Riflessioni. Ragionamenti. Quando la musica scaturisce da sentimenti profondi e viene sintetizzata da mani preparate è sempre buona, sempre. Poi ci sono i casi, come questo, in cui è anche interessante. “Imagine” è un disco che nasce da alcune riflessioni sull’attuale condizione umana, riflessioni amare in quanto disegnate guardando il mondo attraverso le lenti di un testo portatore di speranza che risale a ben 42 anni fa, “Imagine” di John Lennon. Il progetto prende forma attraverso le strumentazioni elettroniche della Martux_m Crew (Martux_m, Zeno e Kocleo, progetto resident del Brancaleone di Roma), la tromba di Fabrizio Bosso (una delle più brillanti stelle del panorama jazz internazionale), il sassofono di Francesco Bearzatti (nominato dall’Académie du Jazz Francais come miglior musicista europeo 2011) e la chitarra di Eivind Aarset (fra i massimi esponenti del nu-jazz internazionale che nel tempo ha collaborato con artisti del calibro di Ray Charles, Ketil Bjørnstad, Nils Petter Molvær e Dhafer Youssef). Il gruppo di lavoro, uno dei più importanti nella new jazz generation italiana, nasce nel 2009 con il disco “About a Silent Way”, progetto in cui si approfondisce e rivisita uno dei capolavori di Miles Davis attraverso nuove sonorità e possibilità musicali. L’ultimo prodotto musicale (“Imagine”) è stato presentato proprio qualche settimana fa al Meet In Town dell’Auditorium Parco della Musica, con ospite d’eccezione Nils Petter Molvær alla tromba. Un live decisamente di livello, inserito nella splendida cornice notturna della Cavea dell’Auditorium. Avremmo preferito in uno o due momenti un’elettronica per così dire meno Jazz e più dirompente, più techno, proprio per accentuare la rottura con la location, l’aria che si respirava e le sonorità più smooth di fiati e chitarra. Nonostante questo (sopportabile) amaro in bocca, immergersi in momenti caratterizzati da tale estro artistico è sempre un gran piacere per orecchie, occhi e testa, tant’è che dopo l’esibizione ci siamo intrufolati nei camerini degli artisti per chiacchierare a briglia sciolta di musica, nuovi sincretismi e realtà, tenendo fermi come punti focali “Imagine” e la performance.
Com’è andata la performance? L’improvvisazione è stata uno degli aspetti fondamentali: che tipo di intesa si è andata a creare sul palco?
Martux_m Crew: Tutto il lavoro é stato pensato, sin dalle prime fasi della produzione, come un lavoro che andava ad interagire con musicisti che avessero come loro principale formazione creativa l’improvvisazione. Abbiamo voluto esplorare questa forma che é abbastanza inusuale nella musica elettronica, anche se dobbiamo dire che nel missare dei dischi l’improvvisazione é una pratica all’ordine del giorno. Ma, da definizione, per improvvisazione si intende una pratica che richiede almeno 2 variabili che interagiscono, quindi almeno due musicisti. In questo caso, abbiamo pensato di triplicare le difficoltà, perché i musicisti con cui improvvisare erano 3: Eivind Aarset, Francesco Bearzatti e Nils Petter Molvaer. Ecco perché sin dall’inizio il nostro set é stato pensato come live, con le macchine, in modo da avere la massima flessibilità performativa. La complessità era nel far si che la Martux_m crew fosse nello stesso tempo cosa e libera di potersi muovere nelle proprie singolarità. Con Nils Petter Molvaer era la prima volta in assoluto, ma in una performance improvvisativa la caratteristica é che é sempre la prima volta, anche se la fai con musicisti che conosci da una vita. E’ come nel calcio: puoi preparare tutti gli schemi che vuoi, ma quando l’arbitro fischia l’inizio, vince chi sa improvvisare meglio, e la differenza spesso sta nelle squadre che nella loro formazione hanno giocatori come Maradona, Messi, Cavani, insomma l’estro dei creativi, e noi credo che abbiamo giocato una buona partita, anche perché avevamo le migliori stelle d’Europa.
