Immaginatevi un ragazzo universitario inglese, di quelli poco dediti allo studio e fossilizzati principalmente sulla musica. Mettetegli accanto uno-due amici e due piatti, niente di più. E’ la storia, ormai non più segreta, di Ben UFO e della sua banda Hessle Audio. Un’ondata di musica sofisticata, portata avanti con audacia e coerenza per consolidare composizioni e ritmiche che molti fino ad allora avevano superficialmente ignorato. Introdurre tali novità nella clubbing scene è stato rischioso, specie nella realtà inglese, da sempre molto rigida a riguardo. Ci è voluta un pò di pazienza, ma alla lunga si sono raccolti i frutti di tale scommessa. Gran parte del successo è legato agli show settimanali in radio nei quali Ben ha saputo ottenere le attenzioni di migliaia di rispettabilissimi produttori d’oltremanica e non solo e arrivare qui a farci parlare di lui, ancora una volta. Ma per un londinese doc quale potrebbe essere il regalo più gradito se non affidargli la compilation del Fabric Live? Conoscendo le manie di perfezionismo del ragazzo (ascoltare la compilation di RinseFM per credere), c’era già da immaginarsi uno scenario davvero invitante ed infatti le conferme arrivano dopo appena qualche secondo di ascolto.
Prologo rigidamente schematizzato da inflessioni acid techno (“Feelings”) e dubstep (“Raw Code”) riportano alla mente tutta la sua poliedricità, accentuata dal subbass imponente e una giusta dose di percussioni tribali (“The Tortoise”). Un link diretto che porta poi anche al tratto più minimalista di “Zone” e all’illogicità di “Twisted Balloon”. Ancor più disarmante la scioltezza con cui si passa dal tocco old skool di “It’s OK” alla pure house di “Project 5”, scivolando tra un contesto deep prima moderato (“Pendoulous”) e poi più irruento (“Consexual”). Sviluppo composito, lungo il quale si alternano in successione tratti melodici distesi, partendo da “Club Thanz” e terminando con le sonorità psichedeliche di “I’m Strong”. Percussioni e armonia ritornano nuovamente protagonisti (“Mukuba Special”) fino a i breaks decisivi (“Ping” e “Zug Island”), tra celeberrima potenza dei lavori su Plus8 e la freschezza di Kyle Hall sulla sua Wild Oats. Il ritmo cala prevedibilmente nelle tracce successive tra loop magnetico di “Jovaniet Planet” e l’irregolarità di “Malfunction” ma subisce poi le spinte di Grain (“Untitled”), Blawan (And Both His Sons”) e Pangaea (“Release”) che rivendicano le loro radici “grime”. Il timbro di Floating Points (“Danger”) apre le porte all’ultima perfetta sinfonia di “I.C.E.” che ci accompagna in completo silenzio e ammirazione al termine.
Ed è una fine alla quale non avremmo mai voluto arrivare, ma fortunatamente esiste il tasto “repeat”, scontatissimo ma mai come in questa occasione così tanto amico.