Partiamo da quando ho visto Lorn per la prima e unica volta dal vivo.
Polonia, Katowice precisamente, in occasione del Tauron Nowa Musika. Era il 2011. Marcos Ortega, questo il suo vero nome, indossa una maglietta nera e sulle spalle un asciugamano nero anch’esso. Mentre suona, sembra che quello che sta buttando fuori dall’impianto sia il suo stesso respiro, quello di quando corri perché stai scappando dai tuoi fantasmi e che quando non ne hai più, quando sei ormai strozzato dalla fuga, sai di aver seminato i mostri, almeno per un po’. Sembra una maschera del teatro della tragedia. Prende per mano il pubblico cantando sulle sue tracce, coinvolgendo e coinvolgendosi.
Non l’ho mai più rivisto, dopo quell’indimenticabile live, ma lo sto aspettando. Pazientemente.
Intanto esce “Debris”: i fantasmi sono tornati. Flying Lotus ci vide lontanissimo con il ragazzo di Milwaukee, quando nel 2010 fece uscire “Nothing Else” per la sua etichetta, Brainfeeder. Cosa che non poteva passare inosservata a Ninja Tune, ovviamente. Lorn sembra aver scritto e composto questo EP nello stesso modo in cui un paziente clinico osserva e descrive le Macchie di Rorschach. In “Debris” è proiettato l’inconscio di un visionario; registrato interamente in field recordings, manipolato, tagliato, picchiato e bruciato dalle valvole. Ortega tortura ogni singola traccia, trasformandola in un tormento oscuro, un lamento che si trasforma in un urlo per tornare infine un gemito.
Quattro tracce. La prima, “Inverted”, apre il cerchio. Strati di synth crescono dai detriti in spire glaciali, come a riempirsi i polmoni di aria gelida, per poi sentirsi mozzare il fiato nell’istante in cui entra il pugno di batteria e bassi a rischiacciare a terra le speranze. “On The Ice”, la marcia industriale nelle fondamenta dell’inquietudine. La ricerca porta ben oltre la dubstep e la glitch, conduce ai bassifondi, scende scale di metallo e ascolta il ripetitivo scroscio della pioggia che scompare nei canali di scolo. Una linea sottile ma distintiva di basso funk fa da Caronte alle due parti della traccia, ove, nella seconda, l’aggiunta di materia più soul non illumina certo il cammino, ma gli dona pace. “Bury Your Brother”, quasi un ritorno alle origini. Sonorità a cui ci si è affezionati. Il funky industriale e dilatato, volutamente sbilenco, la sezione ritmica di percussioni montate e smontate di continuo con una metodica geniale, i bassi come bufali che corrono sotto il tappeto di casa, i synth che sembrano passare attraverso un tritacarne. Questo è Lorn, il compositore. L’inquieto e impaurito bambino che canticchia filastrocche stonate, nascosto sotto il letto, in attesa che le ombre spariscano dalla parete o quantomeno si muovano, rivelandosi.
“Debris”, la title track, chiude il cerchio, rivela la forma e la rende polvere, detriti, che sono soffiati via in due minuti e mezzo di malinconica ambient. Lentamente, leggerissimi, i synth si quietano e si addormentano abbracciati al ricordo di un respiro mozzato, della pioggia sulla grondaia, degli spettri che tornano a riposare. Forse, però, ci stiamo sbagliando tutti ed è proprio Lorn a essere il fantasma incastrato in un mondo non suo, che pazientemente attende il momento di quietarsi. Intanto, questo è il suo lamento.