Figlio di Roger Odell, batterista dello storico gruppo jazz-funk Shakatak e di una jazzista semi-professionista, Jamie in arte Jimpster è sempre stato a contatto con la musica fin dai suoi primissimi anni e tra studi di registrazione e tour in giro per il paese ha avuto modo di fare conoscenza con i vari “ferri del mestiere” il che lo ha portato fin da subito ad appassionarsi all’idea di poter produrre qualcosa di suo; gli sfavillanti anni a cavallo tra ’80 e ’90 della scena dance britannica hanno fatto il resto. 20 anni dopo può vantare 4 album (col quinto in arrivo fra pochi mesi) e una miriade di produzioni che lo hanno portato insieme all’amico di sempre Tom Roberts ad avviare Freerange Records, etichetta nata inizialmente per ospitare le produzioni di Jamie e divenuta anno dopo anno un fattore nella scena deep mondiale. Volto inizialmente alla mera produzione, Jimpster ha saputo negli anni evolversi iniziando a percepire l’importanza del club nel riconoscimento di un dj e cominciando a promuovere la sua figura anche attraverso i dj set che sono diventati man mano sempre più importanti fino ad essere oggi la sua massima fonte di ispirazione per la produzione in studio.
Quanto ha influito essere cresciuto in una famiglia di musicisti nel tuo modo di fare musica? Ci sono state delle contaminazioni particolari che ti hanno permesso di creare un certo tipo di sonorità?
E’ stato molto importante per la mia crescita come produttore e dj il fatto di venire da una famiglia di musicisti. C’era sempre buona musica in casa mia quando ero bambino e inoltre essere indirettamente esposto a studi di registrazione professionali, esibizioni live e soprattutto equipaggiamenti musicali come drum machines e synths ha decisamente catturato il mio gusto e mi ha aiutato ad arricchire la mia conoscenza produttiva. Il solo aver accesso a precursori del suono come TR808, TR909 e SH101 è stata probabilmente la cosa che più mi ha influenzato ed ispirato a voler produrre musica perchè ho subito realizzato che anche io potevo creare la musica che sentivo in radio e che compravo dalle Streetsounds Compilations. Inoltre ero anche molto dentro nella scena Breakdance intorno al 1984 ed anche quello è stato un fattore importante della mia maturazione musicale.
C’è stato un momento preciso in cui hai percepito che fare il dj era ciò che davvero volevi fare nella vita?
No, non c’è stato un momento preciso, affatto. Fare il dj era qualcosa che è nato dal fatto che sono cresciuto essendo sempre quello che si divertiva maggiormente nell’esplorare i vari generi musicali e nel creare i cosiddetti “Pause Button Mixtapes” (registrati dalla radio su cassetta stoppando la registrazione alla fine di ogni canzone alla cui si è interessati e riprendendo alla successiva) per i miei amici. Poi intorno al 1988 presi due piatti molto basilari con il pitch contro così cominciai a mixare vinili ed insieme ai miei amici cominciammo ad organizzare un po’ di feste. Ma per essere onesti la mia attenzione era quasi interamente rivolta alla produzione di tracce quindi direi che prima del 2000 o giù di lì quando ho iniziato a viaggiare davvero come dj e da allora questo aspetto è diventato importante tanto quanto la produzione per me. Ora come ora non credo potrei scegliere tra le due cose perchè ciascuna influenza l’altra. Se passo troppo tempo in giro a suonare mi manca davvero lo studio e se invece trascorro un periodo tranquillo senza troppe date certe volte mi manca l’ispirazione in studio perciò come vedi cerco di mantenere una sorta di bilanciamento fra le due cose.
Com’era fare musica in Inghilterra negli anni ’90? Com’era la cultura musicale in quel momento?
Era un periodo molto vibrante grazie all’esplosione della musica dance e della rave culture a cavallo tra gli ’80 e i ’90 ed inoltre grazie a una sorta di “Etica del Fai Da Te” che faceva credere che tutto fosse possibile. Credo si possa dire che la scena musicale fosse un pò diversa rispetto a quanto è oggi o almeno sembrava che ci fosse più apertura mentale per ciò che riguardava le sperimentazioni fra diversi generi musicali. Per quanto mi riguarda, ascoltavo un sacco di elettronica industrial come Nitzer Ebb, Tackhead e Meat Beat Manifesto perciò quando la prima ondata di house più “dura” cominciò a venire fuori ne fui subito attratto. La traccia “Space Gladiator” dei Renegade Soundwave è stata probabilmente la traccia che più mi ha influenzato fino ad oggi e mi ha pavimentato la strada nella scena Rave in cui mi ero immerso. Ho cominciato a creare tracce da rave nel 1990 e un anno dopo sono uscite sull’etichetta britannica Jumpin’ & Pumpin’. Presto ho iniziato ad eseguirle live nei rave nella zona di Londra. E’ stato un grande periodo!
