Italiano di nascita, tedesco di adozione. Incipit come questi ne abbiamo visti tanti negli ultimi anni a questa parte: l’esperienza insegna come tutte le grandi storie della scena elettronica internazionale inizino con un viaggio, con un’esigenza di esprimersi per trasmettere un messaggio, esigenza questa quasi sempre realizzata appieno altrove. Si sa, quello della musica è un mondo strano, che non sta mai fermo e come tale ci si deve abituare: la musica è movimento, la musica è in movimento. Come ogni storia che si rispetti, anche qui i protagonisti sono presenti: gli eroi sono i big della scena, i beniamini dei molti appassionati del genere e sono coloro che muovo i fili di questo vastissimo mondo, tenendolo vivo. Questa volta raccontiamo la storia di Renato Figoli: innamoratosi da subito della musica, riscopre fin da giovane di avere un interesse innato verso quella “che fa ballare”. I ritmi acid jazz e house diventano in breve la colonna sonora della sua stessa passione. Dopo aver mosso i primi passi dietro la console, capisce che la sua vera indole è quella di diventare parte attiva di questo così affascinante mondo: la scelta di diventar produttore lo premia in breve tempo, riuscendo ad uscire su etichette del calibro di Lo-Fi e Claque Musique. La sua è una musica che parte dal cuore, che sa ispirare: ritmi houseggianti dalle melodie ben costruite. Dietro ad ogni lavoro, Figoli ci mette duro lavoro e dedizione, riuscendo sempre a tirar fuori quel qualcosa di nuovo ed inaspettato. Il classico pezzo che non ti aspetti insomma, a partire già dal titolo. Dopo un periodo lontano dalle scene internazionali per dedicare più tempo alla famiglia, al quale è profondamente legato, in occasione dell’uscita suo nuovo lavoro “Funkoholic”, siamo andati a conoscerlo un po’ meglio e a farci raccontare da lui la sua storia.
Inizierei subito con una domanda secca, che ricorda molto le interrogazioni di scuola quando l’insegnante ti diceva “parlami di quello che vuoi”…cosa rappresenta per te la musica.
La musica e’ sempre stato il mio rifugio sia da ascoltatore che da creatore/produttore. Sto benissimo con me stesso e con la musica.
A cosa dobbiamo la tua passione per la musica? C’è un evento che ti ha scatenato la voglia di fare il dj e suonare nei club e cosa ti affascina dell’elettronica in particolare?
Il primo imprinting musicale l’ho avuto, come tutti credo, in casa grazie alla mia famiglia. Più in là, verso la fine degli anni ’80, avevo un amico che faceva il dj e che mi ha instradato verso la musica elettronica. Negli anni ’90 benché non lo frequentassi più come prima ho comunque proseguito il mio cammino da solo. Andavo in edicola a comprarmi le compilation “Acid Jazz” di Marco Fullone che contenevano un po’ di tutto, acid jazz, trip hop, house, insomma, tanta elettronica. Fino ad arrivare a un giorno del 2001 quando mi sono trovato tra le mani una compilation in CD della Kompakt, esattamente era “Total 3”. Mi si era accesa la luce, la voglia di interagire con la musica era diventata fortissima e dopo qualche giorno mi sono comprato il classico doppio cd-player per mixare che dopo qualche mese ho venduto per comprarmi due giradischi. In quello stesso periodo Andrea Ferlin mi ha dato una copia “demo” di Cubase. Dopo 2 anni circa usciva il mio primo EP sull’etichetta di Francoforte Lofi-Stereo. Piano piano ho smesso di mixare per concentrarmi di più sui live set che preferisco perchè suono solo roba mia e posso organizzare le parti come meglio credo senza i vincoli che mettono i dischi (inteso come tracce) di un dj set.
Hai iniziato a muovere i primi passi nella scena musicale Sarda (tua terra d’origine) per arrivare a produrre per prestigiose etichette quali Lo-Fi e Claque Musique per citarne solo alcune. Come descriveresti questo tuo percorso professionale e che consigli d’esperienza daresti ad un giovane che volesse intraprendere questo tuo stesso percorso?
