A leggere lo pseudonimo, alzi la mano chi non immaginerebbe un diciannovenne londinese col cappuccio in testa e in piena fissa bass. E invece Evgeny Bukreev è russo, viene nientemeno che dalla gelida Murmansk, sopra il circolo polare artico, ed è una delle migliori novità con cui Darkroom Dubs sta festeggiando i dieci anni di attività. Il genere è quello a cui l’etichetta dei Silicone Soul ci ha abituati, tech-house notturna e avvolgente di qualità. Freska, di suo, ci mette almeno due carte che sparigliano, due propensioni verso l’esterno: una verso lidi balearici non scontati, l’altra verso certa house organica ed eterogenea che – per semplificazione massima – definiremmo indie, leggasi Caribou/Daphni e simili. Entrambe, e qui sta il bello, intuibili da particolari sparsi lungo l’ora scarsa di questo suo primo album, più che da singole tracce in particolare. E integrate senza sforzo in un discorso funk che supera le barriere di genere, seppure imperniato saldamente sui quattro quarti.
Ecco dunque le onde di sintetizzatori, gli strati di percussioni metalliche in zona Four Tet, il basso bello grosso e i toni dub di “Breathing in”, sintesi perfetta posta in apertura. Oppure la linea di basso melodica e quasi new wave di “Slow Cold Slow”, che si fa strada fra loop ipnotici e sequenze cosmic; i giochi di voci frammentate della più scura “Doves On My Window”; i rimbalzi gommosi ad alta energia di “Honey From Within”, disco-funk d’annata compattato e spedito nello spazio; le radici house della palpitante “Ink In” (mixata dal connazionale Tripmastaz come le due appena citate), con sottofondo incessante di legnetti; i poliritmi della solare “Stoned Bytes”, completa di cori fricchettoni e campione trattato che ripete un celebra refrain di Bob Marley.
Bene anche le cose più canoniche, in ogni caso: robe da pista come “North From South”, deep techno di taglio minimal con epico riff di archi e percussioni rotolanti, oppure “Some Turns Inside” con il suo organo poco rassicurante. Chiude un’altra sorpresa, forse la più grossa: il norvegese Lars Are Nedland (membro di truci band black metal come Solefald e Borknagar) che canta con lirismo degno di un folksinger inglese degli anni ’60 in “The Kathedral”, altro valido esempio della miscela di cui sopra.