Definire la musica di Aera non è cosa semplice, per niente, perché, esattamente come il suo creatore, non conosce precise barriere e confini; si spinge dinamica alla ricerca di ciò che l’orecchio ancora deve ascoltare ed esploratrice per natura, ci riporta i frammenti di tale viaggio. Indizi di house, echi ambient e ritmiche più o meno regolari ci ricordano che siamo sul pianeta terra ma il modo con cui esse sono costruite e sviluppate, il modo in cui esse si sovrappongono e alternano, suggeriscono che nuove e diverse strade sono state percorse. Abbiamo intercettato Aera, al secolo Ralf Schmidt, per chiedergli come questo viaggio inizia, cosa rappresenta e dove lo porterà.
“Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa (il cristallo dello specchio, ad esempio) era infinite cose, perché io la vedevo distintamente da tutti i punti dell’universo.” (tratto da “L’Aleph” J.L Borges). Aleph è anche il nome della label con cui pubblichi la tua musica dal 2010. Ci potresti spiegare il perchè di questo riferimento? Che cosa hanno in comune i due “Aleph”?
Il nome Aleph – o a dirla tutta Aera Aleph come sono solito farmi chiamare – mi accompagna quasi da sempre, sin da quando ho iniziato a creare musica 18 anni fa. E’ un gioco di parole che ha senso solo in tedesco. E’ la pronuncia del mio nome: R-A-L-F. Il riferimento a Borges venne più tardi quando decisi di creare la mia label. In qualche modo mi imbattei in una delle sue novelle e fui immediatamente catturato da quella sua idea di realismo magico, la quale idea richiamava molti elementi che tentavo di trasmettere nella mia musica. Mi piace anche l’idea del modo in cui l'”Aleph”, in quanto singola frazione di tempo, contenga ognuna e tutte le altra frazioni di tempo in se stessa, il che non può essere espresso pienamente con le parole, esattamente come la musica.
Vi sono altri riferimenti letterari all’interno della tua discografia,ad esempio l’EP “Third Wave” in omaggio all’opera di Toffler; il che mi porta a domandarti se e in quale misura ciò che leggi influenza le tue produzioni.
E’ sempre difficile trovare da solo nuovi nomi per tracce o EP quindi tendo a vedere ciò che leggo come una fonte di ispirazione. Quando mi imbatto in un concetto interessante o in qualcosa che mi ispira profondamente, me lo appunto per usarlo in futuro. Durante il lavoro per la creazione del mio terzo EP “Third Wave” su Aleph Music, stavo leggendo l’opera di Toffler “The Third Wave” che – in poche parole – tratta di come la società post-industriale gestisca i rapidi cambiamenti a cui va incontro. Le opere di Toffler hanno avuto anche un’influenza sui primi pionieri della Detroit techno, oltre che altri musicisti come Herbie Hancock, il quale arrivò a chiamare un suo album con lo stesso nome dell’opera di Toffler, “Future Shock”. Nonostante tutto la musica viene prima e il più delle volte il nome delle tracce cambia fino all’ultimo minuto, quindi la musica non è di per se stessa coscientemente influenzata dalla letteratura. Ma ovviamente, tutto ciò che apprendiamo, tutti i nostri input, in un modo o nell’altro determinano ciò che trasmettiamo, i nostri output. Solo non è sempre così visibile.
Ci puoi raccontare il lavoro che sta dietro alla tua musica? Quale tipo di setup preferisci?
Sperimento molto, pasticcio e improvviso fino a quando non raggiungo il punto giusto. Lo registro e successivamente lo separo in piccoli pezzi più facilmente digeribili. Per me è importante trovarmi in quella situazione in cui non penso troppo a quello sto facendo e lascio solo che la musica fuoriesca, anche se mi piace comunque tornare indietro ed effettuare dei miglioramenti. Gli strumenti che uso non sono così importanti, sino a quando non interferiscono con l’immediata manifestazione della musica.
Recentemente hai rilasciato “Offseason Traveller” un’opera eclettica, mai scontata, coinvolgente e che effettivamente esplora territori fuori stagione, non convenzionali. Cosa ci puoi dire di questo tuo primo album? Che tipo di “storia” hai voluto raccontare?
