Può esserci un gusto d’altri tempi, di incoscienza adolescenziale, entusiasmo e spirito libero, nel restare all’oscuro di gran parte dei dettagli organizzativi e scoprire solo gradualmente, passo dopo passo fino al giorno stesso dell’evento, a cosa realmente andremo ad assistere. È così che comincia l’esperienza Soundwall in questione, sapendo il nome dell’organizzazione Deep’n’Morning (il party della Deependence Records), una data, la festività del 25 aprile, e un nome, il londinese Boddika, per il quale val la pena stare un pò al gioco del mistero: 15 anni di produzioni alle spalle, una carriera lungo i 2000 come metà degli Instra:mental nel segno del rinnovamento drum’n’bass e più recentemente le iniziative soliste e la serie di hit con Joy Orbison (Swims, Mercy, & Fate…) che hanno infiammato i club techno underground degli ultimi mesi. Il resto lo scopriamo a piccole dosi, come fosse un gioco di ruolo o un reality, e per una volta fa piacere viversi questo mix di fascino della scoperta e brivido dell’incertezza durato un intero giorno.
Riguardo al luogo, ad esempio, veniamo a sapere giusto qualche giorno prima dell’Old River Park, che ci viene descritto come una affascinante vallata nascosta tra le colline fuori Caserta, già collaudata per eventi techno di lungo respiro e teatro stavolta di un’intera giornata di “liberazione” dance, dalle 8 di mattina a mezzanotte. Noi partiremo a metà mattinata, e la logistica ci viene svelata solo mezz’ora prima di scendere dal treno: fuori dalla stazione ci aspetta un’auto, e seduto al sedile passeggero c’è già Boddika, atterrato la sera prima e pronto per il pranzo e il pomeriggio alla consolle. Una punta di innocente senso di colpa (stavolta siam stati noi a farci aspettare) e il resto della giornata passa osservando un artista empatico e appassionato che ama i risvolti sociali del suo lavoro e se la ride di pancia commentando i caratteri peculiari del Sud Italia, dal clima eccezionale (29 gradi, è già piena estate), allo stile di guida (“everybody does what they want to, it’s funny!”), al sapore inimitabile della vera pizza napoletana (“amazing” è la parola che pronuncia più spesso di fronte al suo calzone, c’è anche spazio per scambiarci un paio di bocconi da un piatto all’altro).
Boddika ci racconta divertito i suoi ritmi di vita, le giornate a incastro dove a un dj-set in Italia dalle 16 alle 17 segue un volo Roma-Bruxelles e un secondo set alle due di notte e la mente già proiettata alla serata londinese del 27, dove si esibirà al Fire insieme a Skream, Loefah, Pinch, Zed Bias e diversi altri nomi da urlo. Ci dice che in passato non ha mai amato particolarmente il dubstep ma che adesso lo trova un’interessante alternativa per evitare che house e techno si accartoccino in una monotonia a 140 bpm. E, percorrendo la provinciale immersa nel verde dell’area casertana, ci viene in mente uno strano parallelo con gli anni novanta, l’uscita fuori città all’interno del classico luogo sconosciuto ai più gli fa tornare in mente il suo primo rave, quando nel ’92 (“l’anno perfetto”) aveva diciassette anni e l’eccitazione per un certo modo di vivere la musica aveva raggiunto il suo apice storico. Poi si arriva all’Old River ed entra in scena il Boddika professionista, serio e concentrato, uno che ci tiene a curare i dettagli e dare al pubblico una performance che non abbia la minima sbavatura. È il momento di lasciarlo lavorare e goderci lo spettacolo in mezzo alla gente.
La location è davvero spettacolare, una radura inserita in una riserva naturale praticamente incontaminata, col fiume placido che scorre sullo sfondo e tutt’intorno un’area boschiva ininterrotta. Si ha la sensazione di esser lontani anni luce dalla civiltà, e il mezzo migliaio di ragazzi presenti intende godersi questa sensazione in modo totale, liberi da freni inibitori e nel segno della sregolatezza giovanile tipica dei vent’anni, con la stravaganza nel vestire e quell’anticonformismo acerbo, magari anche un pizzico villano, che non vuol fare delle regole di buon vicinato le proprie gabbie. Tra occhiali sgargianti, petti nudi e strappi di ogni genere ai pantaloni, la musica non smette di alimentare l’energia per tutto il giorno e Boddika si inserisce con agilità nell’ambiente, facendosi la sua ora di raw techno senza fronzoli e senza imperfezioni, interpretando bene il contesto con un set che lascia il giusto spazio a certi pezzi più accelerati e dispensando gesti d’intesa col pubblico. Pubblico che si lascia contagiare, muove le mani a ritmo e alterna applausi di gusto a quel set che sta seguendo in modo impeccabile la scia naturale prevista per quella giornata.
A fine set i tempi sono stretti, Boddika ci ringrazia per l’accoglienza e corre in aeroporto, mentre noi restiamo fino a sera ad osservare la costanza con cui quei ragazzi stan ballando senza sosta ormai da dodici ore, in una continuità che non può esistere senza un collante sonoro capace di non perdere un colpo per tutto il giorno. C’è spazio anche per osservare un paio di coppie trentenni che han portato con sé i figli piccoli e la poesia di una bambina intorno agli 8 anni che lancia in alto felice il proprio pallone su uno sfondo di technazza pompata a tutto volume. Anche per quella piccola la giornata dev’essere stata piena di sorprese, e noi ci scopriamo particolarmente in sintonia con lei, contenti di aver vissuto un giorno trasportati dagli eventi, nel segno dell’improvvisazione e della spontaneità, liberi da programmi e ansie organizzative, nella nostra personalissima interpretazione della “giornata della liberazione”. Il lavoro in ufficio può attendere.