Passi nella scena musicale sarda ne ho mossi veramente pochi. I primi passi li ho mossi nella scena musicale tedesca. La prima serata da dj della mia vita l’ho fatta a Berlino al Panorama Bar nel 2005 e ho comunque suonato quasi sempre all’estero. La scena musicale sarda e’ fatta da tanti produttori bravissimi ma i party non sono moltissimi perché la massa frequenta le serate commerciali e quei pochi che con coraggio organizzano serate di musica elettronica sono troppo piccoli e disorganizzati (la disorganizzazione…caratteristica, purtroppo, tipica di noi sardi in generale). Il mio consiglio per chi volesse intraprendere questo percorso e’ di fare musica per passione e non per fame di successo. La musica la si deve fare per passione.
Molte tue tracce sono state pubblicate con titoli strettamente italianeggianti (Viva Viva l’Olio d’Oliva, E’ arrivato l’arrotino e moltissime altre ne sono un esempio). Si può dire che questa scelta rispecchi molto il tuo legame con la terra di origine? In generale, come mai questa scelta?
Trovare i titoli delle tracce per me non ha senso, preferisco far parlare la musica, infatti la maggior parte dei miei titoli sono scemenze.
Hai calcato tutte le piazze che contano: Panorama Bar, Cocoon, Goa sono solo alcuni dei club internazionali che ti hanno visto come ospite. D’altra parte, hai suonato anche a molti festival di musica elettronica…cambia la location, non cambia la sostanza. Cosa prediligi tra l’intimità del club e gli spazi open-air degli eventi l’aperto?
Sicuramente i club…neri, sporchi e fumosi tipici tedeschi.
Come organizzi solitamente un tuo set? Studi meticolosamente la serata precedentemente, definendo una scaletta o scegli tutto direttamente live? Che strumentazioni usi?
Il mil live set di base e’ diviso per scene ma non hanno un ordine preciso. Poi ogni scena e’ improvvisata. Uso Ableton + 2 controller e una Roland MC-909.
Nell’attesa dell’uscita del tuo nuovo album, Funkoholic, cosa ci puoi preannunciare in esclusiva di questo tuo lavoro? Rispetto alle produzioni precedenti, pensi sia cambiato il modo con cui hai concepito quest’album? E per quanto riguarda le sonorità?
Sicuramente la novità e’ l’uso di strumenti analogici “rubati” al jazz come la chitarra del mio amico Carlo Ditta e la tromba di Mario Massa. Le sonorità col tempo cambiano automaticamente e naturalmente. Sempre i soliti suoni alla fine stancano.
Credi si possa dire che sia nel complesso un album “più maturo” e personale rispetto ad altri tuoi lavori?
Io non posso giudicare i miei lavori. Quello che so di sicuro e’ che quello che produco viene dal cuore e non e’ pianificato o frutto di ragionamenti.
Allontanarsi per un certo periodo da una passione grande come la musica è un ottimo momento per far chiarezza e tirare un po’ le somme: può convincerti che la strada scelta sia quella giusta o convincerti dell’opposto. Cosa è cambiato in Renato Figoli in questo periodo distante dalla console e cosa invece è rimasto tale e quale?
A un certo punto la cosa ha iniziato a girare troppo veloce…avevo quasi tutti i fine settimana serate, quasi tutte all’estero ed ero “costretto” a viaggiare molto e forzatamente (adoro viaggiare per piacere senza programmi…ma i viaggi per lavoro mi devastano). Quando ho capito che avrei preferito restarmene a casa piuttosto che partire a fare le serate ho iniziato a frenare. Inoltre i cambiamenti della vita influiscono in modo importante sulla passione musicale. Se 10 anni fa avevo un sacco di tempo da dedicare alla musica ora che ho messo su famiglia il tempo che posso dedicare alle mie passioni e’ molto meno ma se gestito in modo intelligente può dare i suoi frutti.
A chiudere, quali altri progetti vorresti portare avanti nel futuro e come ti vedi tra qualche anno?
Non mi piace programmare. Quello che so di sicuro e’ che la passione per la produzione musicale c’è e ci sarà sempre poi se dallo studio esce qualcosa che merita di essere condiviso non mi tirerò di certo indietro.