Francesco Bearzatti: Onorato! Sì, anche secondo me è andata bene, soprattutto se si pensa per l’appunto al fatto che era un set improvvisato. Anche se io, Maurizio ed Eivind ci conosciamo, alcune basi non le avevamo mai ascoltate tutti assieme; inoltre con Nills [Molvaer, ndr], nonostante lo conoscessi ovviamente come una star della musica jazz-elettronica, non avevamo mai suonato assieme e siamo riusciti ugualmente in un’intesa che in alcuni momenti definirei sublime.
Infatti avete provato tutti assieme solo ed esclusivamente al sound-check qualche ora fa, giusto?!
Francesco Bearzatti: Esatto.
Beh, queste cose forse solo nel jazz danno risultati così buoni…
Francesco Bearzatti: Sì lo penso anche io. Hai quella specie di paura, o meglio, di eccitazione perché non sai bene cosa stia per accadere; da una parte devi esser pronto a tutto dall’altra devi comunque riuscire a lasciarti andare e quindi suonare. Quando capisci che quello che stai per fare è già nella testa di chi sta suonando con te è un’emozione unica. Spesso se sai di per certo cosa succederà per tutto il concerto perdi questo spirito, quest’eccitazione.
Andiamo alla matrice di questo live, al progetto originario. Definiamo e spiegamo questo disco (“Imagine”): come nasce il progetto, qual è l’idea dalla quale si è sviluppato tutto?
Martux_m Crew: Come artisti ci é sembrato necessario, in un periodo storico che ancora una volta sembra essere ricaduto nel buio, richiamarci al grande inno di pace scritto da J. Lennon. Gli sbarchi a Lampedusa di popoli che cercano un futuro migliore e che invece trovano culture razziste, accoglienze da lager, insomma una solidarietá ancora lontana da quella che il testo di Lennon auspicava… Questo è il sentimento e la riflessione da cui scaturisce poi tutto il lavoro.
Non è la prima volta che lavorate insieme inoltre. Avevamo ascoltato il risultato di questa collaborazione già con “About a Silent Way”, 4 anni fa, un disco molto diverso da “Imagine”… Come è stato lavorare nuovamente assieme ad un progetto con un sentimento di fondo e sonorità così diverse?
Eivind Aarset: Il processo di sintesi del disco è stato sicuramente differente: mentre la prima volta, per About a Silent Way, siamo venuti qui a Roma negli studi dell’Auditorium per registrare, per Imagine abbiamo fatto la nostra parte tutti da casa, nei nostri studi personali. Quindi il processo compositivo è stato sicuramente differente, ma nonostante questo devo dire che il sentimento con il quale mi sono applicato alle tracce e le dinamiche con Maurizio sono rimaste invariate. Da questo punto di vista è come se stessimo parlando sempre dello stesso progetto.
Francesco Bearzatti: Esatto, come diceva Eivind è stato diverso in primis per l’approccio, perché abbiamo lavorato a coppie, cioè ognuno di noi singolarmente con Martux. Al contrario, l’altra volta abbiamo registrato tutti assieme. Quindi “About a Silent Way” è stato quasi un disco live rimontato poi in studio. In “Imagine” invece ognuno lavorava sul prodotto che via via si andava creando di studio in studio. Ognuno di noi sentiva il prodotto in maniera differente e sulla base di quel sentimento aggiungeva il suono del suo strumento. Inoltre, ci tengo a dire che in fase di missaggio penso sia stato fatto un ottimo lavoro.
Non è mia intenzione fare raffronti fra In A Silent Way di Miles Davis e Imagine di Lennon, piuttosto, quello che vorrei chiedervi è: quali sono gli aspetti di questi due lavori fondamentali della storia della musica che avete voluto mettere in risalto? Quali gli aspetti su cui avete fatto leva?
Eivind Aarset: In realtà queste sono decisioni che ha preso Martux, il concept originario è il suo. Noi abbiamo poi seguito il flow. Quindi in realtà non è un problema che mi sono posto scientemente, ma posso dirti che per quanto mi riguarda, personalmente, la musica di Miles mi è molto più vicina. Sento veramente molto ogni sua nota. Imagine è poi senza dubbio una traccia molto importante soprattutto per quanto riguarda il testo, ed è il modo in cui quel testo viene proposto musicalmente che fa la differenza. Ma torno a dire che la musica di Miles è per me ancora oggi di grande ispirazione e sotto taluni aspetti influenza molto il suono della mia chitarra.