Ho provato a raccontare la storia di un viaggio in territori sconosciuti, lasciandosi alle spalle i percorsi su cui siamo soliti viaggiare giorno dopo giorno. L’album è arrivato assieme ad un periodo di grandi cambiamenti nella mia vita – ho composto le prime bozze durante il mio viaggio in Perù e Bolivia ma la maggior parte è stata registrata una volta tornato a Berlino. Ho provato ad esprimere cosa ho provato lungo il percorso: la libertà, il senso di avventura, l’avventatezza, la potenza e la bellezza della natura. Anche la storia e le meraviglie sparse per il Perù e la Bolivia hanno lasciato un segno dentro di me. Ma l’album cattura anche lo shock culturale che ho avuto una volta tornato al freddo e grigio inverno berlinese: penso che questo genere di emozioni sia qualcosa con cui ognuno si possa identificare, non deve essere un viaggio lungo di 6 mesi come il mio, a volte è sufficiente tornare a lavoro il lunedì dopo aver avuto un week end eccezionale a ballare per capire a quale tipo di sensazione sono andato incontro. L’album nel suo complesso non è qualcosa che si possa comprender al primo ascolto,richiede un pò di tempo per svelarsi all’ascoltatore esattamente come un paesaggio estraneo e una cultura sconosciuta impiegano un pò di tempo per aprirsi al viaggiatore.
Non contento di viaggiare solo “musicalmente”, hai lasciato Berlino per il Sud America. Quanto quella esperienza è legata alla produzione di questo album? E, se possiamo chiederlo, cosa rappresenta per te?
Quel viaggio ha significato un importante punto di svolta all’interno della mia vita. Prima di mettermi in viaggio stavo lavorando da due anni a tempo pieno sulla mia musica pur essendo in grado di farmi una vita al di fuori di ciò. Arrivai a pensare che decidere di prendersi una pausa e lasciarsi tutto alle spalle sarebbe stata un’ardua decisione di cui tuttavia non mi sarei pentito. Il viaggio nel suo complesso ha cambiato la mia prospettiva sulla vita, per certi versi in un modo che ancora oggi non riesco pienamente a comprendere. Sicuramente senza questa esperienza l’album non sarebbe stato lo stesso.
Il video della traccia “Cambio” è un estratto di “Casa Luz” un documentario che descrive la situazione culturale e politica di Ayacucho in Perù. Considerando anche le tue esperienze sul campo come volontario quale contributo può dare la musica elettronica a realtà, culture, popolazioni in cui non è così popolare?
Questa è veramente una bella domanda e qualcosa su cui allo stesso tempo rifletto molto. Credo che il contributo possa essere di due tipi: da una parte puoi provare a portare la tua musica in questi posti, come ho fatto, per esempio, ad Ayacucho. Abbiamo organizzato diversi eventi in cui la maggior parte della folla di persone di fronte alle quali suonavo non aveva mai avuto occasione di ascoltare quel tipo di musica ma comunque sono riuscito a regalargli dei bei momenti ballando lungo tutta la notte e dimenticandosi per un momento di ogni cosa. Tutto ciò mi ha dimostrato come la musica elettronica abbia il potere di unire le persone, indipendentemente dalle origini superando barriere sociali ed economiche. La musica è un linguaggio. D’altra parte puoi sensibilizzare l’opinione pubblica, inserendo tematiche sociali all’interno delle tue opere, video o comunicazioni pubbliche. E’ una questione spinosa in quanto la musica elettronica per molte persone equivale a fuggire dalla realtà. Non sono un fan degli slogan per cui mi piacerebbe mantenere il messaggio incastonato un più in profondità come nel video per “Cambio”. Il video è costruito con le riprese per il contest annuale di danza ad Ayacucho, dove durante la mia permanenza, ho lavorato come volontario in un centro per i bambini. E’ stato filmato per una parte del documentario “Casa Luz” che narra la storia di questa terra e riflette sul tragico passato di questa parte del Perù. Ma in ogni caso il video si può gustare anche senza sapere tutte queste informazioni diciamo sono una sorta di connessioni più profonde che sto cercando di creare. Giusto per non stendere tutto su un piatto d’argento ma per richiedere anche un pò di attenzione dall’ascoltatore.
Cambiando argomento e tornando in Europa, in particolar modo a Berlino dove vivi, qual è il tuo rapporto con questa città? Cosa apprezzi di più di questa?
Berlino offre enormi opportunità quando si parla di cultura, musica, nightlife. C’è un sacco di cibo buono in giro e hai la possibilità di incontrare persone fonti di ispirazione ed interessanti, provenienti da tutto il mondo. La vita è ancora economica in confronto ad altre città e vi è un continuo scambio. Ma questo eccesso di input può anche abbatterti, a volte è troppo per me, risulta difficile rimanere concentrati. Ora e in futuro il mio desiderio è per la natura essere in solitudine e riflettere sui miei interessi.
