Siamo pronti a diventare un po’ adulti? E: vogliamo diventarlo? Questo sono le domande che ci circolano in testa durante l’ascolto di questa nuova fatica di Simon Green, alias Bonobo. Un album, “The North Borders”, che già da un po’ prima della sua uscita ufficiale stava raccogliendo un interesse e un’aspettativa inediti in quella che è stata finora la carriera dell’artista targato Ninja Tune. Interesse ora sempre più in crescita. Il comunicato della label spiega, convinto, che tutto ciò è merito del semplice lavorìo negli anni di Green: uno che non ha mai sgomitato, non ha mai tentato smaccatamente di inseguire il suono del momento, non ha mai fatto il paraculo, limitandosi invece a proseguire sorridente per la sua strada fatta di eleganza più o meno downtempo, di incrocio tra trip hop, nu soul, qualche concessione danzereccia, qualche levigata e moderata follia. Dopo tutta questa fatica, finalmente succede che arriva un premio. E’ proprio così?
Oddio: forse proprio con “The North Borders” affiora un po’ di paraculaggine. Magari involontaria. Anzi, concediamo la buonafede: probabilmente involontaria. Ma fa sorridere sentire Bonobo avvicinarsi come non mai a certe derive two step, proprio quando queste derive sono tornate improvvisamente hype grazie a Disclosure e dintorni. Green però, lo dicevamo all’inizio, è “adulto”: non ha quindi la freschezza dei vent’anni e, giustamente!, non si mette a fare il producer da dancefloor, prediligendo invece un piglio ritmicamente un po’ più posato e molto più da ascolto. Ci mette la classe, questo sì. Tanta. Tantissima. Forse troppa.
Troppa? Già, perché uno dei difetti di questo lavoro ormai molto atteso è che è in qualche modo troppo educato, troppo levigato, troppo curato nei dettagli – ma a furia di curare l’eleganza dei dettagli si finisce col perdere in spontaneità ed espressività diretta, grezza. No, questo non è l’inizio di una stroncatura, perché basta ascoltare i crescendo di un brano come “Cirrus” o anche di uno come “Jets” per capire che qua si gioca in Serie A, anzi, Champions League in quanto a bravura produttiva. Una bravura da cui tutti dovrebbero prendere esempio, soprattutto chi crede che la musica sia trovare un frammento, impostarlo nelle frequenze, metterlo in loop e già togliere e rimettere il basso sia una cosa sufficiente per far gridare il pubblico di fronte a sé “Wow! Genio!”. A tutti costoro, Bonobo ricorda che la musica – anche quella elettronica – può e deve essere un artigianato complesso fatto di arrangiamenti, conoscenze, equilibri dinamici, soluzioni evolute per le quali bisogna aver studiato Musica con la m maiuscola, e non le chart di Beatport.
Ma a sua volta Bonobo potrebbe imparare anche dai peggio giovinastri dell’elettronica danzettara che qualche volta è preferibile essere più grezzi e diretti, concentrarsi più cioè nel trovare il riff assassino nudo e crudo che nel certosino lavoro di creazione di arrangiamenti sofisticati e pieni di soluzioni. Adulto, molto adulto “The North Borders”: ma non ci sentiamo ancora pronti per metterci ad ascoltare solo ed esclusivamente dischi sorseggiando un whisky di fronte al caminetto, ammirando l’intelligenza e il mestiere del producer. Chiama ammirazione, questo nuovo Bonobo, ma dopo un po’ ti accorgi che non smuove il cuore e non si prende dei rischi “veri” proprio lì dove invece sembra a prima vista stia facendo miracoli, parliamo di impianti melodici ed armonici. Che è un po’ anche il problema di un po’ di cose di Pantha Du Prince e Nicolas Jaar, a nostro modo di vedere. Ma se i due artisti in questione sono stati presi per “geni”, allora può e deve esserlo anche Bonobo, che ha intrapreso un discorso musicalmente simile al loro (note, impianti compositivi e raffinatezza negli arrangiamenti applicati con misura all’alfabeto danceflooriano) arrivando tra l’altro da un background fatto di più gavetta e muovendosi su terreni più complessi e sfaccettati della mera cassa in quattro. Voi come la vedete?