Da quando gli How To Destroy Angels han preso il posto dei Nine Inch Nails tra i canali creativi di Trent Reznor, due sono le sue armi più efficaci: la prima è la presenza femminile della moglie Mariqueen Maandig, che già nel 2010, col controverso singolo di lancio The Space In Between, aveva sfoderato la grande capacità di far virare il sound industrial di casa su un’immagine dark nitida, moderna e di più facile comprensione; l’altra ovviamente è Atticus Ross, l’inventore delle visioni suggestive che son valse l’oscar per la colonna sonora di The Social Network, che da allora non s’è più allontanato dal lavoro di coppia con Reznor. Da un lato le potenzialità perfette per formule semplici ed efficaci capaci anche di tagliare gli schermi televisivi, dall’altro l’attitudine intellettuale ed emozionale ottima per dar spessore, e in mezzo un protagonista da sempre assorbito dalle meccaniche industrial, con l’onere di lasciarsi alle spalle il declino conosciuto nelle ultime prove dei NIN.
Welcome Oblivion è l’album a cui vien chiesto di conciliare tutte queste cose e per farlo sceglie di allargare la tracklist in maniera strategica in modo da lasciar spazio a tutti gli elementi, riprendere alcuni buoni pezzi già editi e rispondere alle difficoltà dando di volta in volta fiducia alle singole componenti. Una sorta di tacito accordo di non-belligeranza che alla fine è proprio quello che genera i pezzi migliori. Quando nella parte centrale vien fuori limpido il carattere della Maandig la cosa si nota, Ice Age ne libera l’anima melodica preservandone la purezza, How Long? le fa conquistare la scena e Too Late, All Gone ne esalta al meglio lo stile con un frammento di gothic electro tetro eppure dannatamente Garbage. E stessa cosa accade tra i pezzi finali, dov’è Ross a riprendere i temi dell’esperienza soundtrack in Hallowed Ground o The Loop Closes.
L’apice ovviamente è quando le forze si integrano tra loro e il fatto che ciò accada solo raramente (in due pezzi perfettamente equilibrati come il singolo Keep It Together o Strings And Attractors) testimonia quanto ardua sia l’impresa. La vena invasiva di quel che i Nine Inch Nails furono è tornata a spingere in certe direzioni, finendo talvolta per diluire le diverse anime degli How To Destroy Angels (nella titletrack sembra quasi avvenire uno scontro tra spazi principali avvenuto in fase di mixing), e a questo punto staremo tutti ad aspettare al varco il comeback dei NIN, già annunciato in pompa magna. Perché Welcome Oblivion è un buon disco, dal polso fermo, e si fa ascoltare con piacere anche più volte, ma non può valere come ultima espressione di un percorso già finito. Troppi sbocchi promettenti ancora da esplorare.