Benjamine Stanford, in arte Dub Fx, è uno degli artisti più completi al mondo. E’ un beatboxer, un mc, un musicista e produttore di qualità eccelse, oltre che un ottimo intrattenitore. Le sue ritmiche e le sue rime hanno colpito l’attenzione di milioni di passanti per strada, da dove ha iniziato la sua sorprendente carriera live. Alla vigilia del tour italiano che toccherà Milano, Roma, Bologna e Firenze a fine giugno, Dub Fx ci parla degli amici italiani, del nuovo live con Cade e del suo nuovo misterioso album, “Theory Of Harmony”.
Come è stato il tuo ingresso nel mondo della musica? Le tue bio raccontano di un passato in una band che si chiamava Twitch. Che genere facevate?
Io e Cade, il mio manager, abbiamo iniziato a far musica insieme da quando avevamo 15 anni. Ci siamo conosciuti a scuola e all’inizio facevamo punk rock stile Offspring, Blink 182. Poi abbiamo continuato con heavy metal e rock. Erano anni di sperimentazione, e giorno dopo giorno i nostri ascolti diventavano sempre più heavy: impazzivamo per il sound dei Rage Against the Machine, dei Korn, dei Limp Bizkit, e la nostra musica seguiva i nostri gusti. Stavamo diventando sempre più duri. Nel frattempo io suonavo con altri gruppi; spesso con dei musicisti jazz, con i quali ho sviluppato un lato più soul, reggae; con altri ragazzi ancora facevo funk ed hip hop. E poi accompagnavo i dj nei club facendo l’mc, cantavo e rappavo su basi house e breakbeat. Dai 17 ai 25 anni ho cercato di immergermi il più possibile nella scena musicale di Melbourne, avevo una grandissima voglia di fare esperienza.
Poi hai deciso di trasferirti in Europa. Pare che molti ragazzi italiani stiano fuggendo dall’Italia per andare a vivere in Australia. Tu hai fatto il contrario. C’è un consiglio che vorresti dare a questi ragazzi?
Esatto, è vero. Io sono partito a 25 anni per l’Europa, e sono finito a Lucca, in Italia. Cercavo un’etichetta che potesse produrmi, avevo voglia di cambiare scena perché quella di Melbourne, ma in generale quella australiana, non mi bastavano più. Ai ragazzi italiani dico solo questo: quando parti e vai da qualche parte, qualunque sia il posto che scegli, ti reinventi e diventi flessibile. Per un musicista rimanere a lavorare nel posto in cui è cresciuto nasconde un rischio: conoscendo già gran parte della musica e dei musicisti che ci sono in giro, può succedere di adagiarsi su certi canoni. Quando invece vai in un posto nuovo, con nuova gente, e per loro tu rappresenti una novità, tutti vogliono conoscerti. Se metti grande passione nella tua arte e sei veramente bravo, c’è gente che ti propone progetti di continuo. E da lì partono delle collaborazioni, perché sei nuovo. Gli italiani che stanno venendo in Australia stanno facendo quello che ho fatto io, in fondo. D’altronde non stiamo parlando di paesi in cui drum&bass e dubstep hanno mai avuto un grosso seguito, quindi nel mio caso, appena arrivato in Italia ero veramente una novità quasi assoluta. Però devo ammettere che nulla di tutto quello che ho fatto fino ad oggi sarebbe successo se non fossi andato in Inghilterra. Lì ho cambiato totalmente prospettiva.
Cosa è per te il beatbox e quando hai iniziato a praticarlo?
Ho iniziato a 16-17 anni a scuola. Molti ragazzi avevano la fissa di fare freestyle e serviva qualcuno che facesse la base. Nelle pause tra le lezioni facevo dei beat schifosissimi di cui mi vergogno ancora. Poi ho continuato perché, una volta partito da solo per l’Europa, avevo bisogno di una base per i miei live. Non avrei mai fatto unicamente beatbox. Per me in effetti ascoltare uno che fa beatbox è divertente solo per pochi minuti. Poi rischi di annoiarti. Diciamo che è una tecnica che devi usare come uno strumento, e per me, che non avevo una band con cui andare in giro a suonare per strada, era lo strumento perfetto.
C’è un live per strada che non dimenticherai mai? Perché?
In strada succedono milioni di cose e tutte le volte è un’emozione incredibile. La cosa che mi colpisce più di tutte però è che in molte street session si fermano a guardarmi molti più bambini e persone anziane che ragazzi interessati all’underground. È fantastico, è una dimensione che mi fa raggiungere gente che non avrei mai nemmeno pensato si potesse interessare alla mia musica.
