Asadinho è l’uomo di punta della RvS, l’etichetta deep house più rinomata di Londra. Famosa per le proprie fantastiche feste sparse per la città, la label è in verità storica nel circuito cittadino, essendo attiva ben dal 1995. Con uno stile assolutamente personale, mid-tempo deep con un occhio alla sezione ritmica calda e suadente, la RvS è di certo da seguire con attenzione.
Ciao Asadinho, prego presentatati e parlaci della tua etichetta, la RvS.
Sono un dj/produttore/label manager di base a Londra, e sono in giro dal 1994, con almeno 150 produzioni all’attivo e con una lunga carriera di dj alle spalle. Ho registrato pezzi sotto diversi pseudonimi, ma il più recente ed eccitante è sicuramente Asadinho, nome che ho adottato nel 2005 e su cui mi sto focalizzando negli ultimi due anni. RvS è una piccola label musicale che si adopera anche all’organizzazione di feste. Prima ci chiamavamo Reverberation, nome col quale abbiamo pubblicato circa 40 uscite tra il 1995 e il 2010, e abbiamo organizzato innumerevoli feste per Londra e intorno al mondo. Dopo diversi anni, sentivamo la necessità di un cambiamento, così insieme al mio socio Paul Soul abbiamo cambiato il marchio in RvS. Abbiamo così reinvestito nell’etichetta e nelle feste a partire dallo scorso anno, con nomi come Alex Arnaut, Ian Pooley, Jef K, Kyodai, Shade, Joshua Iz, insieme alle mie produzioni. I remix di Lana del Rey sono stati una bomba, perchè l’avevo incisi per la Polydor, ma dato che decisero di far uscire soltanto I promo dei remix, ho potuto farli uscire per la mia etichetta, cosa che ha aiutato non poco a spargere il nome della RvS. Il nostro obbiettivo per il prossimo anno consiste nello spingere l’etichetta con nuovi singoli e con un album o due, continuare con feste, incorporando nel roster nomi affermati e nuove installazioni artistiche nei nostri party.
Come descriveresti il suono della tua label?
Che abbiamo preso le cose con più calma… Ai tempi, 123 bpm era considerato già lento, ma col tempo, siamo addirittura scesi sotto i 120 bpm lavorando piuttosto bene su questo ritmo, sia in studio che su pista. Ho sempre avuto un non so ché verso il mid-tempo house, ma nelle recenti serate, la gente sembra andare matta addirittura per un 115 bpm. Un tempo era l’esatto opposto! Per quanto riguarda la mia musica, mi sto concentrando sul suono delle batterie, mantenendo un occhio ai 4/4 e cercando di essere club-friendly, ma tendo di usare batterie vere piuttosto che campionate, cercando di essere il più sperimentale possibile col suono che scelgo. Penso che nell’ambito ci sia una vasta possibilità di creatività quando si mischiano elementi disco con suoni elettronici.
Hai recentemente suonato col tuo socio e amico Paul Soul al Fabric, puoi dirci le tue impressioni?
Ho sempre amato suonare in sala 3, ma questa volta è stata la migliore di sempre. Il nostro team ha preparato un’installazione composta da 400 origami di uccelli appesi per tutta a stanza. Il pubblico della serata ha apprezzato la passione della squadra, e questo feeling si è davvero sentito nel dancefloor. Sia Paul che io abbiamo suonato alla grande, lo stesso valga per Alex Arnout, che ha letteralmente spaccato la pista – così tanto che il fabric ha tenuto aperto per due ore in più, con la pista imbottita di gente. Eravamo tutti entusiasti e francamente non vediamo l’ora di farlo di nuovo.
Quanto Londra è importante per te e la tua etichetta?
London è rinomatamente una delle città più multiculturali del pianeta. Non c’è spazio per solipsismi qui e nonostante tutte quelle telecamere sparse ovunque, ognuno può davvero essere se stesso e fare ciò che vuole. Questo è il contesto che ispira un sacco di creatività qui: le idee e la gente si ispirano vicendevolemente, cambiando velocemente e di continuo. Sebbene mi piacerebbe vivere in un bel paese col sole, qui c’è una speciale forma di magnetica ispirazione.
Sei in giro da parecchio tempo, com è cambiata la situazione tra i ’90 e ora?
A parte gli ovvi cambiamenti tecnologici, devo dire che era tutto più facile! Pubblicavi un disco, lo mettevi nel mercato, vendevi e ci facevi dei soldi. Non era impossibilie, anche le sarate venivano facili. Ora devi moltiplicare il lavoro per essere notato: devi stare sempre sul pezzo. Musicalmente, la scena è cambiata chiaramente, la deep house ad esempio è diversa, non è più quella che era una volta, ma è un’evoluzione; la produzione è cambiata anche, la moda, il modo di ballare… alcune cose in positivo altre in negativo. Esiste sicuramente molta musica fantastica là fuori se ti metti a cercare…
Una domanda di rito: secondo te, com è cambiato il music business con la cosìdetta rivoluzione digitale?
