Donato Dozzy è una persona affabile, uno che sa di cosa parla e ha una gran voglia di esprimersi. L’abbiamo incontrato una sera della scorsa settimana al Pigneto Spazio Aperto, poco prima che cominciasse il live set di Morphosis, e ne abbiamo approfittato per farci raccontare un po’ della sua storia artistica e professionale. Quella che è venuta fuori è una chiacchierata molto rilassata, di quelle che solo in certe serate estive, seduti su un prato e con in sottofondo dell’ottima musica.
Tu sei ancora fisso a Berlino, giusto?
No, no! Io ho vissuto a Berlino fino al 2006, poi sono tornato in Italia, a San Felice Circeo, dove ho costruito uno studio, e prima di sposarmi, nel 2009, sono tornato a Roma. A Berlino ovviamente ci torno spesso, ogni tanto anche al Circeo.
Come è stato ritrovare l’Italia dopo avere vissuto tanto all’estero ed esserci tornato spessissimo a suonare?
Quando mi sono trasferito a Berlino, il momento storico che stavamo vivendo era parecchio diverso da questo qua, sia dal punto di vista politico che in generale e per quanto riguarda lo sviluppo delle arti. Sono andato via perché qui mi sembrava tutto fermo e sentivo l’esigenza di crescere, cambiare. Tornando ho trovato una scena rifiorita.
Ti sembra un momento positivo, quindi, questo?
Sì, per me lo è. Senza dubbio. Sento un buon movimento nell’aria. La crisi alla lunga è diventata un’opportunità. Ho visto le persone crollare affrante e poi tornare speranzose, piene di voglia di fare. È questione di cicli, come sempre succede: da anni si respirava un certo malcontento e questo naturalmente ha avuto una sua espressività anche dal punto di vista dell’arte e della musica. Abbiamo appena vissuto una fase repressiva e ora stiamo tornando propositivi.
Mi diverte molto che tu dica queste cose proprio ora che andare via dall’Italia, magari proprio per andare a cercare fortuna a Berlino, è diventato quasi un luogo comune per chiunque voglia confrontarsi con la musica elettronica e l’avanguardia…
Beh, Berlino per certe cose è ancora il posto migliore del mondo, ma la situazione sta cambiando, la città non è più quella di prima, anche dal punto di vista politico: organizzare eventi è diventato più difficile, alcune libertà sono state minate, guarda per dire quello che è successo con la Gema. Anche lì mi è capitato di avvertire parecchia negatività, ultimamente.
La sensazione è che comunque, per chi si muove in territori affini ai tuoi, da quelle parti ci sia davvero più attenzione. Per dire, visto anche quello che ti è accaduto con Resident Advisor, mi pare di capire che la considerazione di cui godi all’estero sia maggiore e differente rispetto a quella che hai qui da noi, dove comunque resti legato a un certo tipo di mondo…
Certo, ed è naturale che sia così, ma lo è prima di tutto per una questione psicologica: per chi mi ascolta e mi giudica da qui, ma vale anche per altri musicisti e dj che hanno deciso di continuare a vivere e creare musica nel nostro paese, io vengo dato quasi per scontato, faccio parte di un sistema ritenuto alla portata. A me ultimamente è capito di girare più all’estero che in Italia, e più passa il tempo e più cadono le barriere, ti capita di conoscere realtà con cui ti trovi meglio, club, festival ed entrare in dei circuiti che col tempo possono diventare tuoi a tutti gli effetti All’estero vengo trattato mediamente con educazione, e il rispetto me lo sono guadagnato con la musica.
Facciamo un gioco: ti va di provare a fare il giornalista musicale e descrivere in che fase della carriera si trova, ora, Donato Dozzy?
