Siamo stati a Parigi, in occasione del Weather Festival, per raccontarvi un evento in una città solitamente fuori dalle rotte classiche del clubbing moderno. Lo abbiamo fatto grazie a Sergio Montagna e Dimitri Quintini, che si sono divisi equamente tra i vari eventi, non incontrandosi mai. Il risultato è un report scritto a quattro mani che copre perfettamente la tre giorni parigina.
Il Weather Festival, fin da quando è uscita la line up mi ha molto incuriosito, infatti non si capisce il motivo per cui una città di tale importanza abbia così poca visibilità nonostante sforni grandi talenti, locali di tutto rispetto e un bacino di utenza potenzialmente immenso. Era perciò il momento di dotare anche Parigi di un festival che parlasse techno e house… risultato, il Weather Festival. Per essere alla sua prima edizione le premesse parlano chiaro, suonano di evento speciale: 3 giorni, che a dir la verità saranno poi di più, considerato l’inizio il venerdì alle 18 e la fine ad un orario non ben precisato del lunedì; location suggestive come la Machine du Moulin Rouge, il battello (messo a nuovo) del Concrete e uno spazio enorme come quello offerto dal Palais des Congrès de Montreuil. Il tutto a contorno di una line up enorme: si va dai giovani talenti inglesi come Ben UFO (in b2b con Tama Sumo) e Blawan, a fuoriclasse affermati da tempo come Theo Parrish e Kerri Chandler; si passa dalle violente scosse provenienti dal Berghain con Dettmann, DVS1 e Len Faki alle ritmiche più esotiche rappresentate dal South African All Star, passando per una foltissima rappresentativa francese (Point G, Phil Weeks, tra gli altri). Una line up non certo verticale che però permetteva di ascoltare, in un colpo solo, il sound delle città cardine per l’elettronica: Detroit, Londra, Berlino, Chicago, New York. Tutte degnamente rappresentate insieme a molti francesi e un sacco di nomi famosi a prescindere, che potreste ascoltare anche in Italia, ma in un contesto come quello parigino potevano magari nascondere sorprese inaspettate. E poi, male che vada, è sempre una delle città più belle del mondo perciò si cascava sempre in piedi.
Il venerdì iniziamo subito con i fuochi d’articio al Machine du Moulin Rouge, spazio gigantesco diviso su tre sale attiguo al famoso locale di Montmartre. Un gran locale con un bel impianto e una bella situazione (e i prezzi del bancone un pò alti). Non faccio in tempo a sentire il live di Kassem Mosse perché arrivo negli ultimi 15 minuti, ma in orario per il set seguente: il b2b di Ben Ufo e Tama Sumo.
Ci sarebbe da aprire una discussione sul concetto di backtoback, sul fatto che se i due non si conoscono o non hanno affiatamento in consolle ne deriva quasi sempre qualcosa di incompleto, non strutturato, binari che non viaggiano insieme. Ai due succede proprio questo, bei dischi però ancorati troppo nel loro stile: più garage l’inglese, più techno la tedesca. Non si intersecano, i sound si parlano poco e il risultato ne risente (anche se abbiamo preferito la Sumo). Anche la pista infatti non pare scatenarsi troppo in questo connubio Berlino-Londra, decisamente meglio da soli. Dopo di loro Blawan, che parte subito a razzo per risollevare una pista un pò addormentata, ma con troppa furbizia. Subito alto con i bpm, troppo dritto e prevedibile: alla lunga risulta forse un pò noioso, mi aspettavo molto di più da lui. Sono però arrivate le 6 e ci congediamo dal venerdì parigino.
Con queste premesse ci presentiamo verso le 15 all’ingresso del main event che ha luogo al Palais de Congress di Montreuil,situato nella periferia ad est di Parigi ma comodamente accessibile con la metro. La scelta di questa location offre subito uno spunto di riflessione interessante: indipendentemente dal fatto che sia stata voluta o dovuta, la decisione di porre in essere un evento di questa portata (sui generis per Parigi) in un luogo non convenzionale, fuori dal circuito dei soliti club, merita un plauso: si riconquistano spazi, strutture, si democratizza e rende più accessibile a molti lo spirito della musica elettronica. Detto questo si entra: delle due sale, una più marcatamente techno l’altra dedicata a bpm più lenti, la prima è, per il momento, una scelta obbligatoria: gli oltre 50 kw di Funktion One, avvinghiati come serpenti tentatori sulle colonne portanti della struttura e la lunga chioma bionda che si dimena alla consolle trasportano la folla crescente per le rimanenti 2 ore. Marcel Dettmann svolge egregiamente il suo lavoro trascinando il pubblico con un set solido, ipnotico, non troppo esplosivo, dimostrando la sua abilità anche nell’adattarsi alla situazione (sono le 4 di pomeriggio e si va avanti fino alle 6 del mattino).
