Molte volte mi sono posta la seguente domanda: “La conoscenza del passato, in musica, ci limita o ci è d’aiuto?”. Dopo aver ascoltato vari pareri sono giunta alla conclusione che il vero fascino della musica è proprio quello di restare in bilico tra passato e futuro. Questo tema è venuto fuori nella vivace chiacchierata con il duo formato da Speedy J e Lucy, rispettivamente Jochem Paap e Luca Mortellaro. Il passato è sempre presente nel lavoro di un produttore sostiene Jochem, è intrinseco e partecipe all’intima composizione di una traccia, in quanto, il bagaglio e l’educazione musicale sono presenti in tutto ma visibili da nessuna parte. “Zeitgeber” è il nome del progetto nato dalla spontaneità di questi due produttori attivi da tempo sulla scena elettronica/techno europea. Spontaneo perché nato dal libero impulso, senza che vi siano state costrizioni, imposizioni o sollecitazioni da parte di altri. Nasce senza aspettative, dal loro animo seguendo l’assenza di direzione dettata dall’istinto. Insieme hanno raggiunto una completa sinergia: non si tratta del risultato di un lavoro tra maestro e allievo ma presenta una fusione degli stili dei due produttori al fine di compiere lo stesso scopo, cioè quello di fare musica. Perché non è tanto quello che fai, ma come lo fai; devi avere un pò di intuizione giusta al momento giusto certo e il coraggio di buttarti ovviamente perché il coraggio ci vuole sempre.
In quale circostanza vi siete conosciuti? In seguito, cosa vi ha spinto a iniziare questo percorso insieme?
J: Certamente, ci conoscevamo prima di esserci incontrati, attraverso i nostri dischi etc. e poi, a un certo punto, circa due anni fa ho invitato Lucy ad esibirsi per uno dei nostri eventi ad Amsterdam (Electric Deluxe, ndr) e alcune volte chiedo alle persone ospiti ai nostri eventi di venire un pò prima o di stare qualche giorno in più così per una chiacchierata o fare qualcosa in studio. Questa volta, Lucy si è fermato alcuni giorni in più, quindi, siamo andati in studio senza aspettative solo per vedere cosa sarebbe successo e dopo alcune ore, durante la sessione, abbiamo realizzato che avevamo una buona creatività, dunque, essenzialmente, abbiamo fatto buona parte del lavoro in questi primi due giorni. Abbiamo deciso di non fare solo una o due tracce perché il lavoro andava alla grande e quindi abbiamo proposto di incontrarci ancora poco dopo e continuare con la stesura di nuove tracce. Tutto è avvenuto in maniera davvero spontanea e veloce. Questa è sostanzialmente la storia.
L: Sì, è così!
Svelateci il perché della scelta della parola tedesca “Zeitgeber” per definire la vostra collaborazione? C’è dietro una particolare visione?
L: Devo dire che è colpa mia. Solitamente a Jochem non piace scegliere titoli. Ma quando stavo pensando di proporre qualcosa che potesse andare bene con il progetto e lo stato d’animo in cui eravamo durante le sessioni in studio, casualmente, stavo leggendo alcuni saggi su questo concept “Zeitgeber”, che è un’idea usata principalmente in biologia e anche se è una parola tedesca è attualmente usata nel mondo accademico internazionale. Quando ho letto di cosa si trattava – prima di tutto il nome mi suonava bene all’orecchio – andai in profondità nel concetto e fu veramente interessante perché questi “Zeitgeber” sono tutti quegli elementi che aiutano i cicli naturali a relazionarsi tra luce e ombra, notte e giorno. Fu interessante, per me, applicare questo tipo di concetto, il quale è il nome del progetto e non il titolo dell’album, al modo in cui stavamo facendo musica, che fu veramente sinergico tra me e lui. Fu come se non ci fossero completamente aspettative, niente pianificazioni e il risultato è in tal caso molto sperimentale.
L’album Zeitgeber, abbandona le costrizioni abituali della techno tradizionale per un approccio più libero. 8 tracce precedute dall’EP “Body Out Body In” che offre i frutti di 18 mesi di intenso lavoro. Com’è stato lavorare insieme? Si è creata una buona alchimia?