Martux_m Crew: Sono due album molto diversi, sia nelle sonorità che nelle intenzioni. Hanno solo una cosa in comune: un aspetto mistico. Miles, con “A Silent Way”, tracciava un nuovo percorso, rivoluzionando tutto il suo modo di fare musica. “Una strada silenziosa” senza fuochi pirotecnici, minimale, senza dover più dimostrare a nessuno quanto era bravo. Enfatizzare un contenuto artistico esplorando nuove sonorità nell’estetica jazz, quelle elettroniche. Noi con “About a Silent Way” abbiamo cercato di riprendere quel discorso, cercando di portare nella musica jazz le nuove sonorità elettroniche che Miles purtroppo non ha potuto sperimentare e lo abbiamo fatto anche noi attraverso “una strada silenziosa”, con discrezione, in punta di piedi. “Imagine” come ti dicevamo sopra, ha premesse diverse, non é un album di jazz, é un album di suono, di sonorità nuove, che ci vogliono immergere in un “sentire” diverso.
Francesco Bearzatti: L’aspetto fondamentale, che poi è quello che ha determinato le note suonate da tutti noi, è la filosofia che c’è dietro al disco, lo spirito di Imagine: quindi John Lennon, quel tipo di pensiero pacifista che 40 anni fa è stato espresso con degli strumenti rock e 40 anni dopo, oggi, con strumenti se vuoi tradizionali ma manipolati da circuiti elettronici, quindi con uno spirito completamente nuovo. Invece, in “About a Silent Way” abbiamo cercato di rivisitare attraverso le sonorità del presente lo spirito di un altro lavoro, sempre più o meno di quel periodo, fine ’60 invece che primi ’70, che veniva suonato con degli strumenti analogici. Abbiamo cercato di inserire in pillole la figura del dj che, inteso come lo intendiamo oggi, ancora non esisteva. Mi spiego: agli albori il dj era uno che metteva i dischi, oggi invece in alcuni casi è un vero è proprio musicista. Quindi, lo spirito era quello di Miles, quello che abbiamo fatto noi è stato di immaginare cosa avrebbe fatto nel 2010 sulle note di quell’album.
Tornando ad “Imagine”: non è una cover della canzone probabilmente più famosa del rock composta da John Lennon, ma un album di suoni pensato sul testo di una sola canzone… Ampliamo questo concetto: come si lega ogni traccia (a partire dal suo titolo) ai suoni che la costituiscono? Oltre a quelli del brano di apertura, dove i collegamenti con la traccia originale sono molto evidenti, come si articolano quelli delle altre tracce?
Martux_m Crew: Semplice, come dicevi era impossibile e inutile fare una cover del disco e della canzone di Lennon, quindi si é pensato di fare un lavoro diverso, che forse non é stato mai fatto, scomporne il testo e partire prendendo ispirazione da una sola frase o parola, ispirarsi al senso profondo e mistico di quella essenza, e allora far si che il suono diventi “significato emozionale”, atmosfera, mood, che é la vera essenza e potere della musica. Tutta la storia della musica, di ogni genere, ha questo potere; tutti ci diciamo: “bella questa traccia o questa opera, é scura” oppure “é solare”, oppure “é un vero inno alla gioia…”. Questa é la vera forza della musica, e del suono: penetra direttamente nel nostro “sentire” nella nostra carne, senza mediazioni, in ogni cultura; é così ad ogni latitudine, non permette interpretazioni, é diretta, per questo un mondo senza musica sarebbe senza anima.
Il primo suono: il primo suono al minuto 0.01 dell’album è elettronico e l’ultimo invece è di un sassofono. Probabilmente è casuale, ma fate mai caso alle note e ai timbri con cui inizia e finisce un lavoro? In generale come cercate di gestire i suoni nella totalità di un album?