Successivamente è il turno di due eroi locali, stiamo parlando di Paul Ritch che propone il suo live set, e Dj Deep, patron della Deeply Rotated House: quest’ultimo protagonista di un dj set davvero formidabile. che mi fa quasi piangere nel finale mettendo No Ufo’s. Era parecchio tempo che non partecipavo a un rito techno collettivo di questa forza, con le colonne gigantesche di Funktion One, la condensa e il sudore a farla da padrone (il pacchetto di sigarette mi si è sbriciolato in tasca) e chiaramente è stato potentissimo emotivamente.
Quando sono le 20, il clima è ormai tropicale e le code per bagni e bevande acquistano dimensioni importanti, fa il suo ingresso Robert Hood: caldo, sete, fatica scompaiono; il suo set è un’ora travolgente (anche se in cartello doveva essere live), si guarda al passato, presente e futuro, senza tregua fino a “Confess”, quasi a svelare il lato umano di quella che fino a quel momento è stata una vera e propria macchina. Il potente set di Robert Hood, risulta forse poco adatto alla location fieristica e quindi appare poco, sicuramente da risentire in un club. Al piano superiore, dedicato a sonorità più house, ma dove in realtà ad accoglierci troviamo una Nina Kraviz, in gran forma che avrebbe potuto tranquillamente ritagliarsi posto anche al piano inferiore; decisamente un set robusto che movimenta la folla e non lascia dubbi circa le sue qualità da dj. Il re della serata però rimarrà DVS1 (il quale nel pomeriggio è stato protagonista di una lezione di djing riservata alle giovani leve) che, capendo in pieno la situazione, tira fuori 3 ore di techno imperiosa, marziale che spazia da Carola, dei vecchi fasti di Zenit, fino alla dub granitica attuale. La pista impazzisce, le mie orecchie godono, salta l’impianto ma non importa, si ricomincia e si va sui ritmi da crociera per la pista oramai gremita: splendido.
Dopo di lui il diluvio: Polar Inertia imbarazzanti e Zip, al piano di sopra, che passa i primi 30 minuti a fare un togli cassa-metti cassa stucchevole. Sono sudato marcio, cinque ore che sono sembrate dieci e francamente sono un pò stanco del contorno. Parlo di alcune sottovalutazioni iniziali, tante piccole pecche, forse causate dall’esordio, che però minano i momenti di relax e di transizione: alle 19 il guardaroba era pieno (il festival durava da mezzogiorno alle sei del mattino), troppe poche casse rispetto al numero totale di partecipanti e quindi file chilometriche per acquistare i token necessari per bere, stessa cosa per i bagni. Oltre alla coda fatta per entrare, totalmente all’aperto e sotto una pioggia battente che mi ha zuppato per bene i vestiti e permesso di testare la maleducazioni di molti parigini, dalle abitudini un pò troppo italiche nel passare avanti alle persone. La coda è dovuta a una gestione un pò lenta delle perquisizioni, nonostante tutti avessimo i biglietti sono stati valutati male gli orari di afflusso e nel mentre piove a dirotto. Si può fare meglio (compreso farmi pagare meno di 5€ per una bottiglia d’acqua e 8 per una birra) e lo faranno perché chi organizza non è un dilettante e comunque si vede anche quello.
La domenica, all’interno del Weather svolge un ruolo diverso rispetto al main event ma altrettanto fondamentale: diciamo che la chiamata alle armi di Montreuil potrebbe rappresentare un modo per contarsi, per creare anche a Parigi un tipico evento-maratona che sappia radunare migliaia di persone (le quali possano identificarsi, musicalmente parlando, in esso); il giorno seguente, con i suoi 3 after party, offre invece la possibilità di scoprire realtà più intime e tipiche del clubbing parigino oltre che di godere di una proposta musicale, di altissimo livello. Ardua scelta (anche se sono le scelte più belle da prendere): si trattava di decidere se ballare house tutto il giorno sopra una chiatta parcheggiata sulla Senna (con protagonisti tra gli altri Floorplan, Joe Claussel, Culoe de Song etc…) o immergersi in sonorità più techno, in ambienti più industriali in compagnia di Silent Servant, Mike Dehnert, Grego G e altri; la terza possibilità era rappresentata dallo Showcase L.I.E.S, label newyorkese le cui produzioni recentemente riempiono le mie giornate: è lei la prescelta. La sveglia alle 6 è tragica, la colazione a base di Kronenbourg mi ricorda che è tutto per una buona ragione ma giunto dinanzi al locale trovo ad aspettarmi due anziani signori i quali elegantemente mi informano del cambio di location. Parentesi: non è stato l’unico caso anche un altro after party (e relativo closing party della domenica sera) in programma ha DOVUTO spostarsi per problemi con le autorità la qual cosa mi ricorda tanto problemi nostrani legati alla riluttanza da parte delle autorità di sostenere certi tipi di eventi legati alla musica elettronica. Rispedito dai due gentleman al Palais des Congrès mi ritrovo davanti ad una folta schiera di operai intenti