Giuseppe “Agan” Carlini e Gianclaudio Hashem “Kaeba” Moniri sono il volto nuovo della musica elettronica, l’altra faccia della medaglia che possono capire solo in pochi. Non c’è modo per spiegare a voce cosa loro creino o chi loro siano, basta solo chiudere gli occhi, mettere un loro disco e viaggiare. Se ancora non l’avete capito non ascolterete la “solita solfa”, ma finalmente potrete capire che ci sono ancora artisti che ricercano nuovi sound e che hanno le ‘palle quadrate’, permettetemi! Non conosco ancora nessuno che sia andato al Berghain Kantine, proponendo un disco e ottenere immediatamente una serata: ci sarà un motivo. E’ ora di farla finita con i soliti suoni o i soliti nomi, la scena musicale mondiale ha bisogno di volti freschi e sonorità innovative!
Qual è stato l’incipit che ha fatto scattare in voi la passione per la musica? Come vi siete conosciuti e come vi siete fusi nel progetto Plaster?
Giuseppe: Penso che il fattore principale sia stato “il sognare” e di conseguenza tutte le emozioni che un sogno può scatenarti dentro. E’ una sensazione che ho sempre ricercato fin da bambino e che ricerco tutt’ora, non solo tramite la musica ma anche attraverso qualsiasi altra cosa presente nella mia vita.
Gianclaudio: Fortunatamente fin da bambino ho avuto una famiglia molto stimolante dal punto di vista artistico, mia madre è pittrice, scultrice e appassionata di musica progressive rock. Mi ricordo che per il mio compleanno di 7 anni mi regalò The Dark Side Of The Moon in cassetta, ovviamente da bambino non lo capivo ma mi divertiva molto per tutti i vari suoni che componevano il disco. Da li iniziai a suonare la chitarra, prima classica poi elettrica, e nel crescere come ogni adolescente a cui piace il rock, ho avuto varie band con cui passavamo le ore in saletta a suon….ehm, cazzeggiare! Sempre durante il periodo adolescenziale mi trasferii da Roma a Capranica (Vt), dove tra le varie scorribande di paese conobbi Giuseppe con cui nacque subito una fortissima amicizia.
Plaster: Essendo amici da molti anni e coltivando entrambe la passione per la musica elettronica è stato naturale fonderci insieme per dar vita ad un progetto comune. L’occasione vera e propria nacque da un concerto nel 2008 al Rialto Santambrogio di Roma, dove per la prima volta decidemmo di condividere insieme un’esperienza live. Il risultato ci piacque molto e da lì in poi proseguimmo come Plaster.
Quali sono stati i primi parties, rave in cui siete capitati e in quali avete suonato?
Giuseppe: Ricordo all’età di 14 anni ero molto influenzato dalla scena progressive che in quel periodo era nel pieno del suo ciclo, e con altri due amici (in seguito si aggiunse anche Gianclaudio) decidemmo di iniziare a fare i djs (si fa per dire) e così iniziammo ad organizzare feste nei garage e nelle campagne insieme ai nostri amici. La strumentazione che avevamo a disposizione era veramente scandalosa, ma non ce ne importava nulla, l’importante era stare insieme e divertirsi. Il primo rave a cui partecipai, fu organizzato vicino al mio paesino all’interno di una ex fabbrica abbandonata. Ricordo l’arrivo, fu veramente emozionante. Il parcheggio era pieno di roulotte provenienti dall’Olanda e dalla Germania, e dentro una folla scatenata che ballava a ritmo di techno, tutto molto bello. Siamo rimasti fino a tarda mattinata.
Gianclaudio: Sinceramente non sono un grande amante della scena rave, forse perché negli anni ’90 ero troppo piccolo per averne fatto parte. Quelli a cui ho partecipato in seguito mi hanno sempre lasciato con l’amaro in bocca, partendo dalla musica e finendo con un senso di inadeguatezza mia personale. Preferisco situazioni più piccole e raccolte per la musica elettronica insieme ai clubs e concerti rock.
L’aria che si respira nei locali di oggi e le vibrazioni che udiamo oggi non sono le stesse che si potevano carpire dai djs di una volta, loro sì che emanavano pure onde sonore ai clubbers. Cercate di farci capire com’è cambiata secondo voi la scena musicale: dall’underground ad oggi.
