“Sweet seduction in a magazine. Endless pleasure in a limousine. In the back shakes a tambourine. Nicotine from a silver screen”. Eh sì, con i tempi che corrono, quanto ci sarebbe bisogno ad oggi di un bel po’ di “piacere infinito dentro una limousine”. Proprio come dodici anni fa, quando, dopo un periodo di smarrimento politico-sociale che tanto ricorda il nostro triste presente, un ragazzo di Detroit, cresciuto in quel di Chicago a pane, Prince e Jackmaster, sotto l’attenta supervisione di un padre putativo qualunque come Dj Pierre, l’aveva intuito ancora prima di tutti. Pensando bene di andare ad adescare in Svizzera niente meno che Miss Kittin e Dave The Hustler, e, combinando i rispettivi geni e sregolatezze, dare vita ad uno degli album dance più influenti della storia recente del genere: Kittenz And Thee Glitz. Un mix inconsueto di intrecci ritmici alla Moroder, linee sinuose di morbidi synth filo-funky, ed accattivanti vocals femminili dai languidi sapori elettro, in cui il fascino borghese di L.A. si mescola pericolosamente ad atmosfere ai limiti dell’Eurotrash. Quanto basta per diffondere in breve una vera e propria epidemia collettivo-compulsiva, la febbre da electroclash, in un pubblico che altro non desiderava, in quel preciso momento, che esattamente questo: bpm col contagocce, un po’ di nuda e cruda orecchiabilità e, perché no, una buona dose di sedicente superficialità, per evadere da un quotidiano sempre più demoralizzante ed oppressivo. Tanta acqua (e non solo, come ammette lui stesso con candore), sotto i ponti è passata da allora. Il ragazzo in questione è cresciuto, maturando esperienze e macinando successi, prendendo letteralmente la vita a morsi, con troppa voracità forse, al punto da finire, amaro destino per molti naviganti di passaggio nel glitterato mondo del clubbing, vittima della sua stessa fama, e delle inevitabili trappole auto-lesionistiche che ne conseguono. Ma uno come lui, che per nome d’arte ha scelto quello di un felino, sette vite non poteva che dimostrarci di averle davvero. E prepararsi quindi a ri-nascere, oggi, dopo quattro anni di silenzio, ancora più entusiasta e volitivo, forte dello stesso desiderio di un tempo di mettersi in gioco, e di una rinnovata consapevolezza: l’obiettivo di farlo, prima di tutto, come uomo e come artista, piuttosto che come “semplice” dj. Di questo, del nuovo album, e di molto altro, abbiamo chiacchierato lungo una telefonata interminabile, ripercorrendo senza peli sulla lingua le tappe di una carriera che ha visto, ed a volte subito, il succedersi di due secoli di musica e grandi cambiamenti.
Dopo quattro anni lontano dai riflettori, ritorni sulle scene da protagonista: ben due EP consecutivi, ed un album quasi pronto per l’uscita, una vera resurrezione. A che punto siamo di questa rinascita creativa?
Proprio in questo momento sono in piena fase di registrazione, e sto raccogliendo un po’ tutte le idee insieme. Ho preso una pausa dallo studio solo per la promozione dei singoli dei due EP: Sinner Winner, I Want To Be A Lesbian, e Mulholland Drive. Adesso sto pensando a quelli, e nel mese di settembre tornerò in studio per finire di lavorare all’album, anche se per adesso non ho ancora deciso nessun titolo, sto valutando un po’ di opzioni.
A proposito di album, parliamo di quello che ti ha consacrato alla gloria, Kittenz And Thee Glitz. In molti ritengono che il disco abbia dato vita ad un movimento, l’electroclash, che alla fine non è mai del tutto decollato, non a caso so che non spasimi per questo genere di appellativo. Come mai? Secondo te cosa ha contribuito al grande successo di pubblico di Kittenz? Questione di circostanze storiche favorevoli, o c’è dell’altro?
(Ride) Sì, penso che sia tutta una questione di trovarsi al posto giusto, nel momento giusto. La musica che andava per la maggiore al tempo era principalmente della techno piuttosto veloce, sui 135, 138 bpm. Io intendevo solo rallentarla un po’, volevo prendermi gioco del “glitz” e del “glamour” di cui parla l’album, che aveva tanto a che fare con quel modo specifico di fare musica, con quel mondo di lussi e sregolatezze che gli girava attorno. Allora andai in Svizzera, dove incontrai Miss Kittin e Dave The Hustler, e rimasi affascinato da quanto fossero underground ed avanti per i tempi, e così ha avuto inizio tutto.
Toglici una curiosità: alla luce delle tue ultime vicende personali, Devin Dazzle And The Neon Fever, il protagonista dell’omonimo disco, potrebbe quasi ricordare il tuo alter ego. Quanto c’è di Felix dentro Devin? Devin il buono, affascinato dalla vita notturna, che alla vista dei neon non resiste alla febbre della pista e ne viene letteralmente posseduto.