Come si è evoluta invece la scena in questi ultimi 15 anni? C’è ancora vita oggi?
Bè di sicuro il tutto è diventato molto più commerciale il che ha tolto gran parte del lato underground ma già nel 1996 eravamo così ispirati da etichette come Ninjatune, MoWax e Compost che creammo Freerange come una sorta di “spaccio” per le mie produzioni. Credo che le cose siano cambiate e che l’industria musicale sia completamente differente ora ma la passione e l’entusiasmo e la ricerca di nuova musica sembrano esserci sempre quindi è ancora possibile per i nuovi produttori inserirsi nello stesso modo finchè continueranno a creare buona musica.
Come è cambiato il tuo modo di produrre musica nel tempo? Passare da un tipo di strumentazione prettamente analogico a quella digitale è stato duro?
No, è stato un passo molto semplice ed intelligente passare dal produrre musica su strumenti fino ad un setup tendenzialmente basati sul computer software. Le mie primissime tracce furono tutte create utilizzando un Atari ST con su Cubase, Akai S3000XL, Juno 106, Yamaha DX7 e Korg DW8000 registrando tutto su DAT. Appena comprato il mio primo Mac sono subito passato a Logic e col passare del tempo sono gradualmente diventato sempre più dipendente da computer e plugins. Ho lavorato così durante gli ultimi 7-8 anni anche se nell’ultimo periodo ho acquistato alcune apparecchiature analogiche ed ho fatto alcuni nuovi acquisti di hardware e sto provando a riportare quel fascino “meccanico” all’interno della mia attività.
Quanto è importante per te come produttore il riscontro del club alle proprie tracce?
E’ molto importante per me verificare come la folla possa rispondere ad una delle mie tracce nel club. Spessissimo provo alcuni master provvisori direttamente sul campo per poi tornare in studio e modificarli in base a quella che è stata la reazione della pista. Capita che le tracce non abbiano un buon impatto quando le suoni la prima volta ma dopo che escono e la gente si abitua a sentirle è come se trovassero nuova vita e diventassero più “popolari”.
Considerata l’enorme mole di date presente nel tuo calendario, come riesci a trovare il tempo di dedicarti così tanto all’attività in studio?
Cerco di tenere le date prevalentemente nei weekend e non mi sposto quasi mai per più di qualche giorno, anche se devo suonare in Giappone o negli Stati Uniti vado per il più breve tempo possibile in modo da poter tornare ad occuparmi della famiglia e dell’attività di produzione. La mia giornata lavorativa in studio è breve ma posso passarci 3-4 giorni alla settimana perciò una volta concluso il mio lavoro per l’etichetta posso concentrarmi sulla musica. Faccio inoltre tesoro del tempo in cui viaggio e creo spesso dei loops basici, dei sample e qualche volta anche delle intere tracce mentre sono in volo o in hotel.
Parliamo di FreeRange Records, la tua etichetta avviata nel 1996 insieme a Tom Roberts. Come è nata la vostra collaborazione e come siete giunti all’idea di fondare un’etichetta discografica insieme?
Tom ed io siamo vecchi amici di scuola da quando avevamo 10 anni e abbiamo sempre condiviso lo stesso gusto musicale anche se Tom non è né un produttore o un dj ma un semplice appassionato e collezionista di musica. E’ sempre stato interessato al lato esecutivo del dirigere un’etichetta discografica perciò quando mia suocera ci diede 2000 Sterline per aprirne una capimmo subito di voler stringere un rapporto di collaborazione unendo la sua capacità organizzativa alla mia conoscenza musicale. In quel periodo ero in college per prendere una laurea in musica e producevo un sacco di tracce come parte del mio lavoro accademico così decidemmo di farle uscire sull’etichetta e ci creammo le prime tre release. Mi trovavo a Manchester ed ero circondato da grandi musicisti, produttori e una scena musicale molto salutare dove potevo incontrare persone di idee simili alle mie la cui musica uscì anche su Freerange.
L’etichetta è cresciuta esponenzialmente fino a raggiungere il traguardo di “miglior etichetta” del Regno Unito nel 2007. Vi aspettavate tutto questo successo quando avete inaugurato questo progetto?
