Pare proprio che il colore della prossima stagione sarà il magenta. Non parlo di accessori e swimwear presentati all’ultima settimana della moda meneghina, ma dell’ultimo album di Giuseppe Ottaviani, pronto a dipingere a tinte forti l’estate dei trancers, dagli States ad Ibiza.
Le aspettative erano alte e l’attesa, tra i membri della “trancefamily” internazionale era palpabile già dalle settimane precedenti la data di uscita, stimolata dagli assaggi pubblicati da Beppe sul suo canale Youtube. Poi arriva il fatidico 27 maggio, posso finalmente evadere il pre-ordine su iTunes e gustarmi questo capolavoro di Pure Trance Made in Italy. Quindici tracce, una lista di featuring che se i Daft Punk facessero trance avrebbero fatto fatica ad eguagliare, un crescendo di energia e coinvolgimento emotivo, e uno stile che mette tutti d’accordo.
Il concept dell’album è quello di collegare musica e colori, attraverso il significato di questi ultimi: su tutti, appunto, il magenta, che, citando l’autore “rappresenta l’amore universale nella sua massima espressione”. Come dargli torto? Magenta è emozione genuina, come solo la trance di qualità è in grado di essere. L’obiettivo di veicolare un messaggio di positività è pienamente centrato: pezzi come “Waterpark” o “Brilliant People” riescono a stamparmi in faccia un sorriso che mi dura per tutta la giornata, e si trovano perfettamente a loro agio anche in mezzo ai cantati sognanti e malinconici di “Gave Me”, “Waiting On Someday” e “Love Will Bring It All Around”, e ad energiche bombe da club come “Cold Flame” o “Feel The Music” – in quest’ultima, l’immancabile climax di 303 riporta la mente indietro di tre lustri, confermando che per andare avanti, bisogna guardare anche indietro, anche solo con la coda dell’occhio
Termino l’ascolto con la title track “Magenta”, immaginandomela suonata come ultima traccia di un set, magari ad un festival, nel tipico momento in cui ci si abbraccia tra sconosciuti, e mi sento in dovere di ringraziare Beppe per l’ora e venti che mi ha appena fatto passare, in cui non mi sono alzato dalla scrivania, ma con la mente sono stato un po’ ovunque.