Amo questo disco. Il tutto è basato su questo personaggio ossessionato dalla vita notturna, a cui piacevano le luci, la febbre del neon e della pista, Devin Dazzle appunto. In un certo senso, il suo profilo è stato creato da una sorta di sequel del glitz e del glamour di Kittenz, è nato quasi di conseguenza: sono state queste in pratica le basi della sua caratterizzazione. Se il personaggio mi riguarda o meno, ti dirò, penso che l’80% sia finzione, mentre il 20% sia autobiografico, ma alla fine dei conti si tratta di me alle prese con la musica, ed inevitabilmente finisci per metterci molto del tuo. In realtà non lo vedo proprio nelle vesti di un personaggio a sé stante, piuttosto è un po’ come uscire dal tuo corpo e vedersi dal di fuori, per poi mettere quello che hai riscontrato in un disco e da lì romanzarci una storia.
Si è parlato tanto di Kittenz e Devin, ma poco si sa degli album successivi, Virgo Blaktro and the Movie Disco e He Was King. Amaro destino per i dischi che seguono ai grandi successi, spesso inevitabilmente ignorati e/o non capiti.
Di solito non amo ripetermi. Potevo semplicemente rifare altri cinque Kittenz and Thee Glitz e tre Devin Dazzle ma, proprio come ogni artista a cui non piace ripetersi, non l’ho fatto. Ad esempio, quando ho ascoltato il nuovo disco dei Daft Punk, mi è venuto subito da pensare proprio ad uno di questi due album, Virgo Blaktro and The Movie Disco, perché credo che i Daft Punk abbiano voluto produrre un disco che permettesse loro di tornare alle origini, esattamente come a suo tempo ho fatto io con Virgo.
A proposito di Daft Punk, che ne pensi dell’episodio del fake di Get Lucky che ha spopolato tanto per il web? C’è chi sostiene che quella versione fosse addirittura meglio dell’originale, ma più che altro viene da fare una seria riflessione riguardo alla condizione in cui oggi verte la vena creativa degli artisti. Bastano un paio di loop vintage campionati come si deve ed un tam-tam mediatico ad hoc per mettere insieme un pezzo da far concorrenza a colossi come i Daft?
Cos’è questa storia del fake?! Non ne sapevo nulla, ne voglio sapere di più (ride)! Riguardo alla creatività “vintage”, è un po’ quello che stavo dicendo sopra a proposito di Virgo. Spesso capita che artisti che intraprendono questo genere di cammino a volte non vengano capiti, perché la gente vuole sentire le hits, quelle del momento, giuste ed al passo coi tempi, ma un artista ha il dovere di evolversi, anche qualora ciò significhi tornare indietro alle proprie radici, se necessario.
Eppure, entrambi i dischi (Virgo e He Was King) incarnano quella filosofia di concept-album già caratteristica di Devin, estremizzandola da due prospettive diverse, una black e l’altra pop. Sembra che la tua musica tenda sempre più verso una dimensione live e song-oriented, e a dirla tutta è una corrente abbastanza diffusa oggi.
E’ vero, ma solo in Virgo in realtà. Mio padre ha sempre desiderato che facessi un disco black, con una band live, voleva vedere cosa ne sarebbe venuto fuori. Ad essere onesto, è uno dei miei dischi preferiti, sai. Non sono mai stato un grandissimo fan di Kittenz And Thee Glitz, perché quello era un album concepito apposta per farsi ascoltare dalla gente. Mi piace molto anche Devin Dazzle, perché è già più sperimentale rispetto a Kittenz, però per me Virgo Blaktro è e rimane un disco eterno e fuori dalle mode del momento, che la gente potrà ancora ascoltare tranquillamente anche tra dieci anni.
E dall’album nuovo cosa dobbiamo aspettarci? Sarà sull’onda dei due EP, o meno ballabile? Conta ancora per te la pista? Ci sono molti produttori che sembrano preferire il divano, ultimamente.
Ottima domanda, perché ci porta sul punto di cosa sia più o meno ballabile oggi, e di cosa puoi invece solo ascoltare: Kittenz and Thee Glitz era ballabile, ma potevi anche ascoltarlo, e questo è ciò che ho provato a fare con il prossimo album. Ci saranno canzoni da ballare, sempre sui 120 bpm, ma ci saranno anche pezzi più down-tempo. E’ strano perché al momento ho buttato giù canzoni che ancora devo scegliere ed inserire nell’album, ma già penso che ne verrà fuori una via di mezzo tra The Maddkatt Courtship e Devin Dazzle.
La tua carriera è costellata dalle più svariate collaborazioni. Negli ultimi decenni hai introdotto musicisti come P.Diddy e Will.i.am al sound, alla cultura e allo stile della scena house, remixato un classico jazz di Nina Simone, Sinnerman, per non parlare dell’album del re del reggae, Lee Perry, che hai recentemente prodotto. Non pensi che la crescente contaminazione dell’house con sempre più differenti generi musicali possa andare in qualche modo a comprometterne l’originale identità artistica?