L: Come dice Jochem è stato molto istintivo. Quando mi ha invitato, fin dal primo giorno ci siamo trovati bene in studio insieme, le cose tornavano facilmente. L’associazione tra idee e ciò che stava succedendo riguardo il suono fu molto libera quindi sì, c’era una buona alchimia e, a un certo punto, abbiamo deciso di non fermarci e di strutturare le tracce in un vero e proprio album. 18 mesi di lavoro è il tempo totale che abbiamo passato su di esso. Ciò significa che per il fatto che viviamo in due città diverse, io vivo a Berlino, Jochem a Rotterdam, ci incontravamo non molto spesso. Quando accadeva, però, le sessioni erano molto intense. Sostanzialmente abbiamo passato più tempo nel lavoro di post-produzione e nel progetto di design, che nella produzione stessa dell’album che penso sia stata molto rapida e immediata.
J: Le idee base per le tracce presero non più di una settimana in studio insieme ma, come dice Luca, abbiamo trascorso dopo un pò più tempo per mixarlo e decidere sulle altre cose, l’intera pianificazione per la pubblicazione per esempio. Non è che fondamentalmente abbiamo passato 18 mesi in studio. E’ stato veramente corto e intenso il tempo, dalla prima volta che ci siamo incontrati, al rilascio. Comunque non avevamo davvero un piano e, qualche volta, se metti persone insieme in studio, sembra bello teoricamente sulla carta ma, in pratica, c’è una moltitudine di cortesie dietro. Tra Luca e me fu l’opposto, non ci conoscevamo personalmente ma, bene, musicalmente, abbiamo avuto una connessione immediata quindi c’era più sostanza nelle cose. Tutto è venuto fuori rapidamente. Non abbiamo avuto nessun tipo di problema con le nostre idee perché tutto è capitato più velocemente del solito. È sempre una sorpresa quando viene fuori una collaborazione e in questo caso è stata veramente produttiva.
L: Sì, perché diciamo, non eravamo amici prima e ciò ha reso il primo incontro di persona propriamente strano anche per me perché, era la prima volta che facevo una collaborazione con qualcuno che non era un amico o conoscente. È davvero forte quando vedi questo tipo di sorprese venire fuori e non sai cosa aspettarti e quando il risultato è buono, sei pienamente soddisfatto.
Il vostro lavoro vi vede nell’esplorazione di nuovi territori musicali. In cosa consiste la vostra ricerca e sperimentazione verso l’innovazione? È solo sound design ciò che sentiamo?
J: In termini di esplorazione non è qualcosa che abbiamo posto come condizione a questo progetto, non è qualcosa che abbiamo programmato di fare è solamente il risultato di non avere propositi. Al momento in cui lavoravamo insieme entrambi i nostri interessi e stati d’animo erano in varie direzioni, non pensavamo a niente di specifico. Generalmente la faccenda è questa: se cominci a lavorare in studio e hai un’idea precostituita o un piano, il lavoro tende a essere più direzionale ma, alcune volte, è anche utile in una maniera NON direzionale, quindi freghiamocene della strumentazione e delle ideologie e andiamo dove la musica ci porta. Penso che in questo caso abbiamo seguito questo percorso, entrambi abbiamo scritto ognuno ugual parti. Luca ha usato alcune delle sue tecniche e io ho usato alcune delle mie ed entrambi abbiamo richiamato le nostre idee. E’ stata la mancanza di direzione che ha dettato questo progetto invece di ogni altro mood esplorativo.
L: Vorrei aggiungere qualcosa. La parola “sound design” è una parola impropriamente usata recentemente. Molte volte ho sentito di questo progetto e anche in generale sulla mia produzione definita come sound designer. In un’ottica obiettiva, nel progetto Zeitgeber, c’è una componente molto sperimentale ma non vuol dire che è relazionata al sound design. È Il modo in cui, costituzionalmente, abbiamo lavorato sui suoni. Se la metti su questo piano è sempre sound design allora, anche quando facciamo qualcosa per il dancefloor. Sound design è parte della nostra corrente produttiva è dentro qualsiasi cosa facciamo ma penso che questo progetto non sia un esercizio di stile nel senso della tua domanda. Non è: “Dai Jochem, facciamo vedere alle persone quanto siamo bravi in fare cose rapide”. È molto personale e per me è anche un “poema personale che abbiamo scritto a quattro mani”. Ha un grande valore. Assolutamente non è un esercizio di stile o masturbazione mentale del design sonoro.
