Molto probabilmente la notizia l’avete già letta in giro per la rete: finalmente Spotify è disponibile anche per il pubblico italiano, o forse dovremmo specificare “disponibile ufficialmente”, dato che il servizio era già ampiamente accessibile a chiunque fosse in grado di ricercare su Google una delle tante guide passo-passo che spiegavano come utilizzarlo.
Per quei pochi che non lo conoscessero, spieghiamo brevemente in cosa consiste Spotify: è un’applicazione, disponibile per Pc, Mac e per i più comuni dispositivi mobili, che consente di ascoltare musica in streaming; è possibile utilizzarlo in modalità “free”, con della pubblicità non skippabile che si intervalla alle canzoni ascoltate, oppure pagare una cifra tutto sommato contenuta (si parte da 4.99€ al mese) per ascoltare tutta la musica che si vuole senza pubblicità.
La prima domanda che viene in mente è “ma con tutti i servizi che già ci sono, c’era bisogno anche di Spotify?”
A prima vista sembrerebbe di sì, per una serie di motivi.
Il fattore principale che influenza la scelta di un servizio di questo tipo piuttosto che di un altro, soprattutto per noi che ascoltiamo musica un po’ più di nicchia di Vasco e delle compilation di Amici di Maria, è la vastità del catalogo, e su questo Spotify non teme in alcun modo la concorrenza: rispetto ad alternative simili come Deezer o Grooveshark la quantità e la qualità della musica ascoltabile è di diversi ordini di grandezza superiore.
Giusto per fare un esempio: di Happa, di cui si è parlato recentemente, Spotify ha praticamente tutto quel poco che è uscito, mentre Deezer e Grooveshark non sanno nemmeno chi sia: anche ammesso che si tratti di un caso e che invece esistano altri artisti su cui le alternative sono più “forti” di Spotify, un player in più nel mercato dei servizi musicali non può che fare bene alla concorrenza e quindi all’innalzamento del livello medio.
Il catalogo molto vasto però non è l’unica feature che rende Spotify un “sì”: anche l’aspetto social è molto ben gestito, con un riquadro sulla destra che mostra lo stream degli ascolti effettuati dai propri amici di Facebook, e il fatto che lo usino già in tanti è un plus non indifferente, dato che anche Deezer ha un aspetto social molto ben gestito ma il riquadro con le attività dei miei amici è praticamente deserto.
Anche sotto l’aspetto “music discovery”, aspetto principale di altri concorrenti come Last.fm, Spotify si difende piuttosto bene: in questo istante sto ascoltando la radio creata per similarità da una traccia di Totally Enormous Extinct Dinosaurs e finora mi sono stati proposti Disclosure, Flight Facilities, Eats Everything e Julio Bashmore, niente male vista la spiccata tendenza dei servizi di questo tipo (come il già citato Last.fm) a mischiare le mele con le pere e proporre il Villalobos di Alcachofa quando chiedi qualcosa di simile a Surgeon (true story, mi è successo davvero).
Infine, tra gli altri aspetti meno importanti ma che contribuiscono ulteriormente a rendere Spotify, almeno per ora, una spanna sopra ai concorrenti c’è l’utilizzo mobile, disponibile solo per gli abbonamenti premium da 9.99€ al mese ma possibile killer application, ma anche la possibilità di scaricarsi in locale un numero limitato ed estendibile a pagamento di tracce per ascoltarle offline e, last but not least, la facilità di sviluppare piccole applicazioni all’interno dell’app di Spotify: anche Deezer lo consente, è vero, ma ho avuto modo di avere a che fare con Spotify anche in qualità di sviluppatore software anzichè solo da utente e devo dire che creare qualcosa dentro Spotify è estremamente semplice e il supporto offerto agli sviluppatori è eccellente.
In particolare, quest’ultima caratteristica potrebbe essere il vero ago della bilancia, com’è stato a suo tempo per Facebook rispetto ad altri social network come il defunto MySpace: costruire una piattaforma aperta e permettere agli sviluppatori di costruirci sopra un ecosistema di applicazioni che ne estendano le funzionalità in maniera potenzialmente infinita è non solo una mossa vincente, ma a ora anche una delle più importanti caratteristiche uniche di Spotify.
In tutto ciò, però, la sensazione di non aver ancora trovato la soluzione definitiva rimane: io so di essere un utente estremamente atipico e che per la maggior parte degli ascoltatori abituali, e non, di musica una soluzione come Spotify è perfetto, per cui potremmo anche chiudere qui il discorso, ma giusto per fare un esempio: ogni giorno entro in possesso, tra promo, nuove uscite su Beatport, release di amici, free download e simili di circa 1 GB di musica nuova, scaricata sul mio hd.
Posso sentire questa musica su Spotify? Nel 99% dei casi no, dato che si tratta di musica appena uscita o addirittura non ancora uscita ufficialmente, per cui Spotify o simili non risolvono il mio problema che, probabilmente, è un problema comune a tutti quelli che comprano e scaricano quotidianamente tanta musica (e sì, mi sto riferendo anche a quelli che scaricano musica da fonti non esattamente legali: è inutile negarcelo, sono comunque una gran bella fetta del mercato).
E’ vero, posso usare Google Play Music, che sembra fatto apposta per risolvere il mio problema, dato che consente di caricare fino a ventimila tracce sui propri server per averle poi disponibili all’ascolto da ovunque, dispositivi mobili compresi, ma devo comunque farmi lo sbattimento di caricare le tracce che avevo già scaricato sul mio pc, in un avanti-e-indietro di files di cui farei volentieri a meno.
In sostanza, quindi, Spotify risolve alla perfezione un problema che era già risolto da altri, quello dell’ascolto casuale in streaming di musica non nuovissima, ma ne trascura completamente tanti altri, su tutti quello del recupero degli utenti sottratti all’industria musicale dalla pirateria, che si trovano ancora nella situazione di avere gratis musica più nuova (e più fruibile, perchè priva dei DRM folli di tanti store tipo quello di iTunes) di quella che possono avere pagando.
Forse la possibilità di avere la musica su tutti i propri dispositivi renderà Spotify la soluzione a questo problema, che è a ben vedere un problema più del music business che degli utenti, o forse sarà un’altra delle sue features, resta il fatto che almeno per ora la risposta alla domanda iniziale è “ne sentivamo il bisogno? Sì, ma solo per creare un po’ di concorrenza tra alternative che comunque non risolvono il problema”.