“Reverse Skydiving” è un disco onestamente bruttino, buono riempire un po’ di spazio all’interno di un programma radio di quelli che fanno della commerciale il loro must – non dimentichiamoci che un cut del remix di Solomun di “Around” costituisce la sigla di uno dei programmi radio più famosi d’Italia – e conferma l’inconsistenza di Hot Creations all’interno del panorama underground europeo. Non che sia una colpa, sia chiaro, ma trovo fondamentale iniziare a chiamare le cose col loro nome e Jamie Jones & Co. sono artisti pop, o almeno artisti che hanno questa ambizione. Niente più e niente di male: il pop, in fondo, non ha mai ucciso nessuno e talvolta si è rivelato un bel diversivo a quanto siamo soliti ascoltare per soddisfare la nostra voglia di novità, edonismo e voli pindarici di musicale natura. Però l’underground (o presunto tale) è una cosa ben diversa.
Ok il passato “interessante”, nessuno glielo toglie e nessuno ha mai pensato di metterlo in discussione, ma non si può far finta di nulla di fronte a ciò che la banda capitanata dal duo Hot Natured sta promuovendo da tanto, troppo tempo. Io sono lo stesso che si era espresso in termini lusinghieri di “Forward Motion” proprio su queste pagine, scripta manent, ma ormai le cose hanno preso una piega sostanzialmente irrecuperabile (ammesso che qualcuno voglia davvero cambiare rotta) e allora è forse giunto il momento di fermarsi e focalizzare bene chi e cosa si ha di fronte, ignorando quanto di tutto questo rappresenta solo il contorno, party Paradise in primis.
A voi piace questa musica? Davvero vi piace la dimensione “adulta” di Hot Creations? Davvero trovate “Reverse Skydiving” un disco meritevole di uno spazio all’interno del vostro dj set? È solo l’esasperazione o, viceversa, l’hype a parlare per voi? Le mie personalissime risposte sono, nell’ordine: no, no, no e no. No perché non si può sparare prima su personaggi come David Guetta per poi finire col celebrare tutto questo, un qualcosa che, in tutta onestà, ha cominciato ad annoiarmi prestissimo – viva la soggettività del gusto, ma la coerenza deve sempre venire prima di tutto. No perché non ci si può far lobotomizzare da un banner su Beatport, mandando a farsi benedire la nostra curiosità in nome di un trend musicale che durerà nella migliore delle ipotesi per altri sei mesi. No perché non c’è bisogno di arrivare all’esasperazione per accorgersi che certe cose non hanno nulla a che spartire col clubbing, ma piuttosto con i diffusori delle radio – canticchiate “I, I follow, I follow you deep sea baby”, dovrei avervi convinti.
Da qualche parte ho visto la locandina di un festival in cui il nome di Jamie Jones aveva la stessa rilevanza dei vari Paul Oakenfold, questo è il risultato di un percorso simile. Vi stupisce?