Ricordo di esser rimasto estasiato quando, un paio di anni fa, mi imbattei nella sua “Peace Of Mind”. Mi stupisce notare che riascoltandola adesso, con un orecchio più maturo, la carica emotiva trasmessa dalla traccia è rimasta inalterata. Poi mi ricordo che le cose fatte bene sono immuni da qualsiasi discorso spazio-temporale e allora il discorso quadra. Geometrie a parte, qui c’è l’inglese Mark Stewart aka Claro Intelecto col suo terzo album sull’etichetta olandese Delsin, un album in cui l’amore innegabile dell’artista, maggiormente, verso la techno (da capannone abbandonato) ma anche verso l’house, e la techno di Detroit (ben più lontana di quella dei distretti industriali di Manchester), si mostra in tutta la sua purezza, ed è in questo che si sviluppano le nove tracce di “Reform Club”.
Si comincia con “Reformed”, inaspettati synth e pad, propri di una deep house di classe, dai contorni dolci e sfumati si accostano alla durezza fredda, e metallica per certi versi, degli hat e della cassa profonda. Una delle migliori tracce di questo disco è “Still Here”, terza in ordine numerico. Un sottile bagliore di luce filtra, intermittente, a ogni nota di piano, bagliore chiaro come l’evidente passione che ho nei confronti dei toni alti e brillanti che caratterizzano la melodia di questa traccia e, che si affievolisce un po’ con le tracce a venire. Con un acrobatico salto orbitale ci spostiamo alla traccia numero sette, “Second Blood”: techno industriale, come dicevo in precedenza, precisa e dritta in tutti i sensi. String ordinati si rubano la scena a momenti alterni, fino a dividersela a pari merito; sinceramente, però, mi sarei aspettato qualcosina in più e, volendo dare un parere – quantitativo – a quest’album, finora, siamo sul 3/5.
Fortunatamente, le ultime due tracce sono due discorsi di tutt’altra pasta, prima “Night Of The Maniac” col suo mortale square bass e le schitarrate alla Tolga Fidan (ricordate “For Our Fathers”? E come dimenticarsela), poi “Quiet Life”, un elogio alla melodia libera de ogni struttura ritmica, string e keys di piano fluttuano liberi da ogni costrizione. Un finale struggente, come mai non mi sarei aspettato.
Il buon Mark si salva con un elegante piroetta, regalandoci emozioni inaspettate con due perle in chiusura di questo album, per certi versi, un po’ discontinuo qualitativamente parlando. Attento a non inciampare, Mark.