Vedi Fabric 66, leggi Ben Klock. Non è una notizia scioccante, anzi c’era da aspettarselo. Ormai le qualità del tedesco sono arcinote, soprattutto in Italia, terra che in questi ultimi mesi lo ha accolto a braccia aperte in moltissime occasioni. Ma quello di cui ora parliamo è un impegno completamente diverso, dove l’ego del tedesco si scosta dalle abitudinarie ospitate come guest. Ci tiene a sottolinearlo Ben, specificando la sua volontà nel non includere nessuna delle sue classiche “bombe”, al contrario cercando di invogliare l’ascoltatore ad allargare una prospettiva troppo ristretta legata a lui e alla sua immagine. Affermazione che preannuncia quindi uno sviluppo asettico, lontano dallo spirito di techno raver (basta spulciare nella magica lista nomi di Burial, Alva Noto per capirlo) e nel quale molto spesso il titolo e autore sarà accompagnato dalla dicitura “unreleased”. Ma all’orecchio allenato non sarà scappato di certo lo squisitissimo mix “Berghain 04” di qualche tempo fa, dove già avevamo avuto di constatare tali particolarità. Probabile che anche le menti inglesi lo abbiano spinto a ripetersi, senza tanto bisogno di convincerlo visto il prestigio secolare del Fabric. Lui alla chiamata in appello non solo ha alzato la mano, ma si è anche alzato in piedi mostrando una granitica coscienza delle potenzialità virali di un mixato del genere.
Ne è scaturito un qualcosa di dannatamente bollente, un percorso incrementale che trasuda l’animo raver del tedesco. La macchina si accende già su di giri e raggiunge velocemente le marce più alte a partire dalle prime tracce, con apice di ipnosi tra “Spying” e “Starz” per poi ritornare a quell’oscurità che riproietta immediatamente dentro al Berghain senza bisogno di alcun tipo di selezione da parte del buon Sven Marquardt e soci. Arrivando a metà mixato, la strada prosegue dritta, senza fronzoli e bisogno di fantasticare, non si può non venire travolti dal vortice di cassa e basso tra “Another Journey”, “Few Mysteries Solved in A Year of Contact” e “Penny Pincher”. Le aggiunte di synths tra “Chord Principal” e “Mind Calming” aggiungono benzina al serbatoio, ce n’era bisogno anche perchè poi “Raver” e soprattutto “Allies” dell’amico Dettmann riconducono sulla via precendente. I pads di “Coaster” allargano e allo stesso tempo allegeriscono l’orizzonte unidimensionale di cassa-basso, un’illusione che dura pochi istanti, giusto qualche secondo e poi via dritta la firma di Planet Assault Systems. Ma è soprattutto Steve Rachmad con la sua “Rotary” a dare un’impronta incredibilmente efficace e irresistibile come un orfigno ad orologeria. Le marce cominciano brevemente a scalare con “In Time” e con un breve intermedio di “Panna Cotta”, l’ultimo capolavoro di Matthew Jonson. Nei minuti finali Ben mostra tutta la sua abilità coniugando perfettamente melodia e vocals con la spinta techno (intuibile da “Never Grow Old” a “Detached”). La chiusura è d’autore, con due minuti “sperimentale” firmati dal maestro Alva Noto nella sua “Monophaser 2”.
Abbracciare la crudezza e la potenza della techno con uno stile invidiabile, questo è Ben Klock. Questo è Fabric 66.