Quello che crediamo è che la musica andando di pari passo con il progresso (o regresso) quotidiano non è altro che uno specchio sociologico di quello che siamo e di ciò che ci circonda. Stiamo attraversando un momento di totale confusione e cambiamento in cui tutto è diventato più veloce e standardizzato. Crediamo che questo si rifletta anche su musicisti, produttori e djs che il più delle volte non si soffermano sulla cura dei dettagli e sulla profondità del messaggio. La conseguenza più palese è che il livello della proposta è diventato più basso rispetto al passato e il risultato è che il pubblico non viene invogliato musicalmente a scoprire cose nuove.
Cyborg, 06, Imperiale, Palladium, Abacab, Arabesk, Hollywood, Red Zone, Number One, Ultimo Impero, Duplè, Matrix… Tutti questi locali hanno formato in Italia la cultura musicale della maggior parte dei raver tra gli anni ’80-’90-’00. Ogni serata era una storia a sé e ognuno voleva tenersi il suo piccolo ricordo, magari in cassetta! Che ricordi vi tenete stretti?
Giuseppe: Ricordo l’atmosfera che si respirava nel paese era bellissima, tutti i bar e le pizzerie erano piene di flyer colorati e i ragazzi e le ragazze più grandi di me parlavano spesso delle loro serate, era impossibile non sapere nulla di quello che stava accadendo musicalmente. A proposito di cassette…. ricordo il giro pazzesco dei nastri delle serate tra i ragazzi! Era bellissimo vedere anche un po’ di gelosia da parte di alcuni, che non volevano copiare agli amici alcuni nastri delle serate, perché come hai detto tu “ogni serata aveva una storia a sé” e volevano avere l’esclusiva del momento. Magari te la facevano ascoltare ma dovevi aspettare mesi prima di averla. Ricordo anche quando un mio amico riuscì ad averne una! Fu bellissimo andare a casa, accendere il mangia-nastri e ascoltare tutta la serata senza fare nessun’altra cosa. Un rito che continuò per tanto tempo. Alcuni di questi nastri li conservo ancora gelosamente.
Gianclaudio: I locali che hai citato erano molto in voga per la scena techno progressive anni ’90 e gli amici più grandi erano spesso fruitori di cassette delle serate a cui partecipavano. Io personalmente ho partecipato a serate del Cyborg, Palladium, Hollywood e Imperiale, però la scena progressive stava già sparendo per dare spazio alla musica house. Ad ogni modo conservo ancora gelosamente una cassetta del Duplè (paura) con Roland Brant e Mad Bob del 1997.
Tornando a voi, esprimete un suono veramente ben definito e ricercato, più unico che raro! Lavorare in due è sempre bello, ma anche complicato: è vero che due cervelli funzionano meglio di uno, ma è difficile metterli d’accordo. Raccontateci della vostra collaborazione, pro e contro, problemi e soluzioni, missaggio e mastering e tutto ciò che concerne la vostra unione.
Ti ringraziamo per il “più unico che raro”, da parte nostra c’è la consapevolezza che la strada da fare è ancora lunga e tortuosa, pertanto siamo felici di questo. Non nascondiamo che all’inizio trovare il modo di lavorare insieme non è stato facile, anche perché siamo due persone fondamentalmente diverse, ma con il tempo abbiamo imparato a conoscerci meglio sotto il punto di vista musicale (e non), quindi a far fluire in maniera più naturale le nostre idee ed emozioni. Tecnicamente parlando abbiamo seguito le nostre attitudini dividendo le varie fasi di lavorazione secondo quello per cui siamo più portati. I brani vengono sempre sviluppati a due, sia per quanto riguarda la struttura, le parti armoniche/melodiche e il missaggio. Nei dettagli: io (Giuseppe) mi occupo della parte effettistica e ambient con suoni sviluppati maggiormente tramite patches personali create con Reaktor e software affini con cui mi diverto a sperimentare varie catene di processori ed effetti. Io (Gianclaudio) invece curo la parte ritmica, bass synths, campionamenti e la fase di mastering.
Ogni volta che un producer crea un suono, crea vita. Non c’è cosa più gratificante per un produttore che plasmare un sound che sia tutto suo e di nessun altro… Sembra stupido dirlo, può capirlo solo chi fa questo mestiere, ma è quasi come se i suoni avessero una vita tutta loro.