Faccio musica house dal 1994, da quando ho quattordici anni. Quando suoni questo tipo di musica per ventisei anni, c’è il rischio di annoiarsi, sia come produttore che come artista, usando sempre il solito tempo in 4/4. Detto ciò, hai due alternative, puoi smettere con l’house, oppure reinventare te stesso e provare a buttarti su cose nuove. Sono completamente d’accordo con te, penso che molta gente che produce musica house oggi stia saturando e stra-commercializzando il genere, e lo stia pian piano uccidendo. Ma se conosci le tue origini e sai da dove vieni, puoi ancora provare ad educare il pubblico, e porre un limite a tutto questo processo. Penso che sia lecito che alcune persone la pensino in un modo, altre in un altro, per carità, anche se nella mia vita non mi sono mai messo né da una parte né da un’altra, e nemmeno sono stato mai parte di un trend per mia fortuna. Per quanto riguarda le collaborazioni, Nelly Hopper venne da me un giorno e mi disse: “hey Felix, dovresti lavorare con Puff Daddy”. All’inizio non volevo, perché Puff Daddy era una leggenda, ma lui insisteva dicendo che avrei dovuto lavorarci, ed a cose fatte ho capito che aveva ragione, perché conosceva sia me che Puff, e sapeva che entrati in studio insieme avremmo fatto scintille, e così è stato. La situazione con Will.i.am è stata un po’ diversa invece, perché conoscevo William già dal 2003, quando eravamo in tour insieme in Australia, e lui al tempo non faceva nemmeno musica elettronica, eravamo soltanto amici. Quando l’ho rincontrato a Dublino quattro anni fa, abbiamo parlato di fare qualcosa insieme, così come ne parlano due vecchi compagni di merende. Così è nato il pezzo in coppia di quattro anni fa, ma molte persone là fuori non hanno capito la storia che c’era dietro, e non hanno apprezzato. Per questo ho deciso di tornarmene al mio underground, alle mie origini.
Ma è vero che le tracce di Sinner Winner sono state suonate prima che uscisse ufficialmente l’EP? Cercavi forse un riscontro diretto dal pubblico?
Ero in studio a lavorare su un brano da quasi un anno, un ingegnere del suono che lavorava con me stava appunto ascoltando la mia playlist su Itunes, quando Sinner Winner saltò fuori all’improvviso e mio fratello mi chiese cosa fosse. “E’ un vecchio brano di cui non ricordo nemmeno il nome”, risposi, e lui disse che avrei dovuto pubblicarla. Lo stesso ingegnere, che fa anche il dj, mi chiese se poteva prendere il brano per metterlo in uno dei suoi set, e quando tornò a casa mi disse che ogni volta che metteva quel brano la gente impazziva, ma io trovai la cosa molto difficile da credere. Allora suonai il brano a Los Angeles, e la gente effettivamente impazzì. Suonai di nuovo il brano a Londra ed ancora successe la stessa cosa. Così io e mio fratello decidemmo di pubblicare finalmente il pezzo. E’ accaduto lo stesso pure con “I Want To Be a Lesbian”.
Interessante. Hai usato lo stesso escamotage anche per il secondo Ep uscito il 20 Maggio, quindi. Cosa ci dici a proposito del singolo “I Want To Be A Lesbian”? C’è una storia dietro al titolo, che sembra piuttosto curiosa.
Nel 2002 ero in un club a Berlino, e sentii per la prima volta questo pezzo favoloso, “I Want To Be A Resident”. Era un brano eccezionale, ma quando lo ascoltai pensai che si chiamasse “I Wanna Be A Lesbian”. In pratica ero a questo party a Berlino e stavo parlando con Romina Cohn (la produttrice di “I Want To Be A Resident” ndr). Lei stava mettendo i dischi e la musica era veramente alta ed io: “tesoro, la tua canzone, I Want To Be A Lesbian, è un brano davvero incredibile” e lei: “scusa?” Ed io: “il brano I Want To Be A Lesbian, è un pezzo davvero bello!”. Dopo lo show lei mi disse che avevo del tutto frainteso il titolo, che il vero nome era “I Want To Be The Resident”, e per tutta la sera io l’avevo chiamata in un altro modo! Così lo scorso ottobre ho invitato Romina nel mio studio a New York, e parlando dell’accaduto ci abbiamo scherzato sopra, ed io le ho detto: “davvero, perché non facciamo insieme una canzone che si chiami proprio I Want To Be A Lesbian?!”. E questa è la storia di come ci siamo incontrati.
Parliamo di Sinner Winner. Com’è nata l’idea del discorso del predicatore? C’è qualche collegamento all’educazione fortemente cattolica che hai ricevuto dalla tua famiglia?
(Ride) Fondamentalmente non sono io che predico alla gente, penso che in molti non abbiano capito il senso alla base. Io volevo parlare d’ipocrisia, di quelle persone che dicono non fare questo, non fare quello, e si comportano poi in modo opposto. Il pezzo parla di loro, di questi falsi predicatori, questi finti profeti che vogliono dirci cosa è giusto e cosa è sbagliato, e nel frattempo ci prendono i soldi. Volevo solamente fare un brano che parlasse chiaro su questi personaggi, ispirati a certi predicatori della bibbia, razzisti e ipercritici. Tra l’altro il brano è stato notevolmente influenzato da Preacher Song dei Green Velvet, che infatti lo hanno pure remixato.
