Fa un po’ sorridere l’ondata di indignazione che sta circondando un filmato affiorato sul web in cui Richie Hawtin, sua maestà Richie Hawtin, appare decisamente fuori fuoco una volta dietro alla consolle, circondato da una corte dei miracoli a cui dà perfino troppa attenzione, confidenza, entusiasmo. Un’indignazione peraltro che ha una sua ragion d’essere, sia chiaro: per molti aspetti la condividiamo. Non ci fa una bellissimissima figura, Richie. Ma il modo più onesto – e più utile – per affrontare la questione sarebbe fare anche uno sforzo ulteriore di analisi complessiva e, ecco, di autocritica. Troppo facile dare addosso all’untore, leggi Hawtin: un po’ per invidia (“Guarda ‘sto zozzone strafatto che prende decine di migliaia di euro”), un po’ per gusto di insultare un re improvvisamente fotografato “nudo”. Troppo facile.
Perché se è vero che sì, è abbastanza fastidioso che uno come Hawtin un tempo grande pioniere di una techno dal suono e dall’attitudine incredibilmente rigorosa, estrema, seria, ipnotica oggi vada in consolle e si presti all’edonismo e al “divertentismo” che manco nelle cronache degli anni ’80 più beceri e craxiani, o manco nelle discoteche più ultracommerciali di ora e di sempre, è anche vero che quello che si vede nel filmato è una perfetta, geometrica, inevitabile conseguenza di ciò che molto clubbing è diventato oggi e, in generale, di quello che il clubbing può essere di per sé una volta sbilanciatosi troppo sulla componente dell’edonismo (componente che comunque FA PARTE della sua storia e del suo dna, caps d’obbligo; negarlo è da disonesti, ignorarlo da arroganti).
In realtà, in generale, noi Hawtin lo “vogliamo” così. Esattamente come “vogliamo” così un Villalobos com’è oggi. Parlano i fatti, parlano i numeri. Parlano quali sono le serate che fanno migliaia di presenti, quali invece quelle che ne fanno a malapena un centinaio. Questo è il problema. La spettacolarizzazione, la professionalizzazione e la commercializzazione della musica elettronica da ballo ha portato (anche) a questa deriva. Tolte poche rigorose eccezioni, siamo noi che “vogliamo” il metodo Ibiza, che vogliamo il circo in consolle con la gente presa bene ed euforica e piena di empatia più o meno reale, che ci divertiamo a vedere gente (stra)fatta fosse anche solo per parlarne male e dire “Ecco io non mi riduco così ammerda!” (…sarà poi vero? Non vi è proprio mai capitato? Anche solo bevendo un bicchiere di troppo ad una cena di classe o con gli amici?).
Tra tutti quelli che criticano l’Hawtin in quel filmato, quanti sono quelli che scientemente rinunciano ad una serata Cadenza e Cocoon perché vogliono solo sentire robe ultrasperimentali ed accigliate alla Dopplereffekt? Onestamente, quanti? Condanniamo allora, sì, ma andiamoci piano nel condannare. E facciamoci un’esame di coscienza. Chiediamoci: se noi fossimo stati al posto suo, avremmo chiesto a tutta quella gente di scendere dalla consolle? A costo di passare per rompiscatole che se la tirano? Chiediamoci poi: non è forse proprio il circo di persone prese bene e la gran carrettata di euforia collettiva a rendere spesso bella la nostra esperienza del clubbing tanto quanto la musica? E chiediamoci pure: com’è possibile che una musica nata per essere estrema, underground, irregolare, alternativa oggi sia così ben inserita nei circuiti commerciali e sia un’affare così economicamente remunerativo? E’ un’ipnosi collettiva? Un complotto del KGB, della CIA? O siamo invece “noi” stessi i primi artefici di questo bizzarro fenomeno, prima ancora degli artisti in questione?
Non sono domande retoriche, attenzione. E le risposte non sono semplici e monodimensionali. Non troverete in queste righe le risposte, ma un parere preliminare sì, lo troverete: pensare che la salvezza stia solo ed unicamente nell’underground anticommerciale è, ecco, un errore – un errore un po’ infantile di chi vive la musica come un feticcio per le proprie nevrosi e (in)sicurezze, e non come esperienza gioiosa, profonda e coinvolgente. Ma fra chi vorrebbe solo un underground fatto per pochi eletti pieni di complesso di superiorità verso gli “altri” e chi vive invece unicamente per i nani&ballerine wannabe balearici in consolle, beh, esistono molte vie di mezzo. Molte, e belle. E’ che non basta deridere Hawtin strafatto in consolle per lavarsi la coscienza in un colpo solo e poterle percorrere serenamente. Né, altro lato della medaglia, ci si può tirare fuori dicendo “Io non c’entro un cazzo con quella roba e con quella musica” perché l’elettronica da ballo e la club culture sono (anche) questo, sono anche euforia-idiota-come-non-ci-fosse-un-domani o almeno parte di essa, la storia parla chiaro. Al Loft, con Mancuso, si vedevano scene ben peggiori…