Francesco Bearzatti: In questo caso particolare non ci avevo fatto caso, ma per il semplice motivo che, come dicevamo prima, il missaggio e montaggio è avvenuto dopo che tutti noi abbiamo inviato il nostro apporto al lavoro. Ci faccio caso a volte, sì, ma ovviamente devo dirti che ciò che guardo è l’aspetto globale del lavoro: cerco di individuare il valore che ha il prodotto finale, lavoro per dar vita ad un suono finale totale e organico. Se serve che uno strumento dica la prima parola o l’ultima è giusto che sia così… In questo caso credo che l’ego, il grande ego che tutti i musicisti e artisti hanno, debba comunque sapersi armonizzare con quello degli altri.
Martux_m Crew: Dopo aver registrato, inizia la fase di montaggio, di editing. Il mondo dei suoni non ha gerarchie, tutto deve diventare funzionale e allora un suono acustico vale quanto quello elettronico, tutto deve prendere corpo come in una scultura. Lo scultore sottrae dalla pietra di marmo il superfluo, per far si che la forma prenda vita, acquisti anima. Non c’é prevaricazione nel mondo dei suoni, non c’é competizione, ma un umile gioco di tutti per un unico scopo: emozionare.
Eivind Aarset: Per come la vedo io, quando suono e mi inserisco in un traccia, la cosa più importante è sentire che il mio sound si mescola al meglio con il contesto, tanto da riuscire ad ascoltare perfettamente l’insieme e non me sull’insieme. Non voglio ascoltare me stesso e poi la musica su cui suono, bensì voglio ascoltare la totalità e in quella ritrovare il mio suono, avvolto dalla traccia. Quando sento questo penso “Ok, ora ho il giusto sound, il giusto approccio”. E non è importante che il mio suono sembri quello di una chitarra o di qualcos’altro, la cosa più importante è che questo suono si mescoli al meglio con il resto della traccia.
E Eivind, come hai lavorato sulla traccia di apertura, quella che più ricorda il brano di John Lennon e in cui la chitarra ha un suono più distinto e riconoscibile? Hai estrapolato le fondamentali della melodia immagino, ma in che modo hai cercato di rielaborarle?
Eivind Aarset: Esatto. Ma più che basarmi sui cardini, per così dire, teorici della melodia ho focalizzato l’attenzione sui passaggi che secondo me erano fondamentali. Quindi ho ascoltato e riascoltato quel giro, ho estrapolato le parole per me più importanti e con le stesse ho cercato di raccontare una storia differente. Ho preso spunto anche dal testo che accompagna quella melodia, ogni termine, ogni frase del testo ha il suo peso. Ho poi cercato in generale di rendere il tutto musicalmente più… velato, più nebbioso. Quindi il brano è sempre quello, è sempre lì, ma è attorniato da elementi disturbanti che gli danno un’altra veste.
Ci interessa fare un paragone con il mondo della musica elettronica dance e le sue label: quanta libertà vi ha lasciato l’Auditorium Parco della Musica? Che tipo di limiti vi ha imposto, solo delle scadenze temporali?
Martux_m Crew: Abbiamo avuto la totale fiducia e libertà di azione. La label (Parco della Musica Records) e in particole il nostro produttore Roberto Catucci, ci ha seguito con discrezione, preoccupandosi solo di offrirci ogni vantaggio possibile per arrivare al nostro scopo. La “musica a tavolino” ha in se finalità diverse, soprattutto economiche e commerciali, come scopo prioritario deve durare il tempo del “consumo”, questa non é stata né la prerogativa nostra, né della label che ci ha prodotto. Questo non vuol dire che vogliamo fare una musica solo per noi, ma l’intenzione é stata di fare un album che rimanga, che non abbia un “tempo” definito.
In questo ultimo album (“Imagine”) vi siete trovati a lavorare non solo con Martux_m ma con le sonorità dell’intera Crew (quindi anche di Kocleo e Zeno), sonorità certamente più fisiche, più dance, che hanno maggiori legami con il dancefloor. Come vi siete trovati ad inserirvi in questo nuovo contesto elettronico?