A proposito di altri artisti, dopo quattro anni di stop, avrai trovato la scena piuttosto cambiata. C’è qualcuno tra i tanti giovani produttori emergenti in circolazione che ci consiglieresti in particolar modo?
I Let’s Be Friend, che hanno remixato per me Sinner Winner, sono piuttosto nuovi e suonano un’incredibile noise elettro, davvero bravi. Poi ultimamente sto ascoltando anche gli Eagles And Butterflies, che sono un po’ più deep-house, ma molto validi. Questi sono tra gli artisti che di recente mi hanno affascinato di più, ma ce ne sarebbero così tanti.
Sempre di recente, abbiamo apprezzato tutti molto lo show per Radio One Essential Mix che hai fatto un po’ di mesi fa, è stato il tuo primo live streaming in assoluto. Come hai vissuto quest’esperienza?
Ad essere onesti ero davvero molto molto nervoso, perché era il mio primo show in streaming, e non è come essere nell’oscurità di un club, lì sei del tutto esposto e devi tenere musicalmente alta l’attenzione della gente. E’ stata un’esperienza bellissima.
E che ne pensi del grande hype che oggi aleggia dietro al fenomeno del live streaming? La gente si prende a capelli per un posto in Boiler Room, come se essere presenti ad un evento interattivo rendesse la cosa in qualche modo più esclusiva. Secondo te il locale è ancora in grado di fare la differenza come un tempo, o può bastare uno sgabuzzino qualunque provvisto di una telecamera a rendere una performance memorabile?
E’ utile per le persone che non possono permettersi di prendere un aereo ed andare in quella città a vedersi lo show, perché lo possono vedere da dietro un computer. Ma è anche facile per la gente giudicare con superficialità e premere il pulsante del non mi piace da dietro una porta chiusa capisci? Ha aspetti positivi e negativi, uno ying e uno yang.
Militi nella musica da tanto tempo ormai. Ti sei mai sentito stanco del sistema alienante che le gira attorno? Cosa ne pensi dell’industria musicale? So che dal 1995 hai la tua personale etichetta, la Radikal Fear Records. E’ per sfuggire alla morsa delle majors che l’hai fondata?
Vivere bene il sistema, nel bene o nel male, dipende da che persona sei: se sei un maniaco del controllo, vuoi indipendenza e decidere autonomamente sulla tua musica, dovresti curare tutto da solo. Se sei un pupazzo che ha bisogno di farsi dire cosa fare, a partire dall’immagine fino alla musica che produci, allora firma per le majors. Io ho firmato con una major, ma sono stato fortunato. Il mio capo allora era Pete Tong, quando firmai per la London Records, e sono stato benedetto a non finire vittima dell’industria. Sono comunque sempre stato con etichette indipendenti (anche se grandi e molto famose) ed in ogni caso ho potuto fare tutto quello che volevo. In più, ho la mia etichetta da quando ho ventiquattro anni e mi ritengo molto fortunato per questo.
Qual è la tua opinione su come la scena si sia evoluta, e come l’EDM sia cresciuta a livello globale negli ultimi anni? Pensi che alla luce dei cambiamenti avvenuti di recente la tua musica potrà ancora suonare attuale? Anche se sarebbe meglio domandarci cosa suoni veramente attuale, oggi.
Penso che ci siano due scene distinte, una scena EDM ed una underground, per quanto riguarda l’house. La scena underground, con una cultura credibile, e quella dell’EDM, purtroppo molto più “attuale”, che invece è solamente basata sui soldi, sulla commerciabilità e tutte quelle stronzate lì che la riguardano. Ci sono due scene per me, non una, tutti lo sanno bene, ma hanno paura a parlarne. Penso che l’industria musicale abbia un senso circolare, piuttosto triste: una canzone è super-commercializzata, super-spinta, stra-venduta, e poi muore. La gente muore con essa, musicalmente parlando, e poi inizia di nuovo tutto da capo, come in un enorme circolo vizioso.
Nato a Detroit, cresciuto a Chicago, hai scelto Londra come il luogo della rinascita, e so che sei molto legato, artisticamente e non, alla città inglese. Credi che l’Europa sia molto più avanti musicalmente rispetto agli States?
La mia famiglia vive a Londra ed io ho scelto Londra perché la scena underground qui è proprio come quella che si viveva a Chicago nel 1985-86. Qui ho di nuovo quelle stesse sensazioni, però non fraintendermi, negli States, in città come New York, L.A., Chicago, Miami, ci sono molti buoni club e pure festival, ma non è la stessa cosa.
E cosa ne pensi di Ibiza? So che sei un grande ammiratore dell’isola, per anni ritenuta la fucina artistica più all’avanguardia d’Europa, e sarai pure resident allo Space per la Clandestine Night. Non credi che da qualche tempo stia decisamente perdendo credibilità dal punto di vista musicale? Sembra sempre più un autentico covo per folkloristici fenomeni da baraccone.