Direi che ci siamo sempre sforzati per diventare una label popolare e significa molto per noi notare un certo tipo di rispetto da parte dei nostri coetanei e fans. Ci sentiamo un’etichetta underground e non ci interessa la musica commerciale o diventare un fenomeno di massa ma è anche molto piacevole il riconoscimento del duro lavoro per far funzionare il tutto. Il premio di Miglior Etichetta è stato molto gradito ma ci ha dato ancora maggiore orgoglio essere nella Top20 delle etichette di tutti i tempi su Resident Advisor e questo dimostra che le nostre uscite sono effettivamente suonate ed inserite nelle classifiche dei migliori dj appartenenti alla nostra scena.
Ad oggi FreeRange offre un parco produzioni notevolissimo, non ultimo il tuo EP in collaborazione col cantante inglese Simon Jinadu. Il suono dell’etichetta si è sempre mantenuto su sonorità deep o avete cercato di aprirvi a sperimentazioni particolari nel corso degli anni?
Si, direi che il nostro è un suono tipicamente deep house e ci piace cercare di attenerci a quello. La mia filosofia come A&R (tramite fra gli artisti e l’etichetta, ndr) è che se ciò che sento potrei suonarlo in una serata allora quel qualcosa è adatto per uscire su Freerange. I miei set possono spesso essere un po’ più ruvidi ed includere suoni un pò più grezzi derivanti da Chicago e Detroit oppure più influenzati dalla disco o anche molto lenti e rilassati come nella ChillOut quindi direi che noi incorporiamo questo miscuglio nelle nostre uscite. Proviamo molto spesso ad offrire una selezione di suoni all’interno dello stesso EP così se abbiamo 2 tracce troppo deep scegliamo dei remixer che siano uptempo o con uno stile differente. Nei suoi primi anni di vita l’etichetta era molto più eclettica, erano i tempi del TripHop, della Drum ‘n’ Bass e delle tracce downtempo con influenze Jazz. A suo tempo facemmo uscire anche di West London Broken Beat nei primi anni 2000 quando questi erano particolarmente popolari ma il comune denominatore è sempre stato Deep House e di sicuro negli ultimi 10 anni ciò è stato l’epicentro del nostro lavoro per Freerange.
Per celebrare i 15 anni dell’etichetta avete proposto diversi showcase in giro per il mondo, quali sono stati i palcoscenici in cui ti sei trovato più a tuo agio?
Abbiamo organizzato alcune piacevoli “feste di compleanno” tra cui quelle al Warehouse702 di Tokyo, allo Zoo Project di Ibiza e la più grande ai Corsica Studios di Londra. Tutte sono state molto divertenti e ovviamente fa sempre piacere suonare insieme ad altri artisti di Freerange visto che di solito suono sempre da solo.
Nel 2007 (se non ricordo male) avete iniziato a pubblicare in rete il FreeRange podcast, un mixato inizialmente mensile e dal 2009 quindicinale che utilizzate per promuovere gli artisti e le produzioni legate all’etichetta. Siete soddisfatti del seguito che questi podcast hanno avuto?
Già, il podcast è nato nel 2007 e si è man mano rafforzato fino a raggiungere il 13esimo posto nella classifica dei più ascoltati su Podomatic ed è stato trasmesso da oltre 30 stazioni radiofoniche in tutto il mondo. E’ inoltre un ottimo modo per presentare i nuovi artisti grazie al guest mix di 30 minuti che spesso viene incluso da Matt (Masters, ndr) nel podcast. Mi piace utilizzarlo anche per suonare quelle tracce che mi piacciono ma che difficilmente riuscire a proporre nel club.
Quali sono i progetti che hai in serbo per il 2013 sia per te stesso che per FreeRange? Qualche succosa novità da rivelarci?
Bè per quanto mi riguarda ho passato l’ultimo anno a lavorare sul mio quinto album che spero sia concluso per la fine dell’anno. Ottimisticamente dovrebbe uscire per Maggio 2013 e sono molto eccitato per questo. Inoltre ho appena ricevuto i remix di Dixon e Manuel Tur del mio signolo These Times che dovrebbe uscire a Gennaio ed entrambi hanno fatto davvero un ottimo lavoro. Ci sono poi un sacco di altri progetti in cantiere per l’etichetta come i nuovi singoli di Nils Penner e Kyodai e la decimo ed ultima Colour Compilation che sto componendo al momento. Infine siamo fiduciosi di poter organizzare uno speciale showcase al Sònar di Barcellona l’anno prossimo quindi restate incollati al monitor per ulteriori informazioni!