Eh questa domanda va a toccare un nervo scoperto, perché negli ultimi anni sono davvero cambiate parecchie cose: come sai, fino a un certo punto della mia vita io sono stato un resident. Mi confrontavo settimanalmente con la realtà musicale della mia città. Vivevo in pieno Roma e la sua night life, mentre ormai mi capita di suonarci solo due o al massimo tre volte l’anno. La prospettiva si è ribaltata: suonare a casa per me, ora come ora, ha un sapore completamente diverso rispetto al passato, continuo a farlo ma è solo una piccola parte del mio lavoro. Essere resident ti permette di creare un feeling particolare con chi ti viene a sentire, il dj set diventa quasi un rito: in quegli anni si era davvero creato un rapporto di fiducia e diretto con il mio pubblico, ed è durato per tanti anni. Quella cosa credo che me la porterò dentro per sempre, e che non capiterà più. Pochi mesi fa sono tornato al Brancaleone per la serata che ho diviso con Jeff Mills ed è stato bello trovarci diverse persone che c’erano anche all’epoca. Davvero emozionante. Mia moglie, per dire, era stata altre volte al Branca, ma non aveva mai vissuto quell’atmosfera.
Ecco, posso chiederti che effetto ti ha fatto il Brancaleone? Come lo hai visto?
Tieni conto che la serata a cui faccio riferimento io ha poco a che fare con le normali serate del locale, era una cosa a sé, diversa, ed è stato bello tornare a respirare un po’ il Branca di una volta. In realtà piacerebbe anche a me sapere in che situazione è il Brancaleone, ora, visto che ho perso il contatto con la quotidianità del posto, tieni conto che io ci andavo anche durante la settimana, non solo a suonare, e quindi non ho gli strumenti per poterlo giudicare. Immagino facciano comunque una bella programmazione e di certo capiterà a breve di tornarci.
La sensazione è che abbia perso parte della forza che aveva un tempo e che a Roma manchi un posto con la stessa valenza del Brancaleone…
Beh quello del Branca è stato un episodio fortissimo e che ha coinvolto almeno due generazioni e non è mica semplice riuscire a durare, per cui tanto di cappello. Poi sì, è un posto grande ed è difficile riuscire a fare sempre le cose nel modo in cui vorresti farle, ci sono tante persone con cui ti devi confrontare, tanta gente che ci lavora. Se ci pensi quello spazio è nato come luogo di sperimentazione e di rivalsa sociale. Poi si è stabilizzato. Comunque prima non ti ho risposto: credo di stare vivendo una fase di pura anarchia creativa. In qualche modo ormai sono consolidato, come dj e come producer, adesso cerco di mettere in pratica qualsiasi idea mi venga in mente, cercando possibilmente di andare contro e superare tutto quello che ho fatto fino ad ora.
Questo è interessante: quanto conta per te cercare di eludere le aspettative di chi ti ascolta?
Credo che chiunque si occupi di arte, non solo chi fa musica, ma anche chi lavora nel cinema o scrive libri, debba sempre cercare un confronto con se stesso, mettersi alla prova, e sorprendersi. Cercare di produrre sempre cose che mi fa piacere ascoltare o leggere, per me, è l’obiettivo principale. La prima regola è proprio quella, devo convincere me della bontà delle mie produzioni, ancora prima di farle ascoltare agli altri. Sai, la creatività non può avere lo stesso percorso della vita, chiamiamola così, biologica, dove le esperienze si accumulano: una volta che hai fatto una cosa, basta, si chiude un capitolo e si passa a quello successivo. Almeno finché c’è fame e bisogno fisico, costante, di trovare strade nuove. E non parlo solo di produzioni, ma proprio di un lavoro di ricerca che parte dalle fonti sonore utilizzate per comporre e che arriva anche al tipo di concerti che puoi decidere di portare in giro.
Hai qualche uscita nuova uscita in programma?
Sì, a settembre uscirà una cosa nuova, per Spectrum Spools. E poi c’è il mixtape che ho fatto per Electronique, l’altro portale romano di elettronica, ed è una delle cose di cui vado più orgoglioso visto che ho dovuto mettere insieme persone e musiche della mia città, di Roma.
Ecco, Roma ritorna più o meno sempre, è banale se ti chiedo come la vedi?
Io l’ho sempre vista bene Roma. Per me è sempre stata una città enorme piena di teste calde e geniali. Perché i romani hanno il loro carattere, che è unico al mondo esattamente come il loro modo di fare arte. La creatività del romano per me non è mai scemata, al di là della possibilità di poterla o meno rappresentare in pubblico. Per esempio: ora ci siamo io e te, seduti su un prato, che chiacchieriamo mentre sul palco si sta suonando della musica che a me piace, e probabilmente è musica romana.
