Questo full lenght – nel vero senso della parola date le due ore totali di musica dell’LP – è, per Alixander III, o se preferite Alphonse Alixander Lanza III, come una bandierina su un territorio ancora da scoprire, e segna, senz’ombra di dubbio, il cammino del producer – membro della ormai nota formazione Azari & III.
Finora Alixander ha prodotto un ridotto numero di uscite a suo nome (solo due) a causa degli innumerevoli impegni con la band, tra cui un tour conclusosi da poco, le serate e gli spostamenti che esse comportano, ma con questo corposo album ha cercato di stravolgere le carte in tavola mostrando una maturità artistica non di poco valore. E alcune scelte nell’album non fanno che metterla in risalto. È difficile per me, come credo per chiunque altro, descrivere e dare un parere su questo lavoro, uscito sulla canadese Idol Hanse, senza tener conto del background musicale che caratterizza le sonorità degli Azari & III; rispetto al sound house e di tendenza della formazione canadese, una delle cose che ho notato con maggior forza – e che mi è piaciuta moltissimo – è la perenne ricerca di un sound scuro e ipnotico: freddi crepitii cibernetici si fanno largo tra le claustrofobiche atmosfere, costante nel disco.
Alixander ci fa sentire intrappolati nel vortice tenebroso dei suoi groove incantatori. E’ l’aura nera del disco che incalza pian piano, aggrappandosi attraverso l’udito e, percorrendo con mille ramificazioni il labirinto cerebrale.
Sottolineo la scelta di chiudere l’LP con una traccia, “The Jugular”, della durata di ben ventidue minuti, cosa non del tutto usuale, che divide il mio pensiero in due correnti: trattasi dell’ennesima trovata balorda ad effetto che vuole stupire chi compra il disco, e che poi finisce per rivelarsi una pecca, o di un’arrischiata scelta dettata dalla presunta validità attribuita alla traccia? Sinceramente, non ho una risposta. La traccia non è niente male, ma finora, se c’è qualcuno che mi ha impressionato con tracce dalla lunghezza spropositata, quello, è solo Villalobos. E “The Jugular” non è, per struttura, stesura e concezione, all’altezza dei lavori del cileno.
Chi avesse la pazienza di ascoltare tanto ben di Dio può farci sapere la sua!