J: Se lavori con musica elettronica astratta senza parti vocali. Il sound design è sempre parte della musica. Abbiamo lasciato che l’atmosfera della musica prendesse le tracce e le trasformasse. È un progetto di mood design direi.
L: Esatto, sono pienamente d’accordo.
Sono presenti anche influenze o richiami del passato? Se sì, quali?
J: Sì, certo, penso che in qualsiasi cosa tu faccia, quando è una sorta di progetto o collaborazione, tutti coloro che fanno musica hanno sempre il loro bagaglio musicale, passato e educazione. Ancora, come abbiamo già detto, non abbiamo avuto programmi, sono sicuro che le influenze musicali della nostra storia sono là da qualche parte ma non sono ben definite. Per di più, personalmente nel mio caso, non sono molto influenzato da altra musica. Sono per lo più condizionato da cose non musicali come altre discipline come i film, o l’arte, o la natura. Tutti giocano la loro parte nel risultato finale. Penso, che in questo caso, non abbiamo discusso di alcune influenze musicali. Non abbiamo usato parole che usualmente descrivono generi. La terminologia che usiamo per esprimere le nostre idee è più astratta, basata sul gusto, l’umore, la struttura più che un concetto musicale che in questo progetto avrebbe portato a seguire una certa direzione.
L: Abbiamo iniziato a parlare di questo e dopo poco siamo arrivati alla conclusione e abbiamo continuato con il flusso produttivo. L’approccio stesso è molto improvvisato. Sulle influenze del passato possiamo parlarne dopo ma, come dice Jochem, durante il processo niente di tutto ciò era coscientemente presente. Non abbiamo mai nominato un altro artista o stile musicale durante le nostre sessioni. Quest’ultime erano molto silenziose. Non abbiamo parlato molto tra di noi ma, bensì, eravamo in contatto tramite macchine e computer.
Per ogni traccia immaginate una caratteristica che la racchiuda nella sua essenza.
J: Se stai facendo musica in studio è perché hai una relazione con essa, stai cercando di esprimere un idea la quale è rilevante nella musica il modo con la quale la puoi descrivere. Mentre producevamo quest’album non abbiamo comunicato molto a parole ma in sensazioni. Conosciamo le tracce a menadito e penso che sia difficile per noi dare una descrizione orale delle tracce. Se sentiamo le tracce sono sicuro che ci sono molti richiami nel modo in cui io o Luca percepiamo la musica perché entrambi abbiamo ricordi sul modo di produrre, mixare, fare certe decisioni su cosa lasciare, togliere o attenuare. Cosa porre all’inizio, cosa mettere alla fine. La cosa bella della musica elettronica è che non ci sono testi ed è basata essenzialmente sulle sensazioni, è molto aperta all’interpretazione. Quando la pubblichi, comincia una seconda vita così alziamo le mani dal nostro progetto aprendolo alla libera interpretazione delle persone.
L: Preferiamo davvero lasciare quella parte della faccenda all’ascoltatore che a noi stessi. Mi piace fare la metà del lavoro quando produco qualcosa e poi lo pubblico. È metà del lavoro, quella è la mia metà.
Raccontateci la vostra esperienza durante il live streaming alla Boiler Room. Vi abbiamo visto molto affiatati. Qual è il vostro rispettivo rapporto con il pubblico?
