La tattica dell’arraffare uscite a più non posso non paga, almeno non nel lungo periodo. Quella del “fare, disfare, riciclare e rifare” non è la strategia più lungimirante che si possa scegliere se veramente si vuole lasciare traccia in modo profondo nel mondo della musica. Questo è pressoché un dato di fatto. Pensate a quante meteore, più o meno valide, ci hanno bombardati di release, remix e raccolte cercando di spremere fino all’ultima goccia il proprio serbatoio, salvo poi finire per esasperare tutti, anche gli ascoltatori più conservativi – quelli che non schioderesti da Hot Creations nemmeno dopo un EP di remix di un pezzo di Marco Mengoni. Bisogna essere davvero sopra la media, infatti, per riuscire a sorreggere il peso di un’uscita al mese; e sentirsi dire “basta, questo l’abbiamo già sentito” dovrebbe suonare come la peggiore critica possibile, specie se a riceverla è qualcuno che ama farsi chiamare artista a suon di biografie.
Anche se ben fatta, infatti, la roba trita e ritrita non diverte, meno che mai emoziona.
E così, anche se hai un talento fuori dall’ordinario, anche se il tuo cervello partorisce idee come una catena di montaggio, è importante saper scegliere bene le proprie mosse tirando fuori sempre il proprio meglio: “quality over quantity”, insomma. Anche se sei Herva e la tua giovinezza ti dice che potresti/dovresti spaccare il mondo. Ma se sei un artista, uno di quelli con la “A” maiuscola, il mondo lo spacchi facendo un album bellissimo e poi incastrando uscite perfette che servono a sancire ed esaltare le tappe di un’escalation fisiologica sì, ma meno scontata del previsto viste le trappole e i trabocchetti in cui solitamente cadono i producer più acerbi. Ma quest’ultimo non sembra essere il caso di Herva, quel ragazzino che nemmeno un anno fa, in barba agli scettici, spiazzava tutti rilasciando su Bosconi quella perla dal titolo “Meanwhile In Madland”. Perché? Lui non ha paura di essere dimenticato, in fondo perché dovremmo? Finito di girare l’Italia con il suo tour, quindi, s’è fatto da parte e rimesso all’opera per confermarsi, senza strafare. E così firma il nuovo MUS (coprodotto con l’altra metà di Life’s Track, oltre all’amico Mass Prod) ed il prossimo Delsin, etichetta ultradecennale di casa ad Amsterdam e che ha già ospitato recentemente personaggi del calibro di Shed, Redshape, Delta Funktionen, Mike Dehnert e Claro Intelecto.
Graffiante come pochi altri artisti delle nostre parti sanno essere, Herva ci consegna “What I Feel EP” per la gioia di chi ha amato di quel suono nudo e crudo che ha decretato il successo di pezzi come “Triangle” e “Soul Crash”. Qui però c’è dell’altro, si avverte la crescita del giovane toscano: è come se, improvvisamente, gli argini che hanno fin qui trattenuto l’anima più dura dell’artista fossero venuti meno, liberandolo. E così ecco a voi “Gorilla’s Machine” e “Snow And Clods” (soprattutto), due pezzi diretti come una sberla presa in pieno volto senza il minimo preavviso.
Roba che colpisce e lascia il segno. Roba che non si è abituati a sentire e per questo di non semplicissima digestione. “What I Feel EP”, alla luce di tutto questo, è il modo migliore per iniziare il nuovo anno: senza fretta, facendo un bel respiro e contando i passi. In fondo la strada è ancora lunga. Bravo Herva, continua così.