English Version:
Son of Roger Odell, drummer of the historic jazz-funk group Shakatak, and a semi-professional jazz musician, Jamie aka Jimpster has always been in touch with music from its earliest years and among recording studios and tours around the country has had the opportunity to get acquainted with the various “tools of the trade” which led him immediately to get passionate to the idea of being able to produce something of his own, the flamboyant years between ’80 and ’90 of the British dance scene did the rest. 20 years later can claim 4 albums (with the fifth coming in a few months) and a host of productions that brought him together with childhood friend Tom Roberts to start Freerange Records, created initially to host the production of Jamie and has become year after year, a factor in the deep world scene. Initially focused on production only, Jimpster has been able to evolve over the years beginning to perceive the importance of the club in the appreciation of a dj and began to promote his figure through the dj set that have become gradually more and more important being up today its highest source of inspiration for the studio production.
How important was growing up in a family of musicians in the way you make music? Were there any particular influences that contaminated you to create a certain type of sound?
It was really important for my upbringing and development as a producer and dj to have come from a musical family. There was always good music being played around the house when i was a kid and also being exposed to professional studios, live gigs and most importantly musical equipment such as synths and drum machines at a young age definitely shaped my taste and helped to develop my production knowledge. Just having access to early machines such as the TR808, TR909 and SH101 was probably the single most important thing to influence me and inspire me to want to make music because i quickly realised I too could make the music I was hearing on the radio and buying on the Streetsounds Compilations. I was really into the whole breakdance scene around ’84 so that was also a big factor in my musical development.
Was there a precise moment when you felt that djing was what I really wanted to do in life?
No, not a precise moment at all. DJing was very much something that I just enjoyed and grew out of always being the one at school most interested in discovering new music and always making ‘pause button’ mixtapes for my friends. Then around 1988 I got two very basic record decks with pitch control and started mixing vinyl and our group of friends put on a few parties. But to be honest my focus was always on production and making tracks so I guess it wasn’t until 2000 or something when I started touring properly as a dj and this became as important to me as production. Now I don’t think I could choose one over the other as they both inspire the other. If I spend too much time touring I really miss the studio and if I have a quiet time without many gigs I sometimes lack inspiration in the studio so you can see I try and get a really nice balance between the two things.
How was to make music in the UK in the 90s? How was the music culture at the time?
It was a really vibrant time with the explosion of dance music and rave culture in the late 80’s and early 90‘s and a kind of DIY ethic which made anything seem possible. I guess you could say that the scene in general felt a little more diverse musically than it is now, or at least, it seemed like people were very open minded to a cross section of styles. For me, I was listening to a lot of industrial electronic stuff like Nitzer Ebb, Tackhead and Meat Beat Manifesto so when the first wave of heavier house tracks started coming through I was instantly drawn to those. Renegade Soundwave’s Space Gladiator was probably the most important track which influenced me at this time and really paved the way for the whole rave scene which I immersed myself in. I started making some rave tracks in 1990 had released these on UK label Jumpin’ & Pumpin’ in 1991 and soon started performing them live at raves around London. It was an exciting time!
How has the situation evolved over the past 15 years? Is it still alive?
Well the whole thing became more commercialised of course, which took a big part of the underground feeling out of it but still in 1996 we were inspired so much by labels like Ninjatune, MoWax and Compost that we set up Freerange as an outlet for my very first Jimpster productions. I guess things have eveolved and the music industry is completely different now but the passion and enthusiasm and demand for new music still seems to be there amongst dj’s, clubbers and regular music fans alike so it’s still possible for new producers to establish themselves in the same way as long as they create good quality music.
How different is your way to produce music over time? Switching from analog to digital was a hard step?
No, it was a very smooth and easy step to go from producing music on hardware to more software and computer based setup. My very first Jimpster tracks were all done using an Atari ST running Cubase, an Akai S3000XL, Juno 106, Yamaha DX7 and Korg DW8000 recording straight onto DAT. As soon as I bought my first Mac i switched to Logic and it was just a gradual process to become more and more dependant on the computer and plugins. I worked only in the box for the last 7 or 8 years but just in the last year I’ve bought out some older analogue gear and made a couple of new purchases of hardware so I’m trying to bring that hardware feel back into my work again.
How important is it for you as a producer the response of to the club crowd hearing your tracks?
It’s very important for me to check how a crowd might respond to one of my tracks in a club. Quite often I try out rough mixes of something and then go back into the studio and tweak the arrangement or mix after I’ve tried it in the club. Quite often tracks don’t make a good impact when you first play them but after they’re released and people get to know them they take on a new life and become more popular ‘hits’.
Considering the lot of gigs that you have in your personal calendar, how do you find time to work so much in the studio?
I mostly keep my gigs to the weekends and I don’t often go away for longer than a few days. Even if I play in Japan or the USA I go for the shortest possible time then I can be at home for both my family and also the studio. My working day in the studio is short but I can get in there 3 or 4 days per week so once I’ve finished my label work I can focus on the music. I also make as much use of my traveling time as possible and often get basic loops, samples and sometimes even whole tracks while I’m on flights or in the hotel.
Let’s talk about FreeRange Records, your label launched in 1996 along with Tom Roberts. How did your collaboration start and how did you come to the idea of founding a record label together?
Tom and I are old school friends since the age of 10 and we always shared the same musical taste even though Tom isn’t a producer or dj, just a dance music collector and fan. He was always interested in the business side of running a label so when we got given £2000 from my mother-in-law to start a label in 1996 we knew we would make a good partnership with his managing skills and my musical knowledge. I was at college studying a music degree at the time and I was making a lot of tracks as part of my college course so we decided to release these on the label which made up the first three releases. I was up in Manchester for college so was surrounded by great musicians, producers and a very healthy music scene so I was meeting lots of like-minded people whose music we also started to release on Freerange.
The label has grown exponentially to reach the milestone of “best label” of the United Kingdom in 2007. Did you expect all this when you inaugurated this project?
I guess we always strived to become a popular label and it means a lot to us to have a level of respect from our peers and fans. We feel like an underground label and aren’t interested in commercial music or becoming mainstream but it’s still very nice for us to get recognition for the hardwork we put into the label. That award is very nice but also, we take a lot of pride in being in the top 20 most charted labels of all time on Resident Advisor as this shows our releases are actually being played and charted by the best dj’s from our scene.
Today FreeRange offers a large range of notable productions not least your EP in collaboration with British singer Simon Jinadu. The sound of the label has always remained on deep sounds or you have tried to open yourselves to experimentation over the years?
Yeah, I would say we do have a kind of ‘deep house sound’ which we like to try and stick to with Freerange. My philosophy for A&R is if it’s something that I would play out in a dj set then it would be something that I’d like to release on Freerange. My sets can sometimes be a little tougher to include more rough and raw Chicago or Detroit sounds or sometimes much more disco influenced or slower, deeper and more chilled out house so I guess we incorporate this mixture into our releases. We quite often try to offer a selection of sounds within each EP so if we have two original tracks which are deeper then we might go for a more uptempo remixer or someone with a different style. For the first few years the label was much more eclectic as this was around the time of trip hop, drum and bass and jazzy influenced downtempo stuff all being much more popular. We also released a lot of the ‘West London broken beat’ sounds in the early 2000’s when this was popular but the common thread has always been deep house and certainly for the last 10 years this has been our only focus for Freerange.
To celebrate 15 years of the label you have proposed several showcases around the world, what were the places where you had the best feelings?
We had some lovely ‘birthday’ parties last year including stuff in Tokyo @ Warehouse702, Zoo Project, Ibiza and a big one off London event at Corsica Studios. All were great fun of course and it’s always nice to play with some of the other Freerange guys as normally it’s just me playing.
In 2007 (if I remember correctly) you started to publish on the web the FreeRange podcast, a mixtape originally monthly and then biweekly that used to promote the artists and productions related to the label. Are you satisfied with the result that these podcasts have had?
Yeah, the podcast was something we started in 2007 and has gone from strength to strength and now sits at number 13 in the Podomatic most listened to chart and it’s being syndicated to over 30 different radio stations worldwide. We enjoy putting the shows together and it’s also a nice way to introduce new artists with the 30 minute guestmixes which Matt often includes in his show. It’s also nice to be able to play some of the tracks which I love but that I might not get a chance to play in the clubs.
What are your plannings for 2013 either for yourself and for FreeRange? Any juicy news to reveal?
Well from my own perspective I’ve spent the last year working on my 5th Jimpster LP which I hope to have finished by the end of the year. Hopefully the LP will be out in May 2013 so I’m excited about that. I just had Dixon and Manuel Tur remixes back of my single These Times which should be out in early January. They both totally nailed it!! Lots of other great projects in the pipeline with new singles coming from Nils Penner and Kyodai as well as the 10th and final Colour Compilation which I’m just compiling at the moment. We’re hopefully going to be doing a special Freerange Showcase at Sonar next year so watch this space for more info!