L: Alla Boiler Room eravamo sempre nello stesso mood che con il progetto. Niente preparazione, non ci siamo mai incontrati prima per fare qualcosa, una prova, un primo approccio con il mixer in studio. Eravamo in contatto via email. In seguito ci siamo incontrati là giusto due ore prima che iniziammo a suonare, all’inizio abbiamo pensato che avremmo dovuto discutere dopo come approcciare queste cose, quindi iniziammo a parlare e dopo poco abbiamo concluso che dovevamo agire come abbiamo fatto in studio. Ancora una volta è stato davvero improvvisato ed è ciò che volevamo effettivamente, ecco perché penso che è stato il modo migliore per noi di rispettare cosa era l’album e come ci sentivamo quando eravamo seduti in studio insieme. Se avessimo fatto il live streaming per quattro volte in quattro giorni, avremmo sentito qualcosa di completamente diverso ogni volta proprio per l’approccio estemporaneo. Eravamo in una buona armonia e dopo l’esperienza in studio insieme non c’era timore che non sarebbe stato uguale e la cosa forte della Boiler Room è che tu mostri le spalle al pubblico o qualche volta ti giri e vedi la festa che sta andando alla grande ma mi sentivo come in studio con Jochem. Questa volta, invece, abbiamo proposto una selezione di tracce. Infine il nostro modus operandi anche se riguardo al suono è stato leggermente diverso era pur sempre basato sul lato sensoriale delle cose.
J: La cosa strana della Boiler Room è che stai suonando con la tua schiena rivolta all’audience quindi non hai così tanti feedback dalle persone che normalmente hai quando stai di fronte al pubblico. Essere nella stanza a Berlino, in quella specifica location che ha un buon soundsystem con la festa che stava letteralmente andando a gonfie vele di mercoledì sera con le persone che stavano festeggiando e bevendo come se fosse sabato alle quattro del mattino, fu veramente speciale. Non sei mai sicuro di trovare persone come queste che si divertono a quell’ora a metà settimana, fu proprio una bella sorpresa. Abbiamo solo iniziato, e senza troppa preparazione abbiamo seguito il nostro istinto.
L: Abbiamo adattato le sonorità che per noi rappresentavano Zeitgeber a uno spazio da club dove le persone si divertono, ballano. Questo è ciò che ha reso il tutto interessante, sarebbe stato noioso se ci fossimo limitati a ripetere ciò che era dentro l’album. Quella era una performance live, il che è un leggermente diverso.
Per finire, quando inizierà e che tappe toccherà il vostro tour come “Zeitgeber”?
L: Stiamo pianificando alcune date per alcuni posti molto selezionati perché non vogliamo fare un tour insieme che significa esibirci tre volte alla settimana. Vogliamo fermarci in alcuni posti che per noi hanno senso riguardo al progetto, come abbiamo fatto per il live in Boiler Room che è un posto veramente speciale dove esibirsi.
English Version:
Many times I asked myself the following question: “The knowledge of the past, in music, limits us or is helpful?”. After listening to various opinions, I have come to the conclusion that the real charm of the music is just to be poised precariously between past and future. This topic came out in the lively chat with the duo of Speedy J and Lucy, respectively Jochem Paap and Luca Mortellaro. The past is always present in the work of a producer maintains Jochem, is intrinsic and takes part in to the intimate composition of a track as your musical luggage and upbringing are present in all but visible nowhere. “Zeitgeber” is the name of the project born by the spontaneity of these two producers, active on the European electronic/techno scene. Spontaneous because it was created from the free impulse, without constraints, orders, or prompting by others. Born with no expectations, from their mood, following the absence of direction dictated by instinct. Together they achieved a complete synergy: it is not the result of a work between teacher and pupil, but, it is a fusion of the styles of the two producers in order to fulfil the same purpose, namely to make music. Because is not so much what you do but, how you do it; you have to own a little of intuition at the right time and the boldness to throw oneself obviously because the bravery it takes always.
In which occasion did you meet? Then, what induce you to start this collaboration?
J: Of course, we knew each other before we actually met, through our records etc. and, then at some points, about two years ago, I invited Lucy to play at one of our events in Amsterdam (Electric Deluxe, ndr) and sometimes I ask the people who play at our events to come a little bit early or to stay a few extra days so we can have a chat and maybe, do something in the studio. This time Luca stayed for a few extra days so we get to the studio, just with no expectation, just to see what it would happen and after a few hours into the session we realise that we had a really good work flow so we did quite a lot of work already in the first two days. We decided to not do just one or two tracks, because the work was really fast and, we settled to meet again afterwards and do some more work. Actually everything came really spontaneously and really quick. That’s the short story!
L: Yes, it is!
Why did you choose the German word “Zeitgeber” to define your collaboration? Is there a particular vision behind this choice?