Ibiza… Quel posto lì, fidati, è la capitale, la mecca del mondo delle feste. Se qualcuno vuole ascoltare house, techno, electro, e pure se vuoi ascoltare la commerciale sì, questo è il solo ed unico posto dove andare. Ibiza è riuscita durante gli anni a mantenere un’ottima credibilità, tutti da ogni parte del mondo continuano ad andarci. Non penso sia diventata più commerciale, è vero semmai che è diventata più turistica, visto che tanta gente la sceglie per andare a farci festa. Però davvero non c’è posto come Ibiza per la club culture, ogni notte puoi ascoltare un genere di musica differente. Io penso invece che diventi sempre più underground, anno dopo anno.
Anni e anni trascorsi a produrre dischi, ma hai iniziato a fare il dj a tutti gli effetti solo nel 1994. Come mai? E’ relativamente tardi se prendiamo in considerazione tutta la tua lunga carriera.
Non ho mai voluto fare il dj. Volevo solamente stare in studio, fare musica, dischi e continuare ad essere un produttore. Anche adesso, non mi considero un dj. La prendo solo come una scusa per far ballare la gente, e renderla felice. Secondo me tutti possono fare il dj, pure mio figlio di nove mesi. Tutti possono andare là fuori e suonare brani di altri, non ci vuole nessun talento particolare per riuscirci. Questa è stata da sempre la filosofia che ho perseguito, ma quando arrivai a Londra il mio manager mi disse che avrei dovuto iniziare a fare il dj, perché quello era l’unico modo per far girare il mio nome suonando la musica che volevo, e così farmi conoscere. E questa è un po’ la storia della mia vita: non volevo fare dischi, ma mio padre mi spinse a suonare prima il clarinetto e poi il sax, mi convinse pure ad entrare in una band, e tutto quello che le persone mi costringevano a fare, nelle cose in cui ero bravo, io non volevo farlo, preferivo mille volte leggere i fumetti. Non avrei mai voluto essere un personaggio pubblico e stare su un palco, né tantomeno diventare famoso. Ero totalmente l’opposto, è per questo che ancora mi metto gli occhiali scuri, è il solo modo che ho per proteggermi da tutto il mondo esterno. Per me fare il dj significa catturare l’energia delle persone e farle ballare, far perdere loro la testa ed il controllo. In questo senso, mi considero un artista ed un produttore quindi, piuttosto che un dj. Non mi prendo sul serio in quelle vesti, non posso farci niente.
Hai detto che tuo padre ti ha iniziato alla musica, ma chi ti ha iniziato alla musica house?
Alla radio nel 1984, qualsiasi ragazzino aveva la radio sintonizzata sulla trasmissione di Farley “Jackmaster” Funk Hot Mix 5. Sono cresciuto con quello. La musica house era appena nata, proprio in quegli anni lì.
Il successo ufficiale arriva nel 1995 con il singolo In The Dark We Live del progetto Aphrohead. Sempre nello stesso anno, pubblichi il tuo disco d’esordio “Alone in the Dark” su Deep Distraxion, sotto l’alias di Thee Maddkat Courtship. Come mai l’uso di così tanti pseudonimi? Che differenze ci sono tra le produzioni firmate Felix e quelle a cura dei tuoi tanti nomi d’arte?
Ero un grande fan di Prince e lui usava un sacco di alias. Mi chiesi allora il perché, e realizzai che era così prolifico e faceva così tanta musica che non poteva pubblicare tutto come Prince, sarebbe stato fuorviante. Per me al tempo era lo stesso, avevo talmente tanti stili differenti che per forza di cose necessitavo di altrettanti alias per pubblicare tutto. Ora i soli nomi che uso sono Aphrohead e Felix da Housecat, anche perché adesso posso dire di sapere meglio chi sono, sia come produttore che come artista.
English Version:
“Sweet seduction in a magazine. Endless pleasure in a limousine. In the back shakes a tambourine. Nicotine from a silver screen”. Oh yeah, in the times we live in nowadays, how much we would need simply a lot of “endless pleasure in a limousine”! Just like what happened twelve years ago, when, after the same period of political and social confusion we are currently experiencing, people really didn’t want to worry about it. Then, a guy from Detroit, grown up in Chicago eating bread, Prince and Jackmaster, baptized at the tender age of 14 to house music from an ordinary man named Dj Pierre, deserved to sense it, even before someone else. Having the good idea to go to pick up in Switzerland no less than Miss Kittin and Dave The Hustler, and, by combining the respective genes and excesses, to give birth to one of the most influential dance album of the recent history of the genre: Kittenz And Thee Glitz. An unusual mix of intertwining Moroder’s rhythmics, sinuous lines of soft-funky synth, and alluring, electro-flavoured female vocals, in which the bourgeois charm of L.A. dangerously get mixed up with atmospheres enveloping Eurotrash. Just enough to spread in a while a real epidemic collective-compulsive disorder, the electroclash’ fever, in an audience who desired nothing, in that precise moment, but exactly this: bpm in dribs and drabs, a little of unvarnished catchiness and, why not, a good dose of self-styled superficiality, to escape from a daily life more and more depressing and cumbersome. So much water (and also something else, as he candidly admits), had passed under the bridge since then. The guy in question has grown, gaining experience and grinding successes, literally snaping at life, perhaps with too much greed, to the point to end, bitter fate for many sailors passing through the glittery world of clubbing, becoming a victim of his own fame, and of the inevitable killer traps that follow. But for someone like him, who chose as an alias the pseudonym of a cat, seven lives to live couldn’t have been certainly enough. And so, today he’s preparing to be reborn, after four years of silence, even more enthusiastic and combative, with the same desire of the past to get involved in the scenes, but choosing now to do so, first of all, as a man and as an artist, rather than as a “simple” dj. Of this, the new album, and much more, we chatted during a neverending phone-call, outspoken retracing the stages of a career that has seen, and sometimes suffered, the succession of two centuries of music and changes.
