Con questo “Dimension D” Alejandra Del Pilar Iglesias Rivera, meglio conosciuta col nome d’arte di Dinky – non è difficile intuire il perché – approda al suo quinto, personalissimo, album, affiancata da Matthew Styles, coproduttore e tastierista per i live-act che sponsorizzeranno l’uscita del disco. Il disco uscirà a metà giugno su Visionquest, label sulla quale l’artista cilena aveva già pubblicato un EP – “Time To Lose It” –, e coi cui membri del collettivo sembra esserci una bell’intesa artistica, oltre che una sana amicizia nata e consolidatasi a Berlino, dove la cilena risiede.
La curiosità di ascoltare questo lavoro che aspettavo da un pò, fomentata anche dal singolo “Falling Angels”, era davvero tanta; sapevo che Alejandra stava lavorando arduamente per migliorare le capacità canore e approfondire lo studio di alcuni strumenti (soprattutto chitarra e piano), per cui, c’era da aspettarselo che nella “Dimensione D” l’artista cilena avrebbe dato maggior peso al song-writing e alla complessità delle linee melodiche. Ebbene, questo duro lavoro durato tre anni è stato pienamente ripagato; l’evoluzione, però, è stata così radicale da andare oltre ogni mia aspettativa, ancorate da un’identità sonora che aveva abituato a tracce meno strutturate, relativamente semplici, costruite su loop minimali contornati da noise e microsuoni sparsi qua e là. E non che quel sound mi sia dispiaciuto, o mi dispiaccia, anzi, a dir la verità ancora oggi mi lascio influenzare volentieri da quel minimalismo musicale che ha visto il suo bagliore in tempi non troppo lontani. Qui, però, il punto è che pur dando il giusto valore ai dischi che le hanno permesso di affermarsi sulla scena della musica elettronica (dagli Horizontal al Cocoon ai Vakant, fino ai più recenti su Crosstown Rebels e sulla stessa Visionquest), l’abisso tra i due mondi sonori, tra i due modi di fare/approcciare la musica, non è più ridimensionabile. E posso ipotizzare che a questo stadio di maturazione artistica, dietrofront non siano più consentiti: guardare indietro sarebbe come lasciarsi andare a una regressione, mentre invece è sorprendente constatare quanto alla “nuova” Dinky abbia giovato questo cambiamento nelle idee e nella parte pratica di realizzazione dei brani: la struttura delle tracce, la composizione melodica, i testi, le sonorità, si nota un vigore nuovo dato dalla consapevolezza di poter sfruttare appieno capacità che, fino a questo momento, neanche la stessa Dinky immaginava di poter migliorare così tanto. Ecco uno stralcio dell’intervista, letta su Point Blank’s Daily Magazine, ad Alejandra e a Matthew Styles: “I was always told I had a good tone but I always thought, of course I don’t like my voice and no one likes their voice, but I was told, ‘You have a good voice, you have to sing,’ but I tried it a few times and I said…there’s a big difference of really singing and just singing along something so I thought no, I’m not really able to sing how I hear other people singing. No, I’m never going to do it. After I went to classes and that’s how I got trained and…”
Bè, sembra che ogni dubbio sia, ora, diradato. E la voce dell’artista cilena, che un pò ricorda Beth Gibbons, scantona da quel parlato monotono delle tracce precedenti per finire con l’assumere una tastiera di tonalità alquanto varie. Tracce come “Witches” e “Measures” diventano il palco perfetto per esibire le nuove, sviluppate, attitudini. Tanta voce, ma non solo; in “Dimension D” anche la parte strumentale e l’intera libreria di suoni subiscono una significativa revisione. La chitarra è lo strumento prediletto nel disco, per cui, dopo l’iniziale meraviglia, non stupitevi troppo per le incantevoli sonorità baleariche, amplificate dai larghi e diffusi echi in stile Cocteau Twins, ben accompagnate da un mix di congas, bonghi e altre percussioni – presenti a sostenere la radice sonora latino-americana. “La Noche” riflette bene la fusione tra gli elementi sopra descritti, riuscendo a comunicare una malinconia pervadente, che ricorre nelle ultime tre tracce del disco, “I Saw”, la già citata “Measures” e la traccia di chiusura, “Xenox”.
Non credo di dover aggiungere che, per me, quest’album merita. Ritmato, divertente e dal tatto qualitativo medio molto alto. L’esperimento è riuscito. Ora bisognerà vedere su che via, l’artista cilena, vorrà continuare, e derivarne cosa potremmo aspettarci in futuro. Attualmente, una pausa relativa dalla produzione è più che meritata, visto che sia lei che Matthew, si stanno muovendo molto per portare, coi live show, questo lavoro in giro per i club.