La magnetica e magnifica frase di synth che apre e contrassegna “Promise Me Yesterday” potrebbe bastare a raccontare della perizia ed esperienza di Carlos Abraham Duque Alcivar, il 45enne dj/produttore originario dell’Ecuador ma che ha trovato visibilità nella Grande Mela e che fu fra gli animatori del Limelight, club fondamentale nella diffusione del verbo techno Oltreoceano negli anni ’90 attraverso gli eventi denominati Abuse Industries, di cui Duque fu co-promoter.
E’ proprio alla tuttora affascinante estetica di quel periodo che si ispira gran parte del suo repertorio, come testimoniato da vent’anni di release – dai primi singoli con lo pseudonimo Kirlian alle sperimentazioni con la sigla Rancho Relaxo Allstars a un riuscitissimo album quale “So Underground It Hurts” –, come hanno saputo apprezzare personaggi quali i Chemical Brothers e i Pet Shop Boys (che sono nella lunga lista di artisti da lui remixati) o quel Dj Hell che a suo tempo lo scritturò per la International Deejay Gigolo, e come avviene qui nel trip acid-dark di “Paranormal Dejavu” che ipnotizza nei suoi oltre sei minuti di crescente tensione, nei sapori mitteleuropei di “Black Barbie” o nella trance-techno deviante di “Chaos Rules”, fra decorative risate sataniche.
Anche le allusioni rave dell’ironica “That’s It” e una eloquente “The Future Is Back Again”, complice una produzione dal dettaglio sonoro sempre estremamente definito, suonano difficili da datare e contribuiscono a classicizzare ulteriormente gli stilemi techno di quell’era.
Il bello di “Rules For The Modern DJ” è proprio la sua capacità di riassumere senza ridursi a uno sterile esercizio retrò, e di tentare anche nuove strade. Fra le invenzioni più interessanti qui contenute c’è la sovrapposizione fra un campione vocale apparentemente gospel e la 303 nell’irresistibile “With His Music”, mentre “L.O.V.E.” si inserisce agilmente nella scia di certa deep house con campioni parlati ed effetti live (vedi l’Oliver $ di “Doin’ Ya Thang”) e “I Am New York” innesta melodie trance su un groove houseggiante.
E poi la demenziale quanto efficace “Diabeto”, in cui su una solida base acid-tech a un certo punto entra la cantilena di un vocalist sempre più sfatto e deragliato, a riprova dello spiccato sense of humour che infonde spesso le sue produzioni.
Insomma, a quattro anni da “Don’t Be So Mean”, il nuovo album di Abe Duque riesce in un ennesimo piccolo miracolo di coerenza artistica, giocando in assoluta libertà da tendenze o filoni oggi troppo battuti.