La tua fama è letteralmente esplosa quando il regista inglese Ben Dowden ha registrato la perfomance di “Love Someone” e l’ha postata sul suo canale di YouTube dove ha superato oltre 17 milioni di visite. Come pensi che sarebbe andata la tua carriera senza l’aiuto che ti ha dato internet per il tuo successo?
Prima di quel video io avevo già quattro anni di concerti per strada alle spalle. Il risultato di quei quattro anni è quel video lì. Però devo dire che stavo già benissimo ed ero molto contento di come stava andando. Ogni giorno vendevo 100 dischi a 10 euro. Non volevo diventare più famoso, ero soddisfatto. Dopo la comparsa del video di “Love Someone” ho ricevuto richieste dalla Russia, dall’India. Dei posti in cui non ero nemmeno mai stato, e allora ho capito realmente la potenza di questa cosa.
Cosa significa esattamente il tuo logo?
Ha diversi significati in realtà. Ho voluto qualcosa che simbolizzasse l’eternità, un eterno loop. Sono tre simboli che si uniscono, e rappresentano le tre tracce delle mie performance live: una traccia per il basso, una per la batteria e un’altra per le armonie. In più, se lo guardi per bene, noterai che quei tre simboli sembrano una D, una U e una B:Dub.
Il mese scorso è andata in onda su dubfx.net la prima puntata di Knock Knock, uno show interattivo che vede come protagonisti te, Flower Fairy e Cade. Ci vuoi spiegare meglio di cosa si tratta?
Era molto tempo che volevo fare una cosa del genere. Si tratta di un live show in streaming sul web, durante il quale c’è un pieno coinvolgimento degli utenti che lo guardano. Si può richiedere delle canzoni, porre dei quesiti, rispondere alle nostre domande, commentare e condividere. Knock Knock però non è un progetto nostro. La produzione è originaria di Melbourne, e noi siamo stati gli ospiti della prima puntata della serie, che vedrà la presenza di un artista diverso per ogni show. É stata una sorta di esperimento, e visto che abbiamo raggiunto 4000 visualizzazioni in diretta, abbiamo deciso di continuare il format su dubfx.net con una webtv del tutto nostra.
Non posso non chiederti nulla sulla collaborazione con Numa Crew, un gruppo di musicisti italiani che fa base a Firenze, dei veri e propri pionieri della dubstep nel nostro paese, che hanno prodotto per la tua label Convoy Unltd, l’EP Zero Point Orbital Bass. Come è nato il progetto e cosa ti ha colpito di questi ragazzi?
Questi ragazzi sono bravissimi, anzi strabravissimi. Fanno un genere che in Italia è inedito, con un gusto veramente incredibile. Ci siamo incontrati in occasione di un tour che abbiamo fatto insieme in Romania e ci siamo subito piaciuti a vicenda, ripromettendoci di fare qualcosa in studio. Abbiamo utilizzato Convoy Unltd, che più che un’etichetta è un mezzo per lanciare nuovi artisti di talento, e il risultato è stato veramente ottimo. La roba che fanno è veramente unica.
A fine Giugno arrivi in Italia grazie a Decibel Eventi con un tour di 4 date che toccherà Milano, Roma, Bologna e Firenze. In particolare ti esibirai il 26 giugno all’Anfiteatro Romano di Fiesole, una location d’eccezione. Il teatro fu costruito da Silla, abbellito da Claudio. Cosa significa per te suonare in un posto del genere, quando qualche anno fa, non ancora famoso, fosti cacciato via dalle strade del centro di Firenze, dove stavi suonando?
E’ un traguardo incredibile, mi da una grande soddisfazione. Sono partito dal basso, dalla strada. E tutto quello che ho adesso, l’ho costruito da lì. Per me suonare in posti magici come questo mi da ispirazione per fare cose nuove.
Questo è il primo tour in cui non sei con Flower Fairy, la tua ragazza. Che live sarà per te senza di lei?
Beh, senza di lei lo show cambia moltissimo. Flower quando sale sul palco da tanto colore alla mia musica, crea un romanticismo quasi ipnotico. Il live con Cade sarà molto più energico, più scuro e potente. Da un certo punto di vista sono convinto che sarà un gran tour, più street, pieno di scambi. Sono entusiasta che Cade abbia più spazio per esprimersi, è un grande amico e un gran musicista ed è sempre stato al mio fianco, anche se fino ad oggi ha preferito non oltrepassare il backstage.
Ci dai qualche anticipazione sul nuovo album?
E’ in fase di completamento, direi all’85%. Si chiamerà “Theory of Harmony”, perché esplorerà la teoria dell’armonia dell’universo. É una profonda analisi delle leggi che regolano l’armonia della musica, della vita, dell’anima. L’armonia è tutto per me, e cerco di dimostrarlo tutti i giorni anche sul palco, collaborando con le persone per cui nutro più stima in assoluto.