Francesco Bearzatti: Direi molto bene, anzi, stiamo anche preparando una cosa nuova di cui non possiamo parlare troppo, una cosa che dovrebbe uscire il prossimo anno. Un lavoro molto spirituale che abbiamo cercato di rendere anche attraverso l’elettronica, i visual e il sassofono in primo piano… Posso dirti solo che saremo sicuramente io, Martux, tutta la Crew, quindi Zeno e Kocleo, e un tastierista francese, Paul Brousseau.
Eivind Aarset: A me piace moltissimo quello che fanno! Il mio background inoltre è molto vario quindi mi trovo a mio agio in quasi tutti gli ambienti musicali.
Va bene, me l’hai strappata tu questa però: parliamo di techno, quella bella dura…
Eivind Aarset: Beh, la adoro. Sarò scontato ma penso che fra i miei preferiti ci sono gli Underworld. Mi facevano impazzire, e mi piacciono tutt’oggi. In generale invece, l’ultimo lavoro elettronico che ho ascoltato con molto piacere è stato “Immunity” di Jon Hopkins, veramente buono. Poi a volte ascolto anche un po’ di Dubstep, poche cose, ma l’ascolto. Spazio abbastanza ecco.
Francesco Bearzatti: Io sul djing in generale ho un’opinione ben precisa: avendo lavorato vent’anni fa con l’House sia come Dj che come sassofonista, non titubo nel dirti che, all’epoca, la figura del dj era eccessivamente esaltata; soprattutto in quanto essere un dj commerciale vuol dire semplicemente metterei dei dischi, ed è una cosa abbastanza banale, parliamoci chiaro. Oggi, nell’arte, credo che il dj abbia invece un’importanza fondamentale, a volte si parla di artisti veri e propri. Sostengo che la figura del dj nel nuovo millennio abbia raggiunto una buona maturità e che anche il suo contributo è e sarà importante.
Ahimé, ammetto di dover ancor ascoltare per intero “Immunity”, ma ho capito invece ciò che vuole intendere Francesco. Ok, e se dico ad esempio “Techno berlinese”…
Eivind Aarset: Oh yesss [ride compiaciuto]. Adoro la Basic Channel, che nei ’90 era molto attiva, quindi Mortiz Von Oswald e compagnia, più recentemente Monolake. Berlino è bella roba.
Concludiamo riprendendo la news che si è lasciato scappare Baerzatti: state organizzando una nuova collaborazione, un nuovo progetto con il tastierista francese Paul Brousseau… Ed inoltre voi mi parlavate di un ipotetico nuovo progetto con Eivind, sempre con il Parco della Musica? Dateci qualche news per seguire i vostri prossimi movimenti…
Martux_m Crew: Con Eivind siamo ancora nel desiderio di volerci misurare in una nuova avventura, ma tutto é ancora da fare. Ti assicuriamo che non c’é riservatezza nel non voler anticipare notizie. Siamo ancora alla ricerca, siamo felici di lavorare insime, ma non sappiamo ancora su cosa. Con Bearzatti invece il progetto ha giá una forma finita. É stato registrato, mixato e masterizzato e stiamo valutando con chi farlo uscire. É un album che nelle sue premesse é il continuo di Imagine. É su un altro capolavoro della musica del novecento “A love Supreme” di John Coltrane. Un album che giá dal titolo ci parla di tutto il suo significato mistico, il rapporto con Dio. Un valore supremo che è al di sopra di noi, anzi, direi valori supremi che possono essere anche atei e non esclusivamente religiosi; valori che non giustificano guerre di supremazia religiosa, perché nessun Dio ci dice questo. É l’uomo che continua miope l’azione distruttiva, a dar luogo a nuovi orrori. Il limite umano che si contrappone alla grandezza di Dio, o se vuoi dell’universo, dovrebbe portarci ad essere umili, disponibili ad ascoltare il “diverso”, ad esplorate l’ignoto, l’infinito, questo sia se sei ateo o se se sei religioso; se invece tutto diventa sopraffazione, chiusura, sordità, allora siamo lontani da Dio, cosí come da tutto l’universo, siamo solo tristezza che non avrà mai gioia.