After four years away from the scene, here you are back to the prominence starring: two EPs and an album almost ready, a real resurrection. Which phase is it of this kind of rebirth?
Right now i’m in the recording process and I’ve got to get the music together. I took a break on recording the album to focus on the EPs and the single: Sinner Winner, I Want To Be a Lesbian, and Mulholland Drive. So, right now i’m focusing on all the singles and to put the album on hold just for a month, then i’ll go back and finishing recording like in august, but i don’t have decided for a title for it yet.
In the matter of albums, let’s talk about the one made you a legend, Kittenz and Thee Glitz. Many people believe it has given birth to a movement, the electroclash, that in the end will never quite take off, not surprisingly I know you don’t yearn for this kind of definition. What do you think contributed more to the popular success of Kittenz? Only matter of right historical circumstances, or is there something more?
(Big laugh) Yeah, i think it was just matter to be at the right place in the right time. I think music at the time was a lot of techno, very very fast like 135, 138 bpm, and at that time i wanted to slow it down, i wanted to make fun of the glitz and the glamour which had a lot to do with those world. So, i went to Switzerland, when i met Miss Kittin and Dave the Hustler, and i was really fascinated of how underground was it.
In the light of your past personal events, Devin Dazzle And The Neon Fever, the protagonist of your self-titled album, may vaguely remember of a kind of your alter-ego. How much Felix is in the character of Devin? Devin the good, fascinated by the nightlife, who at the sight of the neon can’t resist to the fever of dancefloor, being literally possessed by it.
I love this record. Basically he was based on a character who is obsessed for the nightlife on world, he was like a sequel to the glitz and the glamour which created Devin Dazzle, he liked the lights, the neon fever, and stuff like that, and these likes will be the basis of the character pretty much. I think it’s like 80% character and 20% me, but at the end of the day it’s me making a song, and necessarily you put inside something of your own. I will not see it properly as a character, but it’s like stepping out of yourself and viewing yourself outside your body. Yo know, just putting it into music and making a story about it.
The press talked a lot about Kittenz and Devin, but we know just a little of the later albums, Virgo Blaktro and the Movie Disco, and He Was King. Bitter fate for the ones that followed such these big successes, often inevitably ignored and/or not understood.
Basically i never like to repeat myself. I could easily made five more Kittenz and the Glitz and three more Devin Dazzle, but i don’t like to repeat myself, like any other artists i think. When i listened to the new Daft Punk’s album, i thought about Virgo Blaktro and The Movie Disco, because i think Daft Punk wanna go make a record to go back to their roots, like me for Virgo.
In the matter of Daft Punk, what do you think of the episode of the Get Lucky’s fake, having had such a huge hype on the web? Some people thought the fake version was better than the original one, but I think it’s time to make a serious reflection about the condition artists’ creativity is experiencing nowadays. Should they be enough just a couple of vintage loop championships and a tam-tam media ad hoc to put together a song able to compete with music legends like The Daft?
What’s this story about fake?! I didn’t know anything, I’ll get more infos asap! (laughs). About this less creative “vintage” streak, it’s a bit what I was saying above about Virgo. It often happens that artists, when wanna do that path, some people don’t understand, they want to hear the Hits, but as an artist you have to evolve, even if that means to return backwards, if necessary.
In both we recognise that kind of philosophy of concept-album already used for Devin, but from two extremely different perspectives, a black and a pop one. It seems that your music is getting more and more towards a live dimension, song-oriented I guess, according to what it’s almost becoming the new current trend.
Just on Virgo. My father always wanna me to make a black record with a live band, and see what happens. To be honest, that’s one of my favourite records. I never was a fan of Kittenz and the Glitz cause it’s more me making a record that people wanna to hear. I really like Devin Dazzle, cause that’s more an experimental record, but Virgo Blaktro i think to me is gonna be the most ahead, the one people could listen in ten years from now.
And from the new album what will we have to expect? Will it follow the mood of the two EP’s, or will it be less danceable? Is the dancefloor still important for you nowadays? There are a lot of producers that seems to prefer the sofa, lately.