Cosa pensi della recente normativa GEMA?
Non sono un grande fan dello stato e degli strumenti (sanzionatori, istituzionali, burocratici) con cui si governano in generale le vite delle persone,quindi la normativa GEMA non fa eccezione. L’idea di base era grandiosa: dividere equamente i soldi fatti con la musica tra i musicisti. Ma il modo in cui ora è gestita la cosa non è altro che una triste perversione dell’idea originale. Prima di tutto le somme ricavate dallo sfruttamento dei diritti d’autore non sono distribuite equamente e con trasparenza. Ora come ora nessuno sa quanti di quei soldi si disperdono nell’enorme apparato burocratico e nessuno comprende veramente i conti di quest’ultimo. In secondo luogo la decisione su chi deve pagare queste tasse lo decide lo stesso organo dietro il GEMA. E’ una sorta di scherzo, hanno davvero una sorta di monopolio! Ci sono asili in Germania che devono pagare una tassa per poter usare canzoni per bambini nelle loro classi. Per non parlare di cosa hanno provato a fare con la recente legge sui club di cui son sicuro avete sentito parlare… tutto ciò mi abbatte davvero, mi fa davvero arrabbiare.
Cosa dobbiamo aspettarci in futuro da Aera?
Ora come ora sto lavorando sull’Aleph 06 che spero sarà pronto per il termine dell’estate. Apparte questo ho intenzione di recarmi in autunno presso La Gomera nella Isole Canarie per concentrarmi al 100% su nuova musica ed esplorare nuovi territori.
English Version:
Define Aera’s music is not easy: indeed, exactly as its creator, it doesn’t know any fence or border. It grows dynamically towards the research of what ears has not listened yet and acts a free traveler, bringing back fragments of its journey. Clues of house music, ambient echoes and more or less regular beats remind us that it belongs to planet Earth. But the way it’s built and developed, the way it’s all superimposed and alternate, suggests that new and offseason paths have been taken. We caught Aera (as known as Ralf Schmidt) to know more about the beginning of this music travel, about what it represents for him and where it is heading.
“The Aleph’s diameter was probably little more than an inch, but all space was there, actual and undiminished. Each thing (a mirror’s face, let us say) was infinite things, since I distinctly saw it from every angle of the universe.” (from “The Aleph” J.L.Borges). Aleph is also the name of the label you chose in 2010 to release your music until now. Can you tell us more about this reference? What do the two Aleph have in common?
The name Aleph – or actually Aera Aleph, how I used to call myself, has been with me almost ever since I started making music some 18 years ago. It’s a play on words that only really makes sense in German. It’s my first name spelled out: R-A-L-F. The reference to Borges came much later, around the time that I actually started the label. Somehow I came across on one of his collections of short stories and was immediately hooked on his idea of magical realism, which resonated with a lot of things I was trying to get across in my music. I also liked the idea how the Aleph, as a singular space in time, contains each and every other space in time within itself, which is a concept that can’t properly be explained with words – just like music.
There are other literary references in your discography, for instance the “Third Wave” EP as a tribute to Toffler’s work; which leads me to ask you if your readings influence your production and if yes, how?
I have a hard time coming up with names for tracks or EPs on my own, so I tend to look at things that I read as an inspiration. Whenever I come across an interesting concept or something that deeply inspires me, I write it down for later use. During the time of working on my 3rd EP “The Third Wave” on Aleph Music, I was reading Toffler‘s book “The Third Wave” which – in a nutshell – is dealing with how our post-industrial society handles the rapid changes it’s going through. Toffler’s writings have also been influential with the early Detroit techno pioneers and other musicians, such as Herbie Hancock, who went as far as calling one of his albums after Toffler‘s “Future Shock”. The music comes first though and most of the time, tracktitles change until the very last minute, so the music in itself is not consciously influenced by literature. But of course, everything that we input in one way or the other determines our output – it’s just not always directly visible.
Can you tell us more about the working process behind your music? Which kind of setup do you prefer?
I experiment a lot, jamming and improvising until I hit a sweet spot. This is recorded and later distilled into easier digestible little pieces. For me, it’s important to get into a zone where I don’t think too much about what I am doing and just let the music pour out, but I still like to get back and do little improvements later on. The tools I use are not that important, as long as they don’t get in the way of the immediate manifestation of the music.
