Quando si parla di house music non si può prescindere, a mio modestissimo parere, dalla matrice analogica del suono se si vuole fare un lavoro di indiscussa qualità, specie della ritmica che compone e caratterizza il disco. E’ per questo che preferisco e preferirò sempre un lavoro in cui l’identità old school è assecondata e supportata dai “fatti”, piuttosto che un disco – anche ben fatto – ma che di fondo suona come una scatola di latta a cui si tirano dei colpi a seconda del suono richiesto. No, non temete, non siamo di fronte all’ennesima discussione/diatriba sull’annosa questione se sia meglio il digitale o l’analogico – immaginate, in via puramente ipotetica, di avere le risorse per procurarvi qualsiasi (qualsiasi!) strumento vogliate e poi datemi la vostra risposta – oggi voglio parlare delle eccezioni e John Dimas è una di queste. Sì, perché se si vuole fare un bel lavoro non basta avere a disposizione la migliore strumentazione possibile – non sono mai stato in studio da John Dimas, ma a giudicare da come suonano i suoi dischi sono quasi certo che delle “integrazioni” non farebbero male. Certamente uno studio ben fornito aiuterebbe chiunque, ma prima di tutto, soprattutto, ci vogliono le idee e il buon John ne ha da vendere e questo fa sì che la sua musica riesca ad agirare anche un suono che può (e deve) certamente migliorare.
Il giovanotto greco, ormai da tempo residente a Berlino, è un artista estremamente interessante e i suoi lavori, sia che si tratti di tracce in veste originale che di remix, hanno esattamente “quell’intensità lì”, quell’intensità che fa dell’house music certamente il genere più sensuale. Non il più visionario ed astratto, ma il più sensuale certamente. In un momento storico in cui tutti hanno un pò le scatole piene di questa deep/disco tanto piatta quanto loffia (badate bene sono due cose ben diverse), tanto da riportare in vita anche quel filone minimal a cui avevamo dato l’estrema unzione qualche anno fa con somma gioia, è importante come non mai che i negozi di dischi tornino ad essere popolati di buona e sana musica house. Roba da club buio, sigarette accese, fronte sudata e scarpe ridotte ai minimi termini dopo ore e ore di danza. Roba come “Living Lies”, ultima fatica (su La Vie En Rose) di John Dimas appunto, perché non importa quanto in alto il disco più cervellotico della serata vi abbia portato, prima o poi anche voi dovrete fare i conti con la vostra voglia di sculettare.
Scegliete voi una traccia a caso dell’EP – “Smoking Drums”, “Hide And Seek” o “Mind Games”, fa lo stesso – e divertitevi. Purista forse sì, ma fondamentalista mai. Per questo ascolto John Dimas.