That’s a very good question, cause we bring us at the point on what’s less danceble or something you can listen to: Kittenz and the Glitz was danceable but you could still listen to it, and that was what i want to capture with this one. I wanna have some stuff you can dance to, but the dance stuff is still 120 bpm, then i have also down-tempo stuff. It’s weird cause i’ve made only songs and i still have to choose and pick, but i think it’s gonna be a cross between The Madkatt Courtship and Devin Dazzle. All of the dance music i’m doing now are those of my EP’s, like I Wanna Be a Lesbian, Sinner Winner and Mulholland Drive.
Your career is characterized by the most different collaborations. In the last few decades you’ve introduced artists like P. Diddy and Will.i.am to the sound, culture and style of the house scene, you’ve remixed a classic jazz of Nina Simone, Sinnerman, and you’ve also produced the album of the reggae’s king, Lee Perry. Don’t you think that the more increasing contamination of house music with other genres is going to compromise someway its original artistic identity of the roots?
I’ve been making house since 1994, when i was fourteen years old. When you make house for twenty-six years, there’s the risk to get bored as a producer and as an artist with the same 4/4 tempo. Afterwhile there were two things you could do, or stop making house music or trying to reinvent yourself and trying to do new things. I totally agree with you, i think some people when they make house, it’s over-saturating, over-commercializing, over-EDMizing, and it’s killing it. But at the same time if you know your roots, if you know where you come from, you can keep educating people, you can keep mantaining it in a balance. I think it’s fine, cause you have some people on one side and some people on the other, and in my whole life i’ve never been to take each other sides, or to be a part of a trend. In the matter of collaborations, Nelly hooper comes up and said: “hey Felix, you should work with Puff Daddy”. At the beginning i don’t want to, because Puff Daddy was a legend, but he insist i should do it, and when i did it, i understood he was right, cause he knew me and he knew Puff and he thought we should go together to the studio, he thought that would be crazy, and he was right. The Will.i.am situation was a little different, because i knew Will.i.am in 2003. We were on tour together in Australia, he wasn’t even making electronic music and we were just friends. When i met him in Dublin four years ago we talked about making something together. So the song was done four years ago, when we talked about making something together, you know what i mean, but a lot of the people out there didn’t understand the story behind the song, and that’s why i decided to get back to the underground, to the my dirtness, back to my roots.
So, talking about crowd, is it true that the Sinner Winner’s tracks were played before the EP went out? Were you looking for a direct feedback from the audience?
I was sitting in a studio working on a song for almost a year, and one of my sound ingeneer was playing songs on my Itunes when Sinner Winner popped out. He and my brother said what’s this, and i said: “it’s just a track, i forget the name of that song”, but my brother said we have to put it out. The ingeneer of my studio is also a dj, and he asked me he could play that song. So he played it, and when he came back at home, he told me everytime he played the song the people went crazy, i found ver hard to believe. So i played it in L.A. and the people went crazy, i played it again in London and the people went crazy again. So me and my brother decide to put the song out. The same happened for “I Want To Be A Lesbian”.
Interesting. Have you used the same trick for the second EP, released on May 20? What about the single “I Want To Be A Lesbian”? There’s a curious story behind the title, which sounds cool.
Basically in 2002 i was in Berlin and i heard a song called I Wanna Be The Resident, and this song was an amazing song, and at the time i thought it was called I Wanna Be A Lesbian. So, i was in this party in Berlin and i was talking to Romina Cohn (the producer of “I Want To Be The Resident ndr.) She was djing and the music was really loud, and i: “i love your track i Wanna Be A Lesbian, it’s so amazing” and she: “excuse me?” and: “the track I Wanna Be A Lesbian, the song is such a great song”. After the show she said me i had completely misunderstood the title, and that the real title was “I Want To Be The Resident”. So for the whole time i called the song with a wrong name! So the last october i invited Romina to the studio in New York, and when we sat down together we made joke of this story, but i said: “seriously, let’s make a song really called I Wanna Be A Lesbian” and we did it. That’s the story on how we met.
Let’s talk about Sinner Winner. How did the idea of the speech of the preacher came out? Is there any connection to the strongly catholic education you received from your family?
Basically i’m not preaching at the people, i think some people missed the point. I was speaking about hypocrits, people who say don’t do this, don’t do that. The song it’s about these false preachers, false profets, who pretend to say what’s wrong and what’s good and in the meanwhile they take your money. I just want to make a song about this kind of some racist hypercritical preachers of the Bible. It was also very influenced by Preacher Man of The Green Velvet, who remixed it too.
In the matter of artists, after four years away from the scene, you must have seen many things changing. Is there anyone among the many young emerging outstanding producers you recommend us in particular?
Let’s Be Friend, remixed Sinner Winner, they are new. They play a hard noisy crazy electro, very very good. Then i also listen to Eagles And Butterflies, they are more house, deep house. These are the new artist i’ve been fascinated by, but, you know, there are so many.
Almost recently, we all enjoyed you on Radio One Essential Mix a few months ago, it was your first ever live streaming ever. How was that experience?
To be honest, i was very very nervous, cause it was my first stream show, and it’s not like in darkness of the club, here you are live exposed, so you have to keep the people attention musically. It was a really beautiful experience.
What do you think about live streaming that has such a hype nowadays? People come to blows for a place in the Boiler Room, as if being present at an interactive event would make it somewhat more exclusive. Do you think the club is still able to make a difference as in the past, or may it be enough any storage-room equipped with a camera to make a memorable performance?
