Una lezione per tutti, “Until The Quiet Comes”; in primis una lezione che Flying Lotus dà a se stesso. Avevamo infatti molta paura che l’incontrollata messe di elogi che da un paio d’anni si sta rovesciando addosso al nipotino di John Coltrane – che è e resta uno dei più talentuosi beatmaker dell’ultimo decennio – lo portasse a montarsi la testa. A fare cioè il classico disco narciso, pieno di orpelli buoni solo a dire “Guardate come sono bravo!”, di passaggi in cui a divertirsi è molto più il producer che l’ascoltatore, o al contrario – ma è l’altra faccia della stessa medaglia – farcito di momenti intrisi di cattivo gusto perché tanto “…qualsiasi cosa io faccia, è figa”. Soprattutto quest’ultimo pericolo ci rimbalzava in testa, perché le due esibizioni di Fly Lo al Sonar di quest’anno erano state preoccupanti per la grande mole di crunk dozzinale usato, hip hop commerciale di ultima insomma: in mano sua, una barzelletta che non fa ridere.
E invece, questa release tanto attesa ed anticipata spazza via i dubbi, tutti. Non rinuncia a nulla di se stesso, lui: c’è l’architettura ritmica sincopata alla Jay Dee incrociata con le complicazioni alla Prefuse 73, ci sono i momenti quasi-claustrofobici, c’è quella classica equalizzazione “calda”, che è uno dei suoi veri plus rispetto ad altri producer della sua schiatta (il già citato Prefuse, che comunque è il vero pioniere della faccenda, o un Dimlite, o anche tutto il filone – peraltro molto valido – che sta crescendo molto bene in Italia, vedi Digi G’Alessio, Railster, Planet Soap, eccetera). Ma soprattutto ciò che c’è è una nitida e distesa visione d’insieme. “Until The Quiet Comes” è un album nel senso più nobile ed importante del termine: non è una raccolta di canzoni, è un progetto artistico, è un viaggio con una sua dinamica interna, con una tracklist che evidentemente è stata studiata fin nei minimi particolari. Ciò che di più lontano c’è insomma dalle uscite usa-e-getta che stanno invadendo il mercato, a partire dalla proliferazione insensata di singoli ed ep (e la musica elettronica su questo porta una grande colpa – sì, per chi scrive questa è proprio una colpa).
Parte disteso, sorridente ed aereo, l’lp; poi si complica (perché ogni viaggio ha il suo momento claustrofobico, in cui non vedi né il punto di partenza né quello d’arrivo), per riprendere la rotta con la title track o la bellissima “DMT”, navigando successivamente fino alla fine ad altissimi livelli. Ci sono molte citazioni jazz, c’è una ricerca dell’arrangiamento tanto prezioso quanto dichiaratamente psichedelico (con inflessioni che vanno dal lounge al kraut rock), ci sono featuring importanti (Erykah Badu, Thom Yorke) che però non vengono assolutamente ostentati. Non è forse il capolavoro che stravolgerà le regole della musica del nuovo millennio, “Until The Quiet Comes”, ma sarebbe ingeneroso considerarla una critica: di “Kid A” ne escono uno ogni venti, trent’anni, quel che conta è che con questo lavoro Flying Lotus dimostra di essere un artista di consistenza totale, non un fuoco di paglia gonfiato dall’hype di turno. Album da consigliare a tutti e da ascoltare e riascoltare: fare musica è una cosa seria e difficile, fare musica è una cosa bella. Ricordandosi tuttavia che senza serietà e difficoltà non c’è mai vera bellezza.