L: I have to say, it’s my fault. Usually Jochem doesn’t like to choose titles. But when I was thinking about proposing something that could fit nicely for the project and the mood. At some point I was reading some essays about this “Zeitgeber concept”, which is a concept used in Biology mainly and even if it is a german word it’s actually employed, internationally speaking, in the Biology milieu. When I read what they are – first of all the name was sounding good to my ears – I got deeper into the concept and it was very interisting because this “Zeitgebers” are all those elements that help natural cycles relating themself between light and dark, night and day. It was interesting, to me, to apply this kind of title, which is the project title and not the album title, to the way we were doing the music, which was also very synergyc between me and him. It was like there were completely no expectation, no pre-planning and the result was pretty much experimental.
The album Zeitgeber, leaves the usual constraints of conventional techno for a freer approach. 8 tracks preceded by the “Body Out Body In” EP offering the fruits of 18 months of intense work. How was it working together? Was there a good alchemy?
L: As Jochem was saying, it was very spontaneous. When he invited me, since day one we found each other very well together in the studio, things were flowing very easily. The relation between the ideas and what was happening soundwise was very fast so, of course, there was a strong alchemy and at some point we decided to not stop and to structure the tracks in a proper album. 18 months of work is the total amount of time we spent on it that means: actually we are living into different cities, I live in Berlin, Jochem in Rotterdam, and we were meeting not often but when we were meeting it was pretty intense. Actually we spent much more time into post-production and project design than in the production itself which, I think, was very fast and very immediate.
J: The basic ideas for the songs took no more than one week in the studio together but, as Luca said, afterwords we spent quite a lot of time mixing it and deciding about the other things such as the whole plan for the release. It’s not that actually we spent 18 in the studio. It was very short and very intense from the first time we meet to the release. Anyway, we didn’t really have a plan and sometimes if you put people together in the studio, it looks really good on paper but, in practice, there is a lot of politiness that’s going on. Between Luca and me it was the opposite. We didn’t really know each other personally but, well, musically, we got like and instant connection so, there was actually more essence of things. Everything came really quickly. We didn’t have any problem coming out with our ideas because everything happened more rapid than usual. It’s always a surprise when it comes out of a collaboration and, in this case, it was very productive.
L: Yes, because, let’s say, we were not friends before, that had made the first meeting in person properly strange also to me because it was the first time I was doing a collaboration with someone who was not a longtime friends of mine and whatever. It’s really cool when you see this kind of surprise coming up and don’t know what to expect and when the result is cool, you’re satisfied.
Your work sees you exploring new musical territories. What is your research and experimentation towards innovation and technology? It’s only sound design what we hear?
J: In terms of exploration is not something that we made a condition for this project, It’s not something that we set out to do is basically just a result of having no plans. At the time that we were working together both our interests and moods were in open direction territories, we didn’t think about anything. Usually the things is: if you start working on something in the studio and you have a preconceived idea or plan then the work tends to be more directional but, sometimes also, is very helpful in a no directional way at all just fuck around with equipment and ideas and just go where the music takes you. I think, in this case, we followed this path. We just both have our technical routines, we have our productions, gigs, I think we both wrote an equal amount of this. Luca used some of his techniques and I used some of mine and all together we applied on each other ideas. It was the lack of direction that dictated this project rather any exploration mood.
L: I wanted to add something: the word “Sound design” is a word a bit improperly used recently. Many times I heard about this project and even in general about my own output as sound designer. In a objective eyes in the Zeitgeber project there is a very experimental facture but doesn’t mean that’s related only to sound design. Is the way, of course, we constitutionally worked on sounds. If you put the things into this, it is always sound design even when we make something which is very club oriented. Sound design is part of our work flow, it’s inside anything we do but I still think this project is not just a style exercice in the sense of your question. It’s not: “Hey Jochem let’s show to the people how good we are in making quick stuff”. For me is a very personal poem that we wrote at four hands, it’s high meaningful in this sense. Undoubtedly is not a style exercice or sound design mental masturbation.
J: If you work with abstract electronic music with no vocals at all, lyrics or whatever, sound design is always inherent to the music. We let the mood of the music take the tracks and transform them. Is a mood design project I would say.
