Se dovessimo vederla dal punto di vista strettamente clubbing, la situazione è questa: house e techno son lì da trent’anni e le loro possibilità le conosciamo bene, non significa che ci siam stancati di seguirle (non se continuano ad assorbire nuovi input, come succede ancora oggi) ma la ricerca di qualcosa di nuovo è un istinto inevitabile dei tempi moderni. Il dubstep? Ha avuto il suo momento di massima dignità e ora ha cambiato volto, target e superficie di base, il che ha reso più larga la fruizione ma più rara (sebbene non introvabile) la qualità. Ora, se escludiamo due ipotesi promettenti ma ancora fermi allo status di nicchia come il footwork e il wonky, e lasciamo l’EDM fuori da certi discorsi edificanti, per la fame di innovazione c’è oggi una sola risposta: la trap music, l’ultimo grido del beatmaking orientato al club, oggetto di grande euforia già da diverso tempo in USA e UK e sul punto di diventare la vera moda virale anche nel resto del mondo.
“Trap” è il termine letteralmente esploso tra gli ambienti elettronici, dance e hip-hop negli ultimi mesi, soggetto di speculazioni e multiple interpretazioni da ogni parte. Un movimento anche piuttosto complesso e ricco di sfumature che merita il dovuto approfondimento, ma prima di tutto una moda che fa molto parlare di sé e che conquista nuovo pubblico a velocità sorprendente. Come al solito il mainstream è quello che non la fa tanto lunga coi discorsi e cavalca subito l’onda con ironia e faccia tosta: qualche tempo fa è stata Lady Gaga a far la furba alimentando il chiacchiericcio intorno alla “Cake Like Lady Gaga” prodotta da Dj White Shadow, quasi fosse un fake rumour, lanciando snippet virali che, complice il push up bene in vista, fanno il giro della rete. Più compìta invece era stata Rihanna, che nell’ultimo Unapologetic fa delle trap-reinterpretazioni “Power It Up” e “Loveeeee Song” i pezzi più robusti del disco, anche se poi rinuncia ad andare a fondo ripiegando sulle più collaudate formule Guetta-oriented.
Nel frattempo, negli ambienti in della critica specializzata stan tutti a dire che “la trap è il nuovo dubstep”, facendo così finta che di footwork non s’è mai parlato e scoprendo ancora una volta l’inadeguatezza di formule come questa. Il paragone non regge perché la trap music non ha un concept estetico di base forte e preciso come il dubstep, ma resta (ancora) più una questione di attitudine, un’ultima, ulteriore sponda della sperimentazione hip-hop che calca la mano sulla sporcizia ghetto e sull’attitudine dance e per la quale sarà difficile definire in maniera univoca un set di tratti stilistici che ne stabilisca l’identità senza equivoci.
Non stiam parlando di una nuova invenzione, sia chiaro. Di trap si discuteva già a metà 2000, quando uscivano gli album “Trap Muzik” di T.I. e “Trap House” di Gucci Mane, a riproporre la formula rap del cattivo ragazzo cresciuto in strada. Parliamo però di un periodo e un carattere diverso, ancora strettamente legato all’hip-hop: quella che invece osserviamo oggi è una fase di rinnovato interesse emersa più o meno dopo l’esordio per Warp dei TNGHT, l’accoppiata transoceanica Hudson Mohawke (Glasgow) + Lunice (Montreal) che l’anno scorso ha rappresentato l’ultimo grido in ambito modern beats, un EP di cinque tracce che ha riassunto due anni di intuizioni ritmiche nella più grassa delle modalità d’impatto per il pubblico. E l’impatto è tale, infatti, che si parla oggi di “seconda ondata trap”, con caratteristiche differenti rispetto al passato: una maggior vicinanza alla mondo gangsta, una più attenuata simpatia verso le ambizioni funk e IDM del wonky, l’avvenuto assorbimento degli stilemi dubstep e footwork e un occhio più attento verso la dimensione ballabile, catalizzata da effetti riconoscibili come le ritmiche diluite e i campioni vocali a frequenza alterata. In teoria basterebbe quel ritmo effetto “ali di mosca” di un pezzo come Scumbag a far primavera trap, ma se la scena include anche scienziati del beat dall’anima più intellettuale significa che le cose sono un pò più complesse.
Come era stato per il footwork, anche in questo caso a togliere il tappo dell’esposizione mediatica è stato Jamie Vex’d, sotto il moniker Kuedo, quando a fine 2011 pubblicò per Planet Mu l’affascinante Severant: un disco spiritualmente legato allo storicismo kosmische nel suo versante più filmico (“Flight Path” è il migliore degli eredi recenti di Blade Runner), apprezzabile ma anche contestabile sotto diversi punti di vista (legati soprattutto alla compatibilità delle soluzioni scelte) eppure dichiaratamente attento ai fermenti underground più avanzati, rappresentati – come raccontato nelle interviste del tempo – non solo dal footwork ma anche dalla scena coke rap di Atlanta e dal suo propulsore nascosto, Lex Luger. È proprio quest’ultimo ad essere riconosciuto padre spirituale dell’onda trap attuale, come produttore dietro le quinte di una miriade di pezzi dal 2010 ad oggi (con tanto di nomi blasonati, vedi “H.A.M.” con Kanye West e Jay-Z o “Platinum” di Snoop Dogg e R.Kelly). E in effetti l’identità ritmica, la colonna vertebrale della trap attuale, la senti tutta in pezzi prodotti da lui in quel periodo, vedi “Lights Out” di Fabolous o “Hustle Hard” di Ace Hood.
