Dietro non c’è una storia troppo difficile da capire, si tratta infatti di calci e pugni dati alla cieca, con quell’impeto al limite dello sconclusionato che talvolta può anche stonare. Eh sì, perché in “Spoock” volano colpi un po’ così come vengono, trasformando la dodicesima uscita di casa Killekill di difficile digestione anche per chi, come buona parte di chi ci legge abitualmente, ha a che fare con la techno quotidianamente. Affidarsi a Eomac, chiaramente, non poteva che dare frutti di questo tipo: heavy techno di chiaro stampo nordico (brit-techno esiste come definizione?) che si sgretola solo i colpi di una cassa maleducatissima e che profuma un po’ di malto e un po’ di dub – il meglio dell’EP, secondo il mio modestissimo parere, potete infatti trovarlo in “No Name”. Fondamentalmente è roba che si piazza sulla bocca dello stomaco come un irish stew particolarmente pesante che proprio non vuole saperne di scendere; quello stesso irish stew che, però, ti permette di mandare giù una manciata di pinte di Guinness il giorno di San Patrizio.
È così: quando sei lì che sguazzi nelle dense atmosfere del party più incazzato del weekend, male non fa un disco davvero sopra le righe per ridimensionare quanto hai ascoltato fin lì e quanto, ovviamente, ti appresti a ballare. Una sorta di “non lamentarti, che posso fare di peggio”.
Da qualche parte ho letto pure la parola “melodia” associata a questo lavoro. Se devo essere sincero, però, proprio non riesco a trovare nulla in questa raccolta che possa essere anche lontanamente accostato al concetto di musicalità. “Spoock”, sia nella sua veste originale che in quella prodotta da Lucy (per inciso, davvero buona), è quadratissima: groove compatto, kick distorto e synth ipnotico-paranoico di droniana memoria, stanno lì dall’inizio alla fine facendoci riscrivere tutti i giudizi sui vecchi lavori di casa Killekill e a firma Snuff Crew, Cassegrain e Alex Cortex. Se questa è sempre stata per noi roba “tesa”, cos’è il lavoro di Eomac?