L: Exactly, I totally agree.
Are there also influences of the past? If so, which ones?
J: Yes, of course, I mean in anything you do, when it is a sort of project or collaboration, everybody who is making music, has always his musical bagage or musical past and upbringing. Again, as we already said, we didn’t have plans but, I’m sure, that the musical influences of our history is somewhere there even if is not well defined. On top of that, personally in my case, I usually not really has much influence by other music. I’m almost influenced by no-musical things like other disciplines such as film, or visual art, or nature. They all play a part in the end result. I think, in this case, we didn’t actually discuss any musical references. We didn’t use words that usually describe genres. I think the terminology we use to express our ideas where more abstract, based on taste, mood, textures rather than musical concept that to this project lead to follow a certain direction.
L: I remember we started talking about that and after a little then we arrived at the conclusion and we continued with the flow of the production. The approach is very extempored. We can say something afterward about it but on the process nothing of this was consciously present. I think we never even named another artist or musical style during our session, which were pretty silent. We didn’t talk too much but we used to talk by means of the machines and the laptop.
For each track of the LP can you imagine a feature that characterizes each track in its essence:
J: If you’re making the music in the studio is because you have a relation with it, you’re trying to express an idea which is relevant in music in how you can described it. While we were producing this album we communicate not too much in words but rather in moods. We know the tracks inside out and I think it’s really hard for us to give an oral description of the track. If we listen back to the tracks I’m sure there are many references in the way Luca and myself listen back to the music because we both have memories about the way of production, the mixing, making kind of decisions about what to take in, leave out or attenuate. What to put in the back or in the front. The beautiful thing about electronic music is: there are no lyrics and is strongly mood based therefore is very open to interpretation. When you release it, it starts a second life, we take our hand off the project opening it to the free interpretation of the people.
L: We really prefer to leave that side of the things to the listener than to ourselves. I like to do half of the job when producing something and releasing it and putting put to the public. It’s half of the job, that is my own half.
Tell us about your experience during the live streaming at Boiler Room. We have seen you in harmony. What is your respective relationship with the crowd?
L: At the Boiler Room we were as in the same mood of the project. No preparation at all, we never once met before that to do anything, a test, a studio first approach to the mixer. We were mostly like in contact with email. Than when we met there just a couple of hours before we were starting playing, at the beginning we thought we should discuss later how to approach this stuff, then we started talking and, after a little, we were at the conclusion to start with the same flow as we did while we were producing. It was really improvised and that’s how we wanted it really, that’s why I think it’s the best way for us to respect what the album was and how we were feeling when we were sitting in the studio together so could have been very different if we were doing the live streaming for Boiler Room for four times in four days we would listen to something completely different every time because the approach is very improvised. We were in a nice harmony and after the studio experience together there were no fear that could have not been like that and, the cool thing about the boiler room, is that you show the shoulders to the public or sometimes even if just a few times you’re turning around and you see the party going on and everything most of time you’re just feeling like again with Jochem in the studio but this time we were playing a selection of tracks and that’s what brings a very similar mood, that performance at boiler room, to what we were doing in the studio. At least the way we approach to it even if soundwise was slightly different but, still on the mood side of the things.
J: The strange about the Boiler Room is that you are playing with your back to the audience so you don’t really get as much feedback from the people as you normally get when you’re facing the audience. But being in the room in that specific location in Berlin that, has a very good soundsystem, with the party actually going on really well. It was Wednesday night but people were parting and drinking like it was Sunday four ‘o clock in the morning so it was quite special. You’re never really sure to find people who are doing party this hard at this time in the week. It was quite a surprise. We just started and without to much preparation just follow the flow and see where ww go.
L: What happened we adapted the sound that for us Zeitgeber represent to a club space where people were dancing, partying. That’s what makes interesting it would have been boring as if it was just a repeat of what was inside the album. That was a live performance which is pretty much different.
Finally, when will start and where will stop your tour as “Zeitgeber” duo?
L: We are planning a few gigs for just highly selected places and venues because we didn’t want to make a tour together that means touring three times a week with this project because we were not even thinking to it. We wanted to stick to some venues that for us makes sense in relation to the project like we did for Boiler Room that is a very special place to play.