Questo nuovo LateNightTales mi ha fatto riflettere su come, bazzicando da un pò nell’ambiente, uno riesca a gestire con discreto successo le aspettative riposte nelle uscite che ci si trova ad attendere, finendo per farsi un’idea del gradimento che può riservare un disco semplicemente associando nomi a etichette. A volte quest’associazione risulta più ambigua, altre volte (è questo il caso) è particolarmente brillante. Eh sì, perché stavolta la famosa serie inglese ospita i Royksopp.
In precedenza, il duo norvegese mi aveva già lasciato a bocca aperta con l’italo-disco proposta sull’ormai estinta “Back To Mine” – memorabile l’inclusione del singolo di Pino d’Angiò “Che Idea”, in cui fraseggi parlati, simili per certi versi al rap, riff funkeggianti e beat disco concorrono nel dar vita a traccia di pregevole fattura – così, dopo aver letto che ci sarebbero stati anche due singoli esclusivi del duo, non potevo che essere fiducioso nei confronti di Svein Berge e Torbjørn Brundtland. E, infatti, come in precedenza, il lavoro rilasciato è di altissima qualità, coi suoi picchi e i momenti di quiete, con tracce mai scontate che, pur rispecchiando un eclettismo notevole, funzionano decisamente bene insieme, amalgamandosi con fantastica continuità sonora. Insomma, il viaggio in cui ci introduce il trentaduesimo episodio della serie lanciata nel 2001 è avvincente e inebriante in maniera particolare: ci si scioglie con la downtempo del singolo esclusivo dei Royksopp, “Daddy’s Groove”, ci si crogiola col rassicurante, serafico, prog-rock inglese dei Rare Bird; si resta ipnotizzati dal manierismo romantico dei Tuxedomoon, per poi congelarsi completamente col fumoso e futuristico landscape sonoro di “Blade Runner Blues”, coi sussurri del Fender Rhodes e le lunghe note d CS-80 di Vangelis. Un pezzo di storia della musica, nonché, a mio parere, una delle colonne sonore più belle della storia del cinema. Parentesi di folk coi Prelude, in una cover di una traccia di Neil Young, che fanno da battistrada all’orecchiabile e estivo pop di “Hello Beach Girls”; la parabola ascendente si chiude col blues pacato di una colonna portante come lo era John Martyn, lì a deliziarci con chitarra e voce. Da questo punto in poi, in un certo senso, si apre un viaggio nel viaggio; sono gli ultimi momenti onirici, a chiusura di una selezione tanto poliedrica quanto gradevole, prima della voce di Benedict Cumberbatch – l’attore inglese – a narrare, come da tradizione, un racconto scritto in esclusiva per la serie. Da ascoltare, ci sono ancora gli XTC che impregnano l’atmosfera con accordi soporiferi, seguiti dal sound etereo dei The Mortal Coil’s – che un pò comincia a farsi pesante – per finire col misticismo insito nella corale dei Popol Vuh, che, a dir la verità, messi lì, sono una botta dura da superare – pur non compromettendo la valutazione globale che mi sono fatto del lavoro nella sua interezza.
Infatti, la mia opinione resta molto positiva, e mi viene facile dire che il duo di Tromso dai gusti musicali colti, riesce ancora un a volta a essere convincente e efficace, capace di convogliare un ampio spettro di emozioni nella direzione voluta. In due parole: selezione brillante.