È una ragazza romana, infatti, ma che vive a Berlino: Maesia. Un altro cervello in fuga…
Fuga, fuga, ma ‘ndo vai? Il concetto di fuga è sempre relativo, anche quella che avevo fatto io poteva essere definita così, ma dopo che hai trovato la tua pace interiore è sempre un piacere poter tornare e vivere la città in un modo diverso.
C’è qualcosa in particolare che sta venendo fuori da Roma e che ti senti di consigliare?
Ci sono un po’ di ragazzi giovani e promettenti: Gianluca Angelini, per esempio, o Conrad Von Orton, che stanno dando prova di poter lasciare un segno sulla loro generazione. Ma ce ne sono sicuramente tanti altri che magari non conosco ma che stanno facendo cose interessanti, con l’atmosfera magica della città. Ah, prima mi sono dimenticato di dirti che ho in uscita anche un paio di remix per Semantica e pure un singolo nuovo a nome Voices from the Lake, su Concrete Records.
Parliamo di Voices from the Lake, allora: ti ha stupito tutto l’interesse che ha suscitato?
Abbastanza, perché al di là di avere fatto un lavoro che mi piaceva e che che mi convinceva appieno, non era affatto scontato che potesse essere accolto nella maniera in cui poi è stato. Anzi, spesso è il contrario: tu sei ultra soddisfatto di una cosa, ma questa passa quasi inosservata. È difficilissimo riuscire a capire le dinamiche che creano o meno il successo di un disco. Di sicuro mi ha fatto molto piacere, perché ha generato più interesse anche per le altre cose che io e Neel, il mio compare, facciamo fuori da Voices from the Lake ed è arrivato a toccare corde che sinceramente non pensavo mai di riuscire a toccare.
Si può dire che ormai è questo il tuo progetto principale…
Direi di sì, più che altro perché mi succhia davvero tanto tempo, ma voglio comunque continuarmi a dedicare anche ad altre cose, non resisto mai alla tentazione di chiudermi in studio e fare roba nuova.
Quanto ti cambia la vita un endorsment come quello di Resident Advisor?
Beh, fortunatamente avevo una mia storia anche prima, quello che è cambiato è che capita più spesso di essere riconosciuto quando vado in giro. Per il resto un disco che ottiene quel responso è un buon punto di partenza per la sfida successiva. Per ripartire e, come ti dicevo prima, cercare di superarsi. Anche se è difficile. Ma si può fare, non a caso stiamo già pensando ad altre produzioni. Stiamo imparando a gestire la pressione, per fortuna siamo una squadra che funziona e che ha come primo obiettivo il divertirsi a fare musica insieme. Per cui ci stiamo già muovendo, il disco che abbiamo fatto ancora ci piace, e ora ci sentiamo in dovere di fare cose ancora migliori. Ti posso anticipare che saranno un po’ diverse da quelle che hai sentito fino ad ora.
Tu in qualche modo sei un veterano e si può dire che hai vissuto sulla tua pelle i mille cambiamenti che hanno attraversato la scena dei club e quella più vicina alla techno. Di solito si dice sempre che la musica elettronica sia un continuo gioco di corsi e ricorsi: tutto torna sempre. Come definiresti il periodo che stiamo vivendo adesso?
Secondo me ci siamo appena lasciati alle spalle un periodo di ‘freddo minimalismo’ che ha avuto anche degli aspetti molto belli. Purtroppo però, come sempre accade quando un fenomeno raggiunge il suo picco massimo, in mezzo a tante cose genuine è emersa pure tanta immondizia. Adesso, dopo anni di dominio europeo, sta succedendo che gli americani stanno tornando a fare techno, parlo soprattutto di musicisti provenienti dalla scena noise che uniscono il loro gusto a un approccio più da musicisti e ovviamente stanno cambiando un po’ le regole del genere. La techno che si balla ora in Europa, quella che ballano al Berghain, al Panorama Bar, è figlia proprio di questa piccola rivoluzione, infatti sono tornati i suoni grassi, distorti, pieni, magari anche più melodici e vicini al kraut rock. Questo secondo me porterà un grosso cambiamento anche nelle produzioni europee, bisogna solo aspettare un po’ di tempo ma credo che ci divertiremo parecchio.