letteralmente senza parole quando per la prima volta suonarono nella gabbia. La techno veniva da Detroit sì, ma è stato a Berlino che ha trovato la possibilità di evolversi liberamente in tutta la sua ruvidità; perché quello era il pubblico che ne aveva realmente bisogno, quello era il pubblico pronto alla rivoluzione e questo non lo diciamo noi, bensì colui che nel film è presentato con il nome di Techno-Legend: Jeff Mills. E ancora, le parole di Tanith, Josh Wink, Mr. C, Paul Van Dyk, Kowalsky e i ricordi di moltissimi altri che spesso, vi assicuro, fanno venire la pelle d’oca. Interessanti poi sono le parole di Stieller che racconta di quando il boss della Bose arrivò a Berlino con il suo Jet privato perché lo staff del Tresor non riusciva a capire per quale motivo dei diffusori concepiti per esser indistruttibili “fondessero” in continuazione. A questo punto magari vi starete chiedendo se si è preferito lasciar da parte il discorso sugli stupefacenti… No, c’è tutto, tutto! Dalla testimonianza della storica ragazza del guardaroba a quella dell’investitore che rese possibile la nascita del club, dalle parole di un ragazzo sotto XTC alle lacrime della Tresor manager o di semplici ragazzi che nell’ultimo tour de force per la chiusura del club vedevano il brutale troncamento del corso della storia, di un pezzo della loro vita.
Ed è stato proprio pensando a questo fatto che ho scelto di definire questo film come “uno spaccato di storia passata e presente”: sono passati più di vent’anni e, alle volte, ancora assistiamo alla totale e nera indifferenza da parte dell’industria culturale (nella sua accezione negativa) e delle istituzioni per quello che è un movimento culturale underground e non, per quello che è, insieme a tutto il resto, espressione, creazione o per dirlo usando le parole di Mr. C “It’s about people sharing information and coming together and interacting with each other. This is what it’s really about, it’s a social thing”. Ed è per questo che alla fine del film, quando i numeri 126-128 di Leipziger Straße vengono acquistati da un gruppo imprenditoriale e si vedono gli striscioni di Prada, Gucci e Chanel, ci si incazza. Lì, proprio lì, dove dopo anni di dolore e sofferenza la Berlino Est e la Berlino Ovest si erano ritrovate in nome della musica, si erano riunite per condividere, per dar vita a qualcosa di nuovo. Questo non è solo passato, bensì anche presente, perché proprio pochi giorni fa, sempre a Berlino, è stato chiuso il Tachles, uno degli storici centri culturali del movimento underground.
Alla fine di questo grande film ci si incazza, sì, ma allo stesso tempo ci si commuove: attacca “Last Goodbye” di Melanie Houston, un pezzo che afferra brutalmente le nostre emozioni e sullo schermo si vedono le riprese dell’ultima festa. Era il 16 Marzo 2005, il giorno del “The Last Party” e Leipziger Straße era letteralmente invasa da ragazzi. Un fiume di persone che per giorni ha intasato quella strada. Si vede Hatwin che con la sua piccola macchina fotografica si porta a casa il ricordo di quell’evento, di quell’incredibile atto di fratellanza. 14 mila ragazzi pronti, dopo giorni di party ininterrotto, a ballare insieme per l’ultima volta su quel suolo, a dare l’ultimo saluto al Tresor. Poi un’emblematica sirena da coprifuoco, quello stesso suono che per anni aveva scandito la vita della città. Segue l’ultima traccia suonata quella sera, una traccia eloquente inserita in quel contesto. La famiglia, composta da artisti, staff e pubblico, si abbraccia bevendo l’ultima birra, alzando per l’ultima volta le braccia in aria, toccando per l’ultima volta quelle mura e, infine, smorzando brutalmente quell’ultimo brano, così come era stata smorzata la vita di quel club. That’s it. L’insegna “Tresor” viene smantellata lettera dopo lettera, e mi vengono i brividi anche ora nel raccontarvelo. Era finita. Rimane però l’enorme manifesto dell’ultima serata su cui era scritto a grandi caratteri: “IT’S NOT OVER”.
Il 24 Maggio 2007 Dimitri e lo staff hanno aperto il nuovo Tresor Club in Köpenicker Straße. Una location da 20000 metri quadri. Sono cambiate le mura, ma non lo stile, lo spirito e l’essenza della vecchia location: True Spirit.
Il Tresor rilascerà “SubBerlin – The Story of Tresor” il 24 Aprile 2012. Il pacchetto includerà: DVD, CD, libretto da 24 pagine, sticker e un ingresso al club.