“Ma quel Karl Bartos? Quello dei Kraftwerk?”
Esattamente, uno dei quattro visi di ghiaccio della formazione storica, quella che ha prodotto i capolavori assoluti “Radioactivity”, “Trans-Europe Express”, “The Man Machine”, “Computer Love” e di fatto ha inventato la musica elettronica come la conosciamo adesso. Il nuovo album solista “Off The Record” arriva dieci anni dopo il suo ultimo “Communication” e a quasi quaranta (!) dal suo ingresso nei Kraftwerk, ma quel viso inespressivo in copertina resta sempre l’inconfondibile emblema dell’electronica che ha fatto storia, è ancora qualcosa da cui non vuole separarsi. E adesso so già le due domande che ti stanno frullando in testa…
“Caspita, quarant’anni. Cosa significherà per lui continuare a comporre musica ancora oggi? Voglio dire, non ha semplicemente composto qualche disco importante negli anni ’70, qui si parla proprio della storia con la S maiuscola.”
Già. Essere un Kraftwerk oggi significa avere un’autorevolezza ineguagliabile ma anche una grossa responsabilità. Da una parte, non solo sei a conoscenza di direzioni e propositi originari della musica elettronica meglio di chiunque altro, ma sei anche detentore di una formula senza tempo, valida e consistente ancora oggi perché futurista nel midollo: la totale origine sintetica dei suoni, l’assoluta assenza del fattore umano, la “musica dei robot” insomma, ha sempre lo stesso alone di fantascienza di allora, magari non è più percepita come completamente aliena (“musica proveniente dallo spazio”, la descriveva Derrick May mentre indagava la sua techno) ma resta sempre netta la sua connotazione avveniristica. D’altro canto, però, hai un peso enorme sulle spalle, che è sia l’onere di tenere alta la nobiltà dei concetti iniziali, sia il dovere di tenere bene a mente quel che è successo negli ultimi decenni.
“Quanto è cambiata quella musica da allora?”
…e questa è la seconda domanda da porsi. Dai Kraftwerk a “Off The Record” è cambiato molto ma anche nulla. Dal giorno dopo “Radioactivity” il ruolo di Bartos è stato quello di spingere quell’electronica elitaria e fortemente intellettuale verso una sua forma pop. Il cosiddetto technopop di “The Robots”, “The Model” o “Computer Love”, ma anche un più canonico electropop che l’ha portato a “Communication” del 2003 e al connubbio con gli OMD nel 1996. Nel frattempo la clinicità del suono storico è rimasta, il vocoder asettico resta sempre il marchio di fabbrica, e così oggi vengon fuori pezzi come “Without A Trace Of Emotion” (vicinissima ai Pet Shop Boys), “The Tuning Of The World” o “Hausmusik” (permeate da un mood happy al limite dello stucchevole, quasi canzoncine da videogioco arcade anni ’90). Ossia modi di ribadire e riproporre (se non proprio riciclare) i meccanismi che conosce bene, mettendoli al servizio della ricerca del motivo di facile presa.
“Quindi semplice dischetto senza ambizioni?”
Parliamo di un artista di sessanta e passa anni, attenzione. Nessuno da lui si aspetta oggi il capolavoro o comunque un graffio profondo. Ma non è un dischetto insulso, se questa era la domanda. C’è anche la voglia di aggredire il proprio campo d’azione. C’è “Musica Ex Machina” che è a tutti gli effetti house d’ascolto, pensata per battere sul ritmo, “Rhythmus” che viaggia verso quella Detroit a cui lui stesso eoni fa ha dato il la, e poi c’è il singolo “Atomium”, che rivede le attitudini soundtracking verso una sci-fi marziale e movimentata, probabilmente il pezzo più cattivo che da lui ci si possa aspettare. Dal lato opposto, resta una fedeltà alla propria storia e al loro pubblico adulto che viene confermata da “Nachtfahrt”, il synthpop meccanizzato, lineare e astuto diventato a fine ’70 il faro guida delle loro produzioni. Come dire, “Off The Record” ha quel che ci si aspetta da un Kraftwerk, oggi come dieci anni idietro o avanti rispetto a una linea del tempo a loro inapplicabile, compresi un paio di piccoli guizzi che non facciano ricadere tutto nello scontato. Un ritorno agli amori passati per gli ascoltatori maturi, e magari un possibile portale di accesso al Big Bang elettronico per la generazione giovane. Più uno spunto di riflessione: fa bene al cuore sapere che nel 2013 un disco come questo può ancora ricavarsi il suo spazio.
Tu che ne dici?