It’s cool for people who can’t afford to take a plane and watch the show in that city, they can watch it from the laptop, but it’s also easy to judge behind a close door and push a dislike button. So it has positive point and negative as well, a ying and a yang.
You’ve been in the music industry for a long time. Do you ever feel tired by it? What do you think about thevicious depressing business around it? We know you have your own music label since 1995, the Radikal Fear Records. Is it to escape from the clutches of the majors you’ve founded it?
It depends on what kind of person you are. If you are a control freak and you want independence, and to decide everything about your music, you should do by yourself. If you are a type of guy who’s a puppy, who need to be told what to do, from your image to your music, sign up for that industries. I was signed for a major label, i was fortunate in my career, Pete Tong was my boss when i signed to London Records and i was blessed that i don’t fell victim to the music industries. I’ve always been to independent records and i did what i wanted to do. I own my independent record label since when i was 24, and i was very fortunate.
What’s your opinion on how the scene has evolved and how EDM has grown globally? Do you think that in the light of these changes your music will still play current today? Or rather, it would be better ask ourselves whatever sounds really current today.
I think there are two different scenes, there’s the EDM scene and the underground house scene. The underground house scene with a culture which is credible, and the EDM scene that’s all about make money, the commercial and all those bullshit. It’s almost two scenes, do you understand, everyone knows that, but people are just afraid to speak up about that. I think everything goes on a vicious circle, one song is overcommercialized, overpushed, oversold, overhyped, eventually it dies. So the people die with it musically and then they restart, they go back to the beginning as well.
Borned in Detroit, growned up in Chicago, you have choosen London as the place of your rebirth, and i know you are very close, artistically and not, to the english city. Do you think Europe is much more ahead musically than America? What’s the reason in your opinion?
My family lives in London and i choose to come in London because of the motivation of the underground scene, that’s like the scene in Chicago in the 1985-86. Here i got that feeling back again. Don’t get me wrong, in the States, in cities like New York and L.A, Chicago, Miami, there are some good clubs and festival as well, but it’s not the same atmosphere.
And what about Ibiza? I know you’re a big admirer of the island, for years considered to be the most creative showcase of emerging artists in Europe, you’ve also become the resident at the Space’s Clandestine Night. Don’t you think that it’s definitely losing credibility from the musical point of view? It seems to become more and more a real hideout for ridicoulous freakshows.
Ibiza… That place right there, trust me, is the party capital, the mecca of the world. If anybody want to listen to house, techno, electro, even if you want to listen to the commercial, that’s definitely the place to be. Ibiza has managed through years to mantain a really great credibility. Everybody from all over the world is still going there. I don’t think it’s becoming more commercial, it’s true it’s becoming more a touristic place, cause many people go there to party, but there’s no place like Ibiza for the club culture, every night you get a different type of music. I think it’s becoming every year more underground, instead.
Years and years spent struggling behind the desk, but you started djing only in 1994. How come? It’s quite late considering all your long career.
I never wanted to be a dj ever. I just wanted to be in the studio, make music, records, and be a producer. Even in these days i don’t consider myself as a dj. I just use it as a excuse to make dance the people and make them happy. In my opinion, everyone can djing, even my nine months’ son. Everyone can get up there and play other people’s records, it doesn’t take any talent. That was always my philosophy, but when i came in London my manager said you got start djing, and i said: “why i should do that, when other people can play my music”, and he answered me i should do that because that was the only vehicle for me to get my name out there, to play my own music, and travel the world. That’s definetely the story of my whole life: i never wanna make musical records, my dad was like: “you got to play clarinet, to play sax, to be in a band”, everything that’s been dictated to me, i just was good at, but i don’t wanna do it, i wanted to read comic books instead. I never wanted to be in public eyes, to be on stage or wanted to be famous. I was the totally opposite, that’s why i wear the black glasses on the black frames, cause that’s a way to protect myself from the whole world. Djing for me is to capture the people’s energie and make the people dance, make them lose their mind and lose control. I consider myself as an artist and a producer before than a dj, i never considered myself as a dj, i dont’ manage to take it serious, i really don’t sorry.
You said your father introduced you to music, but who introduced you to house music?
Radio in the 1984, every kid in Chicago had the radio turned on the Hot Mix 5 Farley “Jackmaster” Funk. I was borned into it. House music just started here.
Your succes arrived in the 1995 with the single In The Dark We Live, under the name of Aphroead. In the same year, you also released your debut album Alone In The Dark on Deep Distraxion, as Thee Maddkatt Courtship. Why do you use so many pseudonyms? Which are the main differences between the production as Felix and the others’ ones?
I was a huge Prince’s fan and he used a lot of aliases. I was asking me why this guy uses all these aliases, and i realized he was so prolific, he made so much music, he couldn’t just release it all under the name of Prince. The same for me at the time, i had so many different styles and i needed characters to put it out. Now the only names i use are Aphrohead and Felix the Housecat, because now i come to terms on who i am, as a producer and as an artist.