L’hype attorno a Flying Lotus, di cui già parlavamo nel report del primo giorno, c’ha fatto pensare, anzi, c’ha fatto ricordare come al Sonar le grandi ondate che domineranno la scena elettronica arrivano sempre prima: era per il Sonar di due o tre anni fa che scrivevamo, non su web ma su magazine cartacei, come il suono dominante fosse improvvisamente tutta la faccenda wonky e hip hop destrutturato – suono che all’epoca pareva destinato a una ristretta nicchia di appassionati, oggi invece muove le folle. Andando indietro nel tempo, con la dubstep è successo lo stesso. Perfino con la minimal: oggi pare incredibile, ma a cavallo del nuovo millennio era una scelta sonora davvero da coraggiosi, da persone controcorrente, da elite culturale con Berlino nel cuore ma poche speranze di radunare le masse. Ecco, per sentirne molta dovevi giusto andare al Sonar. Oggi il problema è non sentirne troppa ovunque…
E quindi? Qual è il suono dominante del Sonar 2012? Cosa diventerà di moda nel futuro? E’ vero che manca ancora un giorno di festival – parte diurne e parte notturna – per farsi un’idea definitiva, ma l’impressione è che come in altre edizioni si sia di fronte ad una fase interlocutoria. Non sta emergendo infatti un alfabeto nuovo specifico e dominante, si sente un po’ di tutto, c’è pure un po’ di retromania (tanto per citare Simon Reynolds), se pensiamo ad esempio al recupero electro / hip hop molto old school della cricca Mostly Robot (vedi sempre report di ieri). Il paradosso poi è che il più vecchio, il grande santone Daniel Miller, il fondatore della Mute (l’etichetta dei Depeche Mode, di Moby, di mille act che hanno fatto la storia dell’elettronica), uno che occhio e croce va per i sessanta, è stato zero nostalgico, sparando nel pomeriggio una techno non veloce ma solidissima e rigorosa, quasi cupa. Grande. Speriamo di arrivarci anche noi, ai sessanta, con questo piglio.
Diciamolo subito: molte sono le cose che non abbiamo visto (John Talabot live, ad esempio: ne hanno parlato tutti bene comunque), perché col sold out nel Sonar diurno alcune sale diventano raggiungibili solo se vi si accede con largo anticipo. Abbiamo fatto in tempo a rivedere un po’ di Flying Lotus, stavolta nel palco della Red Bull Music Academy ma con un set non troppo diverso almeno come attitudine rispetto a quello del giorno precedente, ma soprattutto sempre nello stesso palco abbiamo visto gli italiani Esperanza (Matteo Lavagna, Cécile, Sergio Maggioni, Giacomo Zatti) che c’hanno fatto fare, a noi del Belpaese, una figura strepitosa. Hanno iniziato infatti a suonare in un orario infame (l’una e un quarto, quando se va bene stai ancora facendo colazione, visto il jet lag nei giorni del Sonar…), di fronte a una decina di persone mezze sveglie mezze no, hanno terminato a tendone pieno, tutti in piedi ed ovazioni. Trionfo vero. Meritato peraltro, live sono veramente una macchina da guerra e valgono ormai tre volte più che su disco: sospesi fra cassa dritta, ritmi feroci, suggestioni cosmiche e geometrie post rock hanno trovato veramente una loro voce.
Il resto della programmazione diurna non ci ha impressionato particolarmente. Magari nessuna delusione particolare, ma anche nulla di particolarmente nuovo o particolarmente interessante. Vale allora spostarsi subito alla notte. Si parte con quell’Isam di Amon Tobin già visto e già stralodato nel report dedicato allo Springfestival di Graz (in una sala immensa come quella principale della Fiera di Barcellona un po’ si perde l’effetto, ma resta sempre una grande, grandissima cosa), poi giusto il tempo di vedere la coda di una imbarazzante La(g)na Del Rey, che in realtà poveraccia non ha nemmeno cantato male per quel che abbiamo visto, ma da come si muove e dai visuals che le proiettano dietro pare veramente un lunare omaggio al ridicolo involontario. Lì pausa, con James Blake in dj set in sottofondo (al solito un po’ “seduto”, non ha lasciato particolare traccia) e poi via, vai di Richie Hawtin.
Ora, l’ultimo dj set di Richie in solitaria al Sonar, un paio d’anni fa se la memoria non ci inganna, è stato uno dei massimi momenti di noia della nostra vita. Troppo rompiscatole noi? No, no, chiedete in giro, parlate con altri addetti ai lavori (e non coi Richie Boys integralisti, quelli che qualsiasi cosa faccia il biondino è oro puro). Comunque, sta di fatto che le aspettative erano basse. Invece l’inizio è stato insospettabilmente buono e insospettabilmente funky (certo, sempre in relazione all’estetica technominimale hawtiniana); poi è vero che piano piano si è adagiati su qualche vecchio cliché, quel classico traccheggiare sulla traccia limitandosi al togli-il-basso rimetti-il-basso, ma l’impressione è che il nostro eroe si stia facendo tornare l’ispirazione. Lo attende ancora un lungo viaggio: non può battere per la millesima volta le stesse strade degli ultimi dieci anni e deve inventarsi qualcosa di nuovo, non sarà facile, ma di sicuro quello visto al Sonar Noche non è stato il set di un artista bollito.
Dopodiché, il tempo di ascoltare dei chiassosi Friendly Fires, di perdersi (purtroppo) il live dei Simian Mobile Disco ed ecco che parte Fatboy Slim. Live, dice il programma del festival. “Eh? Live? Sì, suonerà tutti i soliti pezzi suoi, ma tanto sarò un dj set, figurati se fa un live”, commenta uno dei nostri soci di serata. In realtà Norman Cook si sbatte un po’, si tratta sì dei soliti pezzi suoi ma riarrangiati e remixati in modo molto crasso e aggressivo. Quasi maranza, quasi. E ogni tanto ‘sto “quasi” lo si poteva pure togliere. Tanto che ascoltarlo ti faceva voglia di andare all’autoscontro (non metaforicamente: al Sonar Noche, immancabile, anche quest’anno c’è l’autoscontro vero, sempre popolatissimo fino all’alba – farci un giro alle quattro del mattino è psichedelia vera, altro che droghe).
Inevitabilmente dopo un po’ Fatboy lo si è abbandonato al proprio destino per andare a messa da Squarepusher. Live contraddittorio, il suo: bellissimo in alcune parti (quasi tutte quelle iniziali, con un equilibrio perfetto tra visuals spalmati su un videowall enorme alle sue spalle e le sue apocalissi sonore digitali stilizzate), inspiegabile ed inspiegabilmente brutto in altre, soprattutto verso la fine quando si mette a fare il coatto col basso che nemmeno Carlo Verdone che prova a fare il metallaro. E’ sempre un’impresa tentare di capire cosa passa per la testa di Tom Jenkinson. Così come un’impresa, ma questo vale per tutta la serata, è stato muoversi per la Fiera: il successo di presenze è stato evidente, in questa prima giornata del Sonar Noche. Richie ha suonato di fronte ad una folla oceanica, ma bene o male tutti i palchi e tutti i set hanno avuto audience nutritissime. La crisi, a quanto pare, non abita qua.