Da lì in poi è stato un continuo ritorno sul luogo del delitto, per esplorare le svariate potenzialità dell’idea originaria. L’EP dei TNGHT contiene alcuni dei pezzi più sghembi di cui questo sound è capace (“Bugg’n” o “Easy Easy” sfilettano anche i pochi appoggi solidi esistenti) ma anche una delle hit più abusate l’anno scorso dai dj di un certo livello (“Higher Ground“, pensata apposta per scatenare la pista). Eppure sono solo la punta di un iceberg immerso nel vivacissimo movimento underground, popolato soprattutto da giovani produttori americani che non nascondono il piacere di veder saltare la folla di fronte alla consolle. Due gli esponenti più vicini allo status di vip della scena: uno è il duo di Chicago Flosstradamus, salito alla ribalta soprattutto dopo il remix su “Original Don” dei Major Lazer, capace di bombe da arena EDM come “Underground Anthem” ma anche delle punte melodiche dreamy di “Total Recall”; l’altro è il newyorkese Baauer, l’autore di quella “Harlem Shake” divenuta recentemente il fenomeno virale della rete (su Youtube ormai è un flashmob continuo, anche Azealia Banks ha voluto metterci il suo) e di uno dei pezzi più affascinanti di tutto il filone, il remix di “Rollup” dei Flosstradamus. Poi c’è gente come RL Grime, sfacciato ed eclettico quanto basta per passare da un pezzo giusto come “Flood” alla deriva ‘ardkore di “Trap On Acid” al remix di “Satisfaction” di Benny Benassi, ragazzini divenuti star come Chief Keef (17 anni e oltre 50 milioni di visualizzazioni totali su I Don’t Feel e Love Sosa) e misteriosi individui come ƱZ, con un soundcloud pieno di snippet numerati in una serie denominata semplicemente “Trap Shit”, che può facilmente costituire il perfetto vademecum per l’aspirante trapper.
Due le principali correnti rintracciabili nella nuova onda: la prima più astratta, lontana dallo schema hip-hop e perfetta per gli amanti di certe affinità cerebrali, con tracce ingegnose e rarefatte come la caparbia “City Star” di Rustie (ancora Warp), la bleep-addicted “Flufftrap” dei Trapmasters (nuovi arrivi alla Boys Noize Records) o certi colpacci del giovane Eprom come “Can Control” o “Regis Chillbin“, tratte dall’album Metahuman che l’annata passata ha rappresentato uno dei momenti più coraggiosi del suo ambito; la seconda più fedele alle radici rap e volentieri orientata al gangsta, come per Waka Flocka Flame (autore nel 2010 dell’album rap bisunto Flockaveli e della hit “Hard In Da Paint”) o Rick Ross (sempre del 2010 l’album Teflon Don e brani come “Blowin’ Money Fast” e “MC Hammer”), entrambi prodotti proprio da Lex Luger. Costola separata invece è da considerare la cosiddetta EDM-trap, appunto più felice di sposare i meccanismi di pancia della dance elettronica, dentro la quale si fanno rientrare non solo i vari Diplo, Baauer e Flosstradamus ma anche Dj Muggs dei Cypress Hill: l’album di recente pubblicazione “Bass For Your Face” ha saputo assorbire e rielaborare con stile le mode giovani del momento e la fusione trap+brostep di “Trap Assassin” ne è solo l’esempio più efficace.
E anche questa volta la scena beatmaking italiana s’è mostrata pronta ad accogliere e personalizzare le ultime tendenze: i più attivi sono i lombardi Planet Soap, arrivati di recente al My Homies EP e orgogliosi in “Keep Coming Back” e “My Homies” di sfoggiare la loro immutata passione per le formule a presa immediata, e Aquadrop, ribattezzatosi per un attimo Aquatrap e autore recente di diversi pezzi trap ingegnosi come “Nacho” e “Look (At The Ship)”, mentre all’interno della scena fiorentina i dj-set di Ckrono & Slesh e Digi G’Alessio han già convintamente assorbito lo spirito trap. Una passione dunque che mostra fermenti attivi a tutti i livelli, dai più ricchi circuiti mainstream al più sporco fango underground, per quel che sembra essere l’ipotesi più vivace pronta ad animare gli ambienti beat-dance 2013. E tutto lascia pensare che stavolta non sia una bolla di sapone.