Recently you released “Offseason Traveller”, an eclectic, unpredictable, self-involving production that actually explores “offseason”, non-conventional landscapes. What can you tell us about this first album? Which kind of “story” did you want to tell through it?
I tried to tell a story of travelling into unfamiliar territory, leaving behind the well-known paths we use to travel day in, day out. It came together during a time of many changes in my life – I wrote the first sketches while I was on the road in Peru and Bolivia, but most of it was recorded back in Berlin. I tried to reflect what I experienced on the road: the freedom, the sense of adventure and carelessness, the power and beauty of nature. The history and wonder of the ancient ruins scattered all over Peru and Bolivia also left a mark on me. But the album also captures the culture shock I had after coming back to the cold and grey reality of Berlin winter. I think these kinds of emotions are something everyone can identify with – it does not have to be a 6 months trip such as I had, sometimes it’s enough to go back to work on a Monday after having had an amazing weekend out dancing to get a glimpse of the feelings that I went through. The record as a whole is not something you might “get” at the first listening – it takes some time to really open up to the listener, just as foreign landscapes and unknown cultures take some time to open up to the traveller.
Not happy with only musical travelling, you left Berlin for South America. How far has this experience had an impact on the production of this album? And from a personal point of view, what did this travel represent for you?
The travel signified an important point of change within my life. Before going on the road, I was working on music fulltime for almost two years, being able to make a living out of it. Deciding to take a break and leaving behind everything I built up was a tough decision, but something I won‘t regret. The whole trip changed my perspective on life in a lot of ways that I am still not able to fully comprehend myself. Without these experiences the record would have not been the same for sure.
The video of the track “Cambio” is an extract of “Casa Luz” a documentary that describes the cultural and political situation of Ayacucho in Perù. Considering also your experience on the field, as a volunteer, what kind of contribution can electronic music bring to cultures, populations or situations in which it is not that popular?
This is a really good question and something that I think about a lot as well. I believe the contribution can be on two sides: you can try to bring your music to these places, which I did in Ayacucho for example. We organised several events where I played to a crowd of people and most of them had never heard any of the music before, but still I was able to give them a good time, dancing the night away and forgetting everything for a while. It showed me how electronic music has the power to bring people together despite their origin, overcoming social and economic borders. Music is a language. On the other hand, you can try to raise awareness with directly issuing social topics in your artwork, videos or public communication. This is a tricky one, as electronic music is about escaping reality for a lot of people. I am not a fan of sloganism so I’d rather keep the message embedded a little bit deeper, just like in the video for “Cambio”. The video is made up of footage of the annual dance contest in Ayacucho, where I worked as a volunteer in a children‘s home during my stay. It was filmed as part of the documentary “Casa Luz”, which tells the story of this home and reflects on the tragic history of this part of Peru. But still you can enjoy the video without knowing about all of these things – these are the kind of deeper connections I am trying to make. Not laying everything out on a silver platter, but demanding some attention by the listener as well.
Changing the subject and coming back to Europe, especially in Berlin, where you live, what is your relation to this city? What do you appreciate the most about it?
Berlin offers great opportunities when it comes to culture, music and nightlife. There is a lot of good food around, you meet inspiring and interesting people from all over the world. Life is still cheap compared to other cities and there is a constant exchange. But this overflow of input can also bring you down, sometimes it’s a bit too much for me, it’s hard to stay focused. Now and then I really long for nature, being in solitude and just minding my own business.
What is your opinion about the recent copyright law GEMA?
I am not a big fan of state-sanctioned, institutionalised, bureaucratic means of governing any part of life in general, so GEMA is no exception to that. The basic concept was actually great: to share the money made with music fairly among musicians. But the way it is actually handled is a sad perversion of this initial idea. First of all the royalties that GEMA collects are not split fairly and transparently. Nobody actually knows how much seeps away in this huge bureaucratic apparatus and nobody really understands the math behind it. Secondly, the decision about who actually pays for these GEMA fees is mostly decided by the GEMA itself. It’s a joke; they have a kind of a monopoly. There are kindergartens in Germany that need to pay a fee to use children songs in their own classes! Not to mention what they have been trying to do with the recent club laws, which I am sure everybody has heard about… The whole topic just makes me mad and it is really bringing me down.
What is to be expected from Aera in the future?
I am right now working on Aleph06, which will be released late summer I hope. Apart from that, I will move to La Gomera/Canary Island this fall to concentrate 100% on working on new music and exploring new landscapes!