In tutta onestà, Vakant è per me un grosso punto interrogativo. Per me la label di Alex Knoblauch aveva un’identità ben precisa, un DNA riconoscibile tra mille altre label, un “suono” proprio, merce sempre più rara all’interno del moderno panorama dance (specie se si parla delle grandi etichette house). Cavolo, sono davvero arrabbiato: come può, con tutto il rispetto, una stessa label far uscire quel capolavoro di “Kasmir”, punto più alto della carriera di producer di Onur Ozer, e dischi anonimi (in quanto omologati al resto del mercato) come “Vision EP” di Nico Purman e di “Bedouin EP” di Jeremy & Walker? Francamente non riesco proprio a spiegarmelo, tanto che ogni volta che ascolto un nuovo Vakant ho sempre paura di restare deluso.
Che fine hanno lavori come “Studio 10” di Mathias Kaden (ripescate il remix di “Kawaba” firmato da Dj Koze, è un ordine!), “Violente/La Cadence” del duo formato da Tolga Fidan e Anthony Collins e tutte le release che hanno arricchito il nostro bagaglio musicale tra il 2004 il 2009? Io un’idea me la sono fatta: a partire dal 2009, infatti, Stephan Bolch ha lasciato da solo al timone Alex Knoblauch e questo deve aver nuociuto non poco in termini di scelte stilistiche. Il cambiamento c’è stato e come, tanto che artisti come Tolga Fidan, tra i miei preferiti in assoluto, hanno abbandonato gli standard ai quali ci hanno abituati proponendoci lavori “nella norma”.
L’aver citato Tolga Fidan non è un caso. Il produttore turco di base a Berlino (via Londra e Parigi), messi da parte in modo inesorabile “Venice / Tanbulistan”, “All Pleasure Is Relief EP” e “So Long Paris”, è infatti pronto a presentarci il suo primo album, terzo del catalogo Vakant. “Rogue” è un lavoro composto da nove tracce che, come avrete capito, non mi convincono fino in fondo. Gli spunti ci sarebbe tutti, ma in realtà questo long play non fa fare a Tolga quel salto di qualità che tutti (me in primis) ci saremmo aspettati: ok le dieci settimane di registrazione, ok le tre macchine “uccise” dalle lunghe sessioni notture, ok la chitarra elettrica ed il microfono…ma cosa c’è rimasto del vecchio Tolga? Cosa è rimasto dei quel suono dilatato ma allo stesso tempo fatto di ritmiche frammentate?
Dico questo perché non sono così stupido dall’essermi aspettato un lavoro esclusivamente orientato al dancefloor, cosa che “Rogue” non è assolutamente, ma perché nonostante tutto questa corsa verso la musicalità “a tutto tondo” non ha portato al traguardo che compete ai mezzi e al talento di Tolga. E’ come se, trovandosi sul tetto di un grattacielo, sia saltato ma abbia mancato l’atterraggio sul palazzo vicino. “Rogue”, però, è un lavoro tecnicamente perfetto e pezzi come “Shapes”, “Seve”, “Broken” (il mio preferito) e “Encore Encore” sono caldamente consigliati per i vostri tramonti solitari fatti di Persol e Heineken. A tutto il resto ci pensiamo dopo cena.