a smontare e ripulire ma, a salvarmi dalla perplessità crescente è un giovane dell’organizzazione il quale mi indica un ascensore ed un piano: il terzo, l’ultimo. Varcata la porta d’ingresso eccomi in una sorta di loft, piuttosto grande, pareti rosse, due sorelle Funktion One, una consolle da brividi, non più di 50 persone. Intuisco che sarà una mattinata speciale. A fare da introduttore nell’universo L.I.E.S è ovviamente la sua mente Ron Morelli che regala una vera e propria lezione, giocando con le più disparate e inusuali sonorità sfoderando tracce da brividi e perlopiù sconosciute. Successivamente è il turno di Delroy Edwards, giovane produttore e promotore di quella che troviamo definita come Ghetto House: l’atmosfera è magica, il party si sviluppa su bpm più alti, battiti più regolari e suoni più acidi, pubblico e djs (precedenti e successivi) sono un tutt’uno. Durante la performance, ho la fortuna di parlare con un simpatico ragazzo biondo, che rivelatosi essere Steve Summer mi mette in guardia su quello che dovrò aspettarmi dall’artista successivo: si tratta di colui il quale, in quel momento, seguiva con reverenza il dj set del suo giovane collega, a 5 cm dallo speaker, Traxx. Pochi secondi bastano a comprendere le ragioni di un tale avvertimento: la tecnica, la passione con cui prende per mano il pubblico e lo trasporta in un’altra dimensione, un groove in costante crescita, non ci sono generi, definizioni, classificazioni, c’è solo un messaggio che suona forte e chiaro: balla.
Nel pomeriggio tocca al Concrete. Un pranzo troppo lungo mi fa perdere il live di Floorplan previsto per le 15 ed entro mentre Chandler ha già messo qualche disco nella pista interna. Si nota subito come questa chiatta ancorata sulla Senna sia una delle case della techno a Parigi: il soffitto è alto poco più di due metri e accanto alla consolle (e a metà della pista) fanno bella mostra di sé due colonne di Funktion One. Il dj newyorkese risulta concreto come sempre, molto cantato (anche visto l’orario) e funky nella prima parte, a salire nella seconda verso una house più potente ma sempre nello stile Chandler dove cariche di drum machine e cantati non mancano mai, molto meglio rispetto all’ultima volta che l’ho sentito a Milano.
Dopo di lui sta al re dell’incognita, colui che potrebbe suonare qualsiasi cosa: Mr. Theo Parrish. Si danno il cambio su Strings of Life e tutto potrebbe prendere una bella piega se Parrish non decidesse di restare fedele al copione e di portare tutti in un viaggio tra funky, psichedelia alla Parliament e afrobeat, provando anche a sfondarci i timpani mentre gioca un pò troppo con gli alti (se andate al Concrete sono comunque consigliabili i tappi). Nonostante sia un grande fan di tutto quello che il buon Parrish ha passato sui piatti e il suo stile finisca spesso nel mio iPod, non capisco che senso abbia avuto mettere il live di Floorplan alle 15 e successivamente Chandler, per poi chiudere con Parrish. Non era forse meglio far suonare Parrish tutto il pomeriggio e a seguire Chandler e Hood? Non faccio il promoter ma forse sarebbero stati tutti più adeguati nei vari momenti della pista. Salgo perciò a farmi un giretto nel party dove un Joe Clausell sta dando vita a un party affollatissimo, fisico e al tempo stesso tutto cuore e felicità: percussioni serrate, jazz, disco, funky. Apprezziamo tutti, io ne apprezzo particolarmente il clima perché ne vorrei vedere di più di party così “partecipati”, come d’altronde Body & Soul insegnano. Fino alle 22, quando il party di Claussell finisce e io mi avvio verso casa e concludendo una domenica dedita alle radici dell’house music. Con il Concrete chiudiamo il weekend, tra luci e ombre come Parigi stessa.
Il Weather festival, un evento su cui non possiamo che esprimere un giudizio positivo. Non è stato tutto perfetto, il calore, le code, i cambi di location sono elementi che andranno evitati e su cui si dovrà riflettere per migliorare una creatura che comunque alla prima edizione ha regalato molte soddisfazioni. Se l’obiettivo era quello di riportare a Parigi un evento di musica elettronica al pari dei maggiori compagni europei,si può dire sia stato centrato e il gap per arrivare a essere tra i top può essere facilmente colmato. Soprattutto per quel che riguarda l’organizzazione degli spazi al sabato e alcune finezze da tenere di conto che vi abbiamo documentato. Non credo sarà mai un festival con musica d’avanguardia perché vuole essere una sintesi tra massa che vuole solo ballare e appassionati. Quello che è certo è che il connubio club+festival, già ampiamente sperimentato in altri parti d’Europa, funziona benissimo perché lascia ampi margine di scelta al clubber, tramite un’offerta strutturata che riempie ampiamente il weekend e non si limita a spazi giganti e tante sale in un solo giorno.
Merci Paris, à très bientôt…
A cura di Dimitri Quintini e Sergio Montagna.