Giuseppe: Hai detto una cosa bellissima che condivido in pieno e penso che non sia neanche facile da applicare, perché oltre al fattore tecnico c’è bisogno soprattutto di avere qualcosa da raccontare, per dare vita ad un suono, altrimenti non avrebbe senso. Ogni volta che ho provato a forzare questo processo, creando senza nulla da dire, il risultato è sempre stato negativo o meglio suoni fini a se stessi.
Gianclaudio: È vero, ci sono dei momenti in cui ti sembra di aver dato vita a qualcosa di magico. Per me è una sensazione che dura pochi secondi nel momento in cui accade dando poi spazio alla parte razionale che la assimila rendendola già consuetudine, ma non bisogna essere per forza producer per provare questa sensazione, accade in ogni forma artistica. In ogni caso, non sono sicuro che per molti sia necessario plasmare un sound proprio. Se fosse il contrario non avremmo milioni di case produttrici di librerie di samples pre-confezionati e di charts su Beatport e affini con i brani in classifica uno uguale all’altro.
Un vostro grande successo è stato Stellate 2 sulla Stroboscopic Artefacts di Lucy, uscito in doppio vinile. Com’è stato concepito?
Dopo il primo importante step per la nostra discografia che è stato l’uscita di Platforms per l’etichetta Ucraina Kvitnu, Stellate 2 ne è stato sicuramente il secondo. Per noi entrare a far parte di questa bellissima serie è stata oltre che una grande emozione, anche un’ottima occasione per confrontarci con musicisti di grande spessore come Dadub, Silent Servant /Luis Farfan e Roll The Dice. Riguardo lo sviluppo dei brani abbiamo cercato di immergerci nel concept di Stellate provando varie soluzioni sonore e siamo arrivati ai brani Udis e Seber inserendo dei strumenti acustici definiti su tappeti elettronici non regolari.
Chi sono Agan e Kaeba? So anche che in un futuro molto vicino vi esibirete con i vostri 3 alter ego a Friburgo!
Giuseppe: Agan è il nome dell’altro progetto di musica ambient/sperimentale che porto avanti parallelamente a Plaster. In verità sotto questo nome ancora non ho rilasciato nessun brano perché era partito più come un esperimento che come progetto vero e proprio, ma da gennaio di quest’anno, dopo essermi dedicato totalmente al progetto Plaster, ho iniziato a lavorare al mio primo disco dedicato alla Riserva Naturale Del Lago di Vico. Lago vulcanico situato nella provincia di Viterbo. L’album è quasi completo e già da qualche mese ho iniziato a sperimentare la performance dal vivo. Questo mese avrò la possibilità di presentarlo sia a Roma che a Friburgo per la prima volta. Non nascondo di essere molto emozionato perché sono stati mesi molto intensi e di ricerca, soprattutto con me stesso, e inoltre perché è il mio primo album solista.
Gianclaudio: Kaeba è il mio pseudonimo personale che sviluppo da circa 9 anni e con cui ho pubblicato 2 lavori ufficiali: Ianurek 5.0 x 100 per Farmacia 901 di natura ambient e sperimentale e recentemente un EP per la Kvitnu intitolato Synthetic Ice Cream [For Droids] leggermente più club friendly. La data Friburgo è imminente e siamo entrambi molto felici di poter proporre sia Plaster che i nostri progetti personali. Inoltre prima della Svizzera faremo un warm up il 27 novembre a Roma per la nuova rassegna di Dromoscope alle Mura, che ci sarà utile per testare le esecuzioni.
Entrare in questo mondo la maggior parte delle volte include dei compromessi. Che comportamento avete adottato nei confronti del crudele mondo della musica?
Ogni settore comprende dei compromessi, poi dipende da noi se si decide di accettarli o meno. Finora quelli a cui siamo andati in contro sono stati di natura ordinaria, quindi non sappiamo dirti se il mondo della musica è così “crudele”. Noi cerchiamo sempre di fare al meglio quello che ci piace senza preoccuparci troppo se sia vendibile o possa/non possa piacere al pubblico, l’importante è che ci rappresenti. Forse l’unico vero compromesso che abbiamo accettato è quello di non suonare gratis, in quanto non crediamo che una gavetta fatta svalutando la propria musica sia producente.