Bè, questa rivoluzione ha dato a noi artisti un sacco di lavoro in più, perché devi anche essere visibile sui social media oltre ché nei classici circuiti musicali. Comunque, è meraviglioso come sia ormai facile connettersi ed interagire con l’ascoltatore. La parte peggiore riguarda però questa attenzione alle statistiche: niente ha più del misterioso e tutto può essere quantificato. Negli anni addietro, un disco di uno sconosciuto musicista di Detroit era underground e cool, ora puoi vedere quanti followers ha, cosa che lo rende molto meno attraente. La gente sembra ossessionata dai numeri, cosa che francamente è un peccato, perché sembra diminuire l’appeal di artisti meno famosi. Ciò è aggravato da questa disgustosa pratica da parte di quegli artisti che comprano finti followers… Tutto sommato, l’industria è diventata forse più democratica, dando una grande opportunità a piccole etichette di farsi notare, ma allo stesso tempo diminuendo la possibilità di suonare in giro.
English Version:
Asadinho, alongside Paul Soul, is the man behind the renowned RvS, an independent deep house label based in London, renowned for its cool underground parties around the city as well as for its releases. Thanks to an idiosyncratic, morbid and flirtatious deep house sound, the label has became the one of the most important in the city, and it is becoming ever more popular through Europe, the US and beyond as well. In this interview, Asadinho talks about house music, London, the internet and this interesting decrease in bpm.
Hi Asadinho, can you tell us who are you, what is RvS, Its story, the past, the present and the future of RvS?
I am a London-based dj/producer/label manager type who’s been involved in the scene since 1994. I’ve produced around 150 releases and, somehow, my djing has taken me to all kinds of interesting place over the years. I’ve recorded under a number of different names, but I’m most excited about my project under the name Asadinho, which I launched in 2005 and have been focusing on over the last 2 years. RvS is a boutique label and party organization. We used to be called Reverberations, which had around 40 releases between 1995 and 2010, as well as innumerable parties in London and around the world. After so many years, we felt it was time to refresh, and so my partner, Paul Soul and I rebranded the label to RvS. We re-launched the label and parties last year involving names like Alex Arnout, Ian Pooley, Jef K, Kyodai, Shade, Joshua Iz, as well as my own stuff. The remixes of Lana del Rey was a scoop, as I had originally done them for Polydor, but given that they only put out promos of the remixes, they gave me the thumbs up to release mine on RvS, which really helped to put the label back on the map. Our plan for the next year is to push the label with new singles and an album or two, as well and continue our events, incorporating solid names and innovative artistic installations in the venues.
How would you describe your sound, and the direction in terms of sound of your label?
We have definitely slowed things down a bit. Back in the day, 123 would be slow, but over the last few years, tempos below 120 have been working really well, both in the studio and on the dance-floor. I’ve always had a thing for mid-tempo house, but in recent gigs, people seem to go mad when you slow it down to 115. It used to be the other way around! With my own stuff, I have really been focusing on creating a more live feel on the drums. I’m still keeping it 4/4 and club-friendly but going for more loose percussion on the top end, rather than programmed hats. At the same time, I’m trying to be more experimental and diverse with the sounds I use. I think there’s a lot of scope for creativity blending disco elements with electronic sounds.
You recently played at Fabric together with Paul Soul, your friend and colleague; can you tell us your impressions about the gig?
I’ve always loved playing in Room 3, but this was honestly the best vibe I’ve ever seen in there. Our creative team put together an amazing installation of 400 origami birds flying through the room. It was a huge effort and people really appreciated the love that went into it, and this really translated to the dance-floor. Both Paul and I had a great time playing and Alex Arnout smashed the room to bits – so much so that Fabric kept it open another two hours, with the floor packed till the end. Everyone was really happy and I’m looking forward to doing more parties there.
How London is important for you, your music and your label?
London is, famously, one of the most culturally diverse melting pots on the planet. There’s no space for solipsism here and, despite the sense of an ever-tightening CCTV state, everyone can still be themselves and do what they feel. This is the backdrop that inspires a lot of creativity here. Ideas and communities rub off on each other and things change fast. As much as I would love to live in a beautiful, sunny country, there’s a very special form of inspiration you get here.
You’ve been around for many years now, how has everything changed compared to the ’90s and the 00s?
Apart from the obvious technological changes, I have to say, it used to be much easier! You’d put out one record, it would sell good numbers and you’d get paid for it. I wasn’t even trying that hard, but gigs and deals would just come in. Now you have to do double the work, to be heard. You really have to stay on the ball. Musically, it has of course changed. Deep house isn’t the same as it used to be, but that’s just evolution. Production has changed, fashion has changed, and dancing has changed. Some of it for the better, some not so much. There’s certainly tons of amazing music to be found, if you just look for it.
A classic question: in your opinion what has changed in the music business after the so-called internet revolution?
Well, the said internet revolution has given us artists a lot more work to do, as you have to stay on top of social media and your contend. ßHowever, it’s wonderful to be able to connect and interact with listeners. The downside is the stats phenomenon. Nothing is mysterious anymore and everything can be quantified. In the past, a record by some unheard Detroit artist was underground and cool. Now you can see how many followers they have which really detracts from this mystique. People seem drawn by numbers, which is a shame, as it seems to diminish the appeal of lesser known acts. This phenomenon isn’t helped by the widespread practice of artists buying fake counts. All in all though, the industry has become more democratised, with greater opportunities for independent acts and labels to succeed, but will less to go around.