Vinile a quattro tracce, l’ultimo Hyperdub a firma DVA, dispone anche di altrettante versioni nell’out digitale. Inizio disco alquanto spezzettato con l’ottima “Fly Juice” che, personalmente, mi riporta a pezzi come “Love Cry” di Four Tet o ai primi Postal Service. Con una differenza importante, però: meno linee armoniche e più attenzione ai frammenti di ritmica, intervalli pseudoirregolari e ripartenze fuori sincro eppure azzecatissime. Un bel dieci alle voci, sempre sulle note giuste e coinvolgenti.
“Do It” dovrebbe essere il pezzo trattore del disco ma, a mio parere, non decolla. E’ tendenzialmente piatto e quando riparte lo fa senza troppa incisività. Senza sangue. Ci sono tanti pezzi ultra/ripetitivi che hanno fatto la storia della musica, specialmente di quella techno o techouse ma… direi che non è questo il caso. Marciante e rimbalzante – come una palla di musica pelosa e rosa shoking – “Walk It Out” attraversa ogni sorta di trip mentale con parvenza umana. La ascolti, e in un attimo sei in un vecchio luna park abbandonato, in sella a una moto senza ruote o sotto la panca di una capra stanca e senza denti. O tutt’e tre! E’ una traccia folle ma comunque interessante, totalmente fuori dal tempo. Poi c’è “Long Street”, interssantissimo squarcio di techno all’interno di questa pièce musicale dai connotati imprevedibili. Strada che da scura e nera diventa sempre più freaky e sgasata, quasi una scia di lumache fosforescienti su una pista da ballo semivuota. Che dire, mi piace. E’ anche questo un pezzo vagamente assurdo, ma se c’è una cosa che DVA sa fare è rendere possibile l’impossibile. Che piaccia o no. Perché, diciamolo, tutto questo può anche non piacere.
Questo per quanto riguarda il vinile. Veniamo adesso alle quattro tracce digitali. La prima la versione dub di “Fly Juice” che, francamente, non mi ha smosso niente nella pancia, è quasi uguale all’original. Si può mettere la faccina triste? Discorso simile per la pessima “Rumors”. Il titolo a mio parere dice tutto. Un casino ragazzi, un orgia di suoni fastidiosi accavallati uno sulla schiena dell’altro. In una parola: no. Ottima invece “Ganja” (nella veste disegnata dal remix a firma French Fires), un traccia più reggae che elettronica da godersi in santa pace sul divano, con il sorriso incollato sulla bocca. Oppure no, traccia da godersi in mezzo a un bel set del vecchio Sven. Qualcosa di folle e divertente, universalmente diverso. A chiudere tutto, ma proprio tutto, c’è “Shook”, elettronica pulita quasi alla Cobblestone Jazz (ho detto quasi!), assemblata con cura e sapienza, fatta appositamente a per aprire una serata di quelle memorabili. Pungente e senza fronzoli “Shook”, pur non essendo un capolavoro, è capace di trasmettere alla perfezione